Che non sarà tutto come prima ve l'ho già detto e sarete stufi di leggerlo.
Che ci avessi preso gusto era già chiaro da tempo.
Quindi ribadisco che ciò che più mi interessa non tanto per il cosa si fa ma il come lo si fa.
Ed è così che oggi ho iniziato a sentire, oltre all'immediato gusto, un persistente retrogusto ancora più buono e che assaporo sul palato e percepisco nel corpo.
È passata ormai una settimana e non è la stanchezza che mi è rimasta, ma una sensazione di compiuto, di qualcosa che ho fatto proprio come volevo.
Una soddisfazione solida, direi.
Questo è il retrogusto che sento: di un agire che ha messo radici in un terreno ricco di significati e di senso; di una consapevolezza cresciuta con cura e attenzione.
Fisicità, socialità e affettività sono le tre cose a cui non ho voluto rinunciare in questo anno trascorso tra un lockdown e l'altro, nel rispetto della salute e degli spazi miei ed altrui. E per non rinunciarci ho esplorato nuove strade, ho cercato nuove soluzioni, coltivando in modo divergente le mie passioni.
Ed anche lo scorso fine settimana così è stato.
Con due amici e le nostre biciclette, cariche di tutto il necessario, siamo partiti da casa per una due giorni tra i monti. Ed alla fine non sono tanto le montagne salite, i 170 km percorsi e i quasi 5000 m di dislivello macinati, ma ciò che importa è come lo abbiamo fatto.
Partire alla luce delle frontali. Pedalare sino a Lizzola. Sbranare un bel panino superimbottito che ti han preparato al negozio del paese. Approfittate della gentilezza delle persone che pur senza conoscerti ti mettono a disposizione il loro garage per rimessare le biciclette. Calzare gli sci sulle Piane e con un caldo fottuto arrivare in vetta al Tre Confini. Scendere al cospetto del Gleno, su ciò che resta della vedretta del Trobio. Bivaccare al rifugio Curò. Chiacchierare con piacere insieme alle persone che, come te, passeranno la notte sparpagliati nel piccolo invernale e attorno ai muri del rifugio. Percorrere il grande anello che porta sulla vetta del Diavolo della Malgina. Sotto la vetta alzare lo sguardo e godere del volo di una pernice bianca contro il blu del cielo. Ululare per tutta la lunga e strepitosa discesa della Val Morta. Risalire la Val Cerviera sino alla spalla del Tre Confini. Misurare ogni passo, centellinando le ultime energie. Affacciarsi sulla valle di Bondione con la consapevolezza che da lì c'è solo una lunga ed infinita discesa. Caricare le biciclette, in mutande, mentre chiacchieri con la persona che gentilmente le ha custodite. Mettersi in scia a Marco e Ale, e scoprire che sulla discesa di Gandellino il tuo contachilometri segna 55 km/ora. Pedalare e sentirsi ok. Non sentire più la fatica e dopo essersi salutati, con il sorriso sulle labbra ed una soddisfazione che ti esplode dentro, mentre si fa buio, affrontare la salita che ti riporta a casa, dove sono custoditi i tuoi affetti.
È passata ormai una settimana ma è come se fossi tornato ora e in questo istante è come se avessi appena varcato l'uscio di casa.
Quanto è potente il retrogusto che lasciano certe avventure.
Nessun commento:
Posta un commento