lunedì 27 febbraio 2017

25 #PICCOLESTORIE - Storia di un incontro.

La nord del Corno Stella - Orobie
Sono passati dieci inverni da quell’incontro. Più volte sono tornato a sciare sulla nord del Corno Stella e ogni volta ho pensato a quella prima discesa e a chi, allora, mi ha stimolato a fare un passo oltre la croce di vetta. Anche ieri il mio pensiero è andato a quell’attimo.
Domenica 24 dicembre 2006 - Lui era lì! 
Lo vedo con la coda dell’occhio, mentre mi chino a posare gli sci sulla neve. Aggancio gli scarponi, blocco il puntale degli attacchi e mi rialzo. Sistemo i guanti, impugno i bastoncini ed inizio a risalire il pendio. Nessun cenno, nessun saluto, non una parola da entrambi, solo una rapida occhiata.
Le pelli scivolano e mordono la neve, alternandosi con ritmo, trasmettendo scorrevolezza e continuità ai movimenti del corpo che avanza. Lui è lì. Lo sento, non c’è bisogno di voltarsi per vederlo, è alcuni metri dietro me. Un’alba livida si fa spazio tra banchi di nubi, bassi sull’orizzonte.
Anche quel giorno, come ad ogni inizio di stagione, potere toccare la prima neve, mi mette di buon umore. Lo sguardo vaga libero come i pensieri, con leggerezza, mentre il corpo riscopre movimenti familiari, dapprima legnoso e duro, poi sempre più fluido e morbido.
Dopo avere superato tre scialpinisti ciarlieri ed un solitario indeciso, il pendio si fa più ripido, lui è sempre lì. Lo sento, ma qualcosa cambia, la sua traiettoria si allarga alla mia sinistra mentre punto con forza i bastoncini per evitare di scivolare all’indietro. Entra nel mio campo visivo, oltre il dosso, sul falsopiano è al mio fianco a pochi metri. Non una parola non un cenno, un silenzio piacevole, entrambi concentrati a ritrovare, dopo tanti mesi, scioltezza ed elasticità. Il rumore dei nostri sci sulla neve ed il nostro respiro parlano per noi.
Poi, non so come, le parole fluiscono. Il sole si fa spazio tra le nubi, alzandosi disegna i profili ed i volumi delle montagne attorno a noi. Non è importante cosa ci diciamo, ma come. Percepisco che posso fidarmi, che è la stessa passione, l’identica voglia di scoprire, la medesima curiosità a spingerci tra i monti.
Vuole portarsi gli sci in vetta per poi scendere, magari, lungo lo spallone nord, da anni penso a quella discesa. Naturalmente mi carico gli sci sullo zaino e, sotto gli sguardi interlocutori di alcuni scialpinisti, risaliamo la cresta finale sino alla croce, ricamata dalla neve e dal vento. Le condizioni sembrano buone, lui parte. Dopo alcune curve, prima di sparire al mio sguardo, si volta e mi fa un cenno d’assenso, lo seguo senza esitare. La neve è perfetta, luminosa e morbida accoglie il ricamo delle nostre tracce. Alla casera di Publino mi dice che vuole essere a casa presto, quindi intende risalire alla bocchetta per poi scivolare in Val Cervia e da li, riguadagnato il passo, scendere sino all’auto. Tentenno un attimo. La Val Livrio si apre sotto di noi, solo le tracce dei camosci decorano i pendii immacolati, ne scaturisce un silenzio magico, un richiamo profondo. Non posso resistere, non voglio resistere. Infine decido di continuare la discesa sino in fondo, al limitare del bosco. Ci salutiamo, augurandoci una buona giornata. Mi rendo conto che nemmeno so il suo nome. Mentre si allontana ci presentiamo, senza sapere se prima o poi le nostre passioni ci avrebbero portato nuovamente lungo la medesima traccia.
Da quel giorno non l’ho più rincontrato, nemmeno ieri, ma ciò che ritrovo identico ad allora è l’elegante spallone nord del Corno Stella che, tra ombra e luce mi regala un’opportunità per scendere con gli sci e poi immergermi nella selvaggia bellezza della Val Livrio. Ieri, non pago, con gli amici abbiamo vagato a lungo sull’altra faccia delle Orobie. Dalla diga del Publino abbiamo risalito il vallone sino alla Cima di Venina e poi al Monte Masoni. Spazi selvaggi, pendii immacolati, luoghi solitari e solo noi ad attraversarli con lo stupore di chi si sente testimone privilegiato di una confidenza che la montagna ti offre. Durante la discesa in Val Sambuzza, oltre il passo del Publino la nord del Corno Stella si staglia contro l’azzurro cielo. Ci fermiamo un attimo ad osservarla e sembra quasi impossibile che si possa scendere da lì. Forse senza quell’incontro fortuito non l’avrei mai discesa ed oggi non saremmo qui, distanti dal nostro punto di partenza e con tanta strada ancora da percorrere.

36 #UNIMMAGINEDICEPIUDIMILLEPAROLE - "The other side"

Sabato 25 ‎febbraio ‎2017, ‏‎14:28:00 – Orobie "The other side"

La Nature est un temple où de vivants piliers
Laissent parfois sortir de confuses paroles ;
L'homme y passe à travers des forêts de symboles
Qui l'observent avec des regards familiers.

 Charles Baudelaire, Correpondeces - Les Fleurs du mal

"La Natura è un tempio dove colonne viventi 
Talvolta lasciano uscire confuse parole; 
l’uomo vi passa attraverso foreste di simboli 
che l’osservano con sguardi familiari." C. B.

Io le montagne le devo attraversare, le devo vivere, le devo conoscere, mi ci devo immergere, mi ci devo perdere. E lì succedono molte cose, dentro e fuori di me, il corpo e la mente si fondono intimamente, l'esplorazione dei luoghi si accompagna all'esplorazione interiore. Questo accade tra le mie montagne.

Ieri.
Giornata lunga, giornata di soddisfazione. Tre cime intervallate da spazi immensi, nessuna traccia se non quelle dei camosci, nessuno in giro. Solitudine e silenzio. Neve e sole. Bianco e blu. Fatica e soddisfazione. L'altra faccia delle Orobie riesce ancora a regalarmi l'emozione di esplorare versanti e valli che non avevo mai percorso. Basta sporgersi e andare "Un millimetro in là" dove può accadere tutto e il contrario di tutto, dove non si può dare nulla per scontato, dove si può diventare Re di se stessi.

lunedì 13 febbraio 2017

24 #PICCOLE STORIE - Il ragazzo

“Ma poi, chissà la gente che ne sa,
chissà la gente che ne sa,
dei suoi pensieri sul cuscino che ne sa,
della sua luna in fondo al pozzo che ne sa,
dei suoi pensieri e del suo mondo.
Francesco De Gregori – Il ragazzo
Washington – Olympic National Park – Rialto Beach – Pacific North-West Trail
Il viaggio procede spedito e senza intoppi. La mongolfiera, sospinta dai venti che costanti spirano da nord est, sorvola la distesa d’acqua. L’oceano si stende a perdita d’occhio, in ogni direzione. La costa, da cui è partito nelle prime luci del mattino, ben presto è svanita. Quel grumo di terra e rocce, spazzato dai venti, inesorabilmente è stato fagocitato dalla linea dell’orizzonte, una perfetta sutura tra gli azzurri delle acque e i blu dei cieli. Il ragazzo, regolarmente, eroga gas al bruciatore e, con costanza, controlla l’essenziale strumentazione di bordo: un anemometro, una bussola, un altimetro ed un termometro. Nonostante la sua giovane età non è alla sua prima esperienza di volo, ma questa volta il suo progetto è temerario. Dapprima si era messo alla prova in brevi viaggi, sorvolando i monti e le pianure, seguendo un fiume o sopra i mari ma tenendo la linea di costa sempre in vista. Il tutto si risolveva nell’arco di uno o al massimo due giorni. Ora lo spazio senza limiti che gli offre l’oceano è il palcoscenico della sua prima vera avventura solitaria. Un luccicare raggiante e profondo, scaturisce dai suoi occhi, mentre controlla la carta nautica e fa il punto per verificare la rotta. Con gesti sicuri si sposta nella cesta di vimini. La sua piccola casa volante contiene quanto basta per il suo viaggio. Contenitori e sacche a tenuta stagna sono ben ancorati all’intelaiatura, racchiudono poche cose ben ordinate, essenziali e preziose: il combustibile per cucinare e per il bruciatore, il fornello e le stoviglie, il cibo e le scorte d’acqua, gli indumenti di ricambio e quelli per il maltempo, il sacco piuma per la notte. Quella navicella, sospesa al grande pallone giallo zafferano, sarebbe stata la sua casa sino al giorno in cui avrebbe raggiunto l’Isola. Se i suoi calcoli erano corretti e il maltempo non si fosse messo di traverso, entro la prima decade del mese avrebbe portato a termine la traversata. Il tempo scorre e il sole imperterrito sale, sino allo zenit ed oltre, lentamente prosegue e si abbassa sull’orizzonte. La mongolfiera avanza inseguendone la scia di luce che si stende sulle acque. Il ragazzo è costantemente indaffarato, concentrato nel compiere al meglio ogni cosa, attento. Non c’è spazio per la noia, c’è sempre qualcosa da fare, innumerevoli minuti gesti, semplici e vitali. Controllare gli strumenti, verificare la rotta, dare gas all’erogatore, cucinare, mangiare, bere. Piccole azioni che punteggiano la costante osservazione dello spazio che lo circonda e lo assorbe. I disegni delle correnti sul mare, gli arabeschi delle nubi nel cielo, i colori che inesorabili mutano senza tregua con l’avanzare del giorno e l’incedere della notte. A volte i voli dei cormorani, diretti chissà dove, lo sfiorano mentre, per alcune miglia, condivide la rotta con alcune balene. Ne segue i colpi d’ala sino a quando non si perdono in lontananza, ne ammira l’elegante fluttuare a pelo dell’acqua per poi vederle scomparire nelle profondità.
Spesso, da un cassetto fissato sotto la plancia degli strumenti, dove tiene le carte e fa i calcoli per la rotta, sfila un taccuino e scrive. A volte poche frasi, altre volte si intrattiene più a lungo e riempie intere pagine con una calligrafia minuta e ordinata, leggermente inclinata verso destra.
A volte si ferma e si sfiora le labbra con la sommità della matita. A volte la stringe tra i denti senza lasciare alcun segno nel tenero legno che ricopre l’anima di grafite. Osserva oltre il suo nido di vimini e acciaio, nylon e tela. Assorto scruta il mondo o forse si perde nelle profondità del suo animo, poi, d’improvviso, si rimette a scrivere. La notte si avvicina, notte buia e di luna nuova, solo le stelle a fargli compagnia. Gode degli ultimi raggi di sole che scaldano il viso e riverberano sul giallo fuoco della tela gonfia e tesa. È notte, si scalda qualcosa da bere mentre verifica ancora una volta la rotta. Nel buio il sibilo dell’erogatore pare più potente, mentre le fiammelle blu guizzano e danzano. S’addormenta.
Il corpo è percorso da un tremito. Si risveglia ed è confuso. Fatica a capire dove si trova. È supino a terra, le piastrelle, sotto di lui, sono gelide. La guancia ed il viso sono sudati e appiccicati alle pagine di un libro che gli fa da cuscino. Solleva il capo, sbatte le palpebre e si sfrega gli occhi con il dorso della mano, mette a fuoco le pagine sgualcite del suo atlante geografico e legge “Oceano Pacifico”. Si era addormentato e indistintamente ricorda qualcosa, forse un sogno. I brividi lo scuotono, con le mani solleva il busto dal pavimento, fa per alzarsi ma un conato lo piega in due e lo fa mettere sulle ginocchia. Vomita.
La mamma, richiamata dal trambusto, esce dalla cucina sotto il portico. Scuote la testa e guarda la scena. Il risotto giallo che aveva preparato per pranzo al figlio se ne sta la in una pozza maldigerita sul pavimento, sino all’ultimo chicco. Il figlio alza lo sguarda e la fissa incredulo. E lei impietosa: “Ragazzo! Te l’avevo detto di non sdraiarti a pancia in giù sul pavimento freddo. Adesso, pulisci!”

35 #UNIMMAGINEDICEPIUDIMILLEPAROLE - Ingordi

Domenica 12 ‎febbraio ‎2017, ‏‎13:03:58 – Vigna Vaga, Valsedornia (Valle Seriana)

Finalmente è arrivata e noi siamo tipi che ci si accontenta. Lei c’è e a noi tanto basta. Lei c’è ed è bellissima: bianca, candida, intonsa. Finalmente a ricoprire, con la sua magica coltre, le montagne di casa. Ingordi ci siam buttati. Non potevamo sottrarci dal godere di tutto questo candore e lo abbiamo attraversato, ce ne siamo nutriti, ci siamo letteralmente abbuffati. Salendo e scendendo. Vagando e concatenando: vette gremite da grappoli di scialpinisti e cime dimenticate. Boschi silenziosi e carichi di neve da attraversare. Ontanete fitte con cui litigare. Valloni immacolati dove lasciare la nostra traccia solitaria. Il tempo che passa e la fatica che cresce. La luce che cambia, la visibilità che migliora, qualche raggio di sole e la gioia che ad ogni curva ti fa subito scordare la stanchezza. 

giovedì 2 febbraio 2017

4 #APPUNTI - Irrequieto

IRREQUIETO
Potente il suo pulsare.
Immobile flusso
d’irrequiete forme glaciali.
Questo sento.
Profondo il suo gorgogliare.
Fragorosa irruenza
fissata nel gelo.
Così mi piace sentire.
Calma apparente,
come un velo a celare
l’intimo tumulto.

- mercoledì 1 febbtraio 2017 - #appunti