giovedì 20 luglio 2017

43 #UNIMMAGINEDICEPIUDIMILLEPAROLE – Grazie


Il diciassette è passato ed ormai ho scollinato il crinale a quota cinquetre. Altri crinali, colli e cime mi attendono, per essere saliti con gioia e non senza fatica, per giungervi con la fronte imperlata di sudore e gli occhi che brillano di fronte a nuovi orizzonti, nuove storie, nuove opportunità. E il mio andare sarà ancora più leggero sospinto dagli auguri e dalla vicinanza che gli amici, reali o virtuali che siano, mi hanno donato. A tutti ... grazie!

12 #CORRERE - Chiudo gli occhi


Chiudo gli occhi e corro
tra ricordi e immagini
dell'ultima corsa.
Corro nell'afoso imbrunire
e calura di savana sul viso
e buio che avanza
che ingoia la luce
dove il respiro s'affanna.
Corro sulle pietre assopite
e graffi di rovo sulla pelle
e sudore che brucia
che cola negli occhi
dove la paura s'arrende.
Corro nella brezza notturna
e colori a sfumare lontani
e luci che s'accendono
che brillano nel nero
dove il passo s'affonda.
Chiudo gli occhi e attendo
del rinnovato correre
quieto il momento.



lunedì 10 luglio 2017

34 #PICCOLESTORIE - Assoluto riposo


"Buongiorno!" La voce squillante dell'infermiera irrompe nella stanza. La luce si accende. "Come va? Dobbiamo monitorare i parametri." Esclama con tono allegro. Bofonchio qualcosa del tipo: "Bene. Va bene. Buongiorno." Sollevo il capo, cerco di riavermi da un dormiveglia tribulato e privo di sogni, senza comprendere subito dove sono. Un forte dolore alla schiena, un fastidio alle palle e all'uccello mi riportano alla realtà. Diamine! Che volo. È accaduto in Presolana. Era solo ieri quando con Giangi, dopo avere scalato il primo tiro di Antares, stavamo arrampicando sul traverso della Rino Olmo per poi salire Meteora. Ora eccomi qui in ospedale. L'infermiera è simpatica e pure carina, sorride mentre rileva temperatura, battito e pressione. Poi mi chiede: "Il dolore da uno a dieci?' Rispondo con un bel sei, un sei politico non lo si nega a nessuno, nemmeno al dolore. Intanto lei controlla la flebo per l'idratazione, il catetere e la sacca dell'urina. Oh Cristo! Me ne ero pure scordato: l'elicottero, l'ambulanza, il pronto soccorso, l'ecografia, la tac, la sala operatoria, l'anestesia ... il nulla e poi il risveglio in camera. Ora rivedo tutto lucidamente ma è come se osservassi da fuori, come se tutto ciò non fosse accaduto a me. Guardo l'infermiera, si muove con attenzione attorno a quelle cannule che entrano ed escono dal mio corpo. Mi viene da pensare che tutto ciò è bizzarro, non ho mai sperimentato nulla di simile, così straniante. L'infermiera aggiunge una flebo di antidolorifico, armeggia con l'ago che, fissato al braccio sinistro, entra nella mia vena. Ora sono due i tubicini che lo alimentano, regola i flussi. Mi guarda, con gentilezza mi dice "Buon riposo", spegne la luce e, trascinando il carrello con tutto l'armamentario, se ne va. Fuori è buio. Solo allora mi rendo conto che sono le quattro e mezza della notte. Mi riaddormento.
La mattina dopo. "Buongiorno" dice il primario mentre entra nella stanza accompagnato da tutto lo staff: il chirurgo che mi ha operato, l'altro medico, la caposala, l'infermiera di turno, tre specializzandi/e. "Come va? - mi chiede - Vediamo un po'!" Ohhh Signur! Ho capito bene? Mi sa che ho capito bene. Ha proprio detto "Vediamo un po'!'" Con qualche pudore scosto le lenzuola e tolgo la borsa del ghiaccio. Con un leggero imbarazzo li osservo, e non mi osservo, mentre disquisiscono e si confrontano sull'esito dell'operazione e sul decorso. Dopo un poco la caposala coglie, forse, il mio disagio e con una mano accenna a rimboccare il lenzuolo, colgo l'occasione e con gratitudine ne afferro l'altro lato, mettendo fine al pietoso spettacolo. Mentre da indicazioni sulle medicazioni e le verifiche da fare, il primario mi saluta e seguito dal suo team prosegue le visite in reparto.
Nemmeno quattro giorni dopo mi dimettono. Con un turbante di garze e cerotti, attorno alle palle, e un dolore ben localizzato, in corrispondenza della frattura alla nona costola, mi trascino fuori dalla stanza. Il chirurgo che mi ha operato mi consegna la lettera delle dimissioni, mi guarda, sorride e dice: "Mi raccomando assoluto riposo. Più lei riposa e meglio lavorerà il suo corpo per rimarginare le ferite e la frattura." Forse coglie una preoccupazione in fondo al mio sguardo e aggiunge: "Non si preoccupi, tutto tornerà funzionale, sia per gli aspetti riproduttivi che sessuali. Però mi raccomando, assoluto riposo. E tra due mesi l'aspetto per il controllo. Così verifichiamo se ho fatto un buon lavoro." Mi imbarazzo, abbozzo un sorrido, dissimulo. Ci stringiamo la mano, lo ringrazio e ci salutiamo. Da quando sono arrivato al pronto soccorso le battute sulle balle, intese come organi dell'apparato riproduttore, si sono sprecate. E mi sono fatto pure grasse risate con i medici che si sono presi cura di me e con gli amici che mi sono venuti a trovare.
Però! Alt un attimo! Va bene ridere e scherzare ma ai gioielli di famiglia, noi maschietti ci teniamo e non vorremmo mai che ... Insomma ci siamo capiti. Sapere che nonostante tutto loro, i gioielli, faranno il loro dovere, non so come dire, è una cosa che fa tirare il fiato. Ecco fatto, un bel respirone e, con molta attenzione, mi accomodo in saletta, su una sedia, ad aspettare Cristina. Mentre attendo apro la busta consegnatami dal medico e leggo. Ecco, se vi capitasse mai di trovarvi in una situazione simile, vi consiglio di non farlo, non leggete nulla. Non si scopre nulla di nuovo ma rileggere, in termini scientifici e medici, quello che è successo mi fa un poco impressione e mi sembra che il dolore si riacutizzi. Ripiego la lettera e la reinfilo nella busta. Arriva Cristina e me ne torno a casa.
Sono passate due settimane dal giorno dell'incidente e sono stato ligio alla consegna: assoluto riposo. In questi giorni mi sono preso cura di me e delle mie cose. Tra una puntura e una medicazione ho letto tantissimo e un poco ho scritto. Soprattutto mi sono ubriacato dei paessaggi che scorgo dalle finestre e dalla terrazza di casa. Godendo della luce e dei colori, dei cieli tersi e del vagare delle nubi, del continuo cinguettare della coppia di codirossi che hanno fatto il nido tra le tegole del tetto e delle ampie spirali disegnate in cielo dalle poiane nelle ore più calde. È tornata lentamente la calura e poi l'afa, giorno dopo giorno, e i cieli sono meno tersi. Mentre, notte dopo notte, la luna è cresciuta, sino a diventare tonda come una palla. Ops! Ecco che questa immagine mi fa percepire un dolore inesistente e mi riporta immediatamente alle mie magagne. Che fastidio! Meno male che nei prossimi giorni mi potrò liberare da questo turbante di garze e cerotti e finalmente infilarmi un bel paio di mutande in cui i miei attributi troveranno un comodo riparo. Continuando così a godermi l'assoluto riposo.


giovedì 6 luglio 2017

11 #CORRERE - D'acqua e di fuoco.

Canarie. Isole nate dal fuoco. Montagne che bucano le acque dell'oceano. Vulcani, esplosioni, magna, colate di lava, nubi di ceneri. Strato dopo strato, prendono forma e costruiscono nuove geografie. Luoghi da sperimentare, da esplorare e da conoscere​. 
Correre è un modo diverso per esplorare e conoscere. Correre è il piacere di immergersi nella natura primordiale. Correre soli, con il proprio corpo e la propria mente. Correre per riemergerne inquieti e con prospettive nuove.
A Lanzarote nemmeno 300 anni fa si è consumata l'ultima grande eruzione. Il paesaggio è spoglio, essenziale: nessun bosco, poca vegetazione, il profilo di vulcani antichi e recenti a disegnare l'orizzonte.
E osservo questo angolo di mondo fatto di fuoco e di acqua. Il vento, teso e costante degli alisei, che tutto scompiglia. Il fragore delle onde che si schiuma contro scogliere basaltiche. Le nubi che corrono, avvolgono, si ammassano e si dissolvono. Lame di luce che vengono e vanno, colori che si accendono e spengono. E la caparbia presenza dell'uomo che si adatta, che prende e modella, che crea e inventa, che si ritaglia i suoi spazi per vivere, con arte, con perseveranza.
E corro in questo fazzoletto di terra.
Correre sul bordo del cratere della Caldera Blanca, felice per il semplice fatto che un luogo così esista e io sia lì a godermelo con il mio girotondo.
Correre lungo la costa di Famara, sotto le sferzate del vento, con la pelle incrostata di salsedine e sabbia, e giungere in un villaggio senza un negozio, senza un bar, con le strade di ghiaia, e vedere dei ragazzini che escono di casa vestiti con una muta e con la tavola da surf sottobraccio, attraversare la strada ed entrare in acqua per cavalcare onde sotto un cielo inquietante.
Correre nel deserto delle lave di Timanfaya dove il nero domina e tutto assorbe, dove la solitudine mi sembra di toccarla e l'oceano con prepotenza vuole riprendersi uno spazio​ che era suo.
Correre nel sole, sull'orlo di scogliere vulcaniche antiche, con il gran caldo che prosciuga e brucia la pelle, e il desiderio di farmi una nuotata nell'acqua turchese delle cale sabbiose della riserva naturale del Papagayo.
E corro in questo angolo di mondo fatto di acqua e di fuoco.























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Orobie Ultra Trail