martedì 21 aprile 2020

VAGABONDI AD ORIENTE - CERCANDO L'INCANTO

Tre giorni intensi
vagabondando tra le pieghe
delle Orobie ad oriente.


È tardi. La prima giornata è stata lunga, molto lunga. È ora di rientrare al bivacco, un guscio di legno e lamiera rossa appollaiato sulla cresta, in un luogo incredibile. Ma ancora per qualche istante ci tratteniamo sulla vetta del Monte Torsoleto. L’intera Valle Brandet, ormai avvolta nell’ombra, si stende ai nostri piedi puntando dritta verso nord e là, in fondo, oltre le scure abetaie, il borgo di Sant Antonio si prepara alla notte.
Da quel pugno di case, incastrate alla confluenza delle valli di Brandet e di Campovecchio, ci siamo incamminati alle prime luci del giorno, con passo lento e accorto, sotto il peso di zaini carichi e con gli sci a spalla. Il torrente con il suo fragore ci tiene compagnia e, dopo il primo balzo, lentamente si quieta mentre risaliamo la vallata. A fare da controcanto c’è l’allegro cinguettare degli uccelli nascosti tra le chiome degli abeti. C’è profumo di primavera. Al rifugio Brandet il comignolo fuma e si scorge una luce oltre i vetri appannati, qualcuno si sta risvegliando. Proseguiamo tra chiazze di neve, pozze d’acqua ghiacciata e morbide lettiere di aghi e di muschi. Solo a Malga Casazza la copertura nevosa si fa continua e cospicua. La valle, sagomata da antichi ghiacciai, qui ha termine in un impressionante circo su cui convergono ripide valli laterali. Tutt’attorno, come una corona, svettano cuspidi candide che catturano i primi raggi di sole, brillano. Calziamo scarponi e sci, svoltiamo a destra e risaliamo la Valle del Piccolo. Gli abeti lasciano spazio ai larici e poi pure loro si diradano ed il pendio si fa sempre più ripido. Attraversiamo cumuli di valanga che fanno una certa impressione, cercando di non perdere la traccia labile del sentiero estivo. Attraversiamo la valle e ci portiamo in zone aperte dove dossi e conche si alternano a brevi tratti più ripidi. Dall’alto guardiamo i pendii del Palone di Lizzia solcati dalle valanghe, ora procediamo più tranquilli. Il paesaggio si apre, si fa imponente e ce n’è da colmare lo sguardo sino a ubriacarsene. Non vi è traccia alcuna di precedenti passaggi e gli unici segni di vita sono le corse e i balzi dei camosci o il frullare delle ali di alcune pernici bianche all’involo. Io e Marco per tutta la salita sappiamo solo dire “Che meraviglia!” e lo ripetiamo come fossimo due dischi rotti, senza aggiungere altro. Finalmente scolliniamo nel gigantesco catino che ospita il lago di Piccolo. Di questo specchio d’acqua, che riposa sotto metri di neve, so solo che è il lago naturale più grande di tutte le Orobie. Per fortuna nessuno lo ha imbrigliato con una diga e ne ha sfruttato le acque. Marco allunga la falcata, è impaziente di arrivare. Il profilo del passo e del crinale, che sale sino al bivacco Davide e alla vetta del Monte Torsoleto, si staglia contro il blu di un cielo oltremare. Sbucati sulla cresta restiamo senza parole, ormai il repertorio per esprimere il nostro stupore è stato abbondantemente saccheggiato, non possiamo che restare in silenzio. Davanti a noi l’intero crinale che divide la Val di Scalve dalla Val Camonica e, ben allineate come tante sentinelle, si dispongono le cime calcaree delle prealpi: la cima della Bacchetta, la cima di Baione, il Cimon della Bagozza e poi giù sino al Sossino e al Pizzo Camino, infine, in lontananza, la meravigliosa bastionata della Presolana. Per noi bergamaschi quelle sono le montagne di case, le terre conosciute, ma oggi abbiamo deciso di avventuraci per terre incognite, in questo lembo di Orobie al confine tra le valli bergamasche, valtellinesi e bresciane, dove è bello vagabondare con gli sci.

Il “Bivacco Davide” è accogliente. Svuotiamo gli zaini e spaliamo la neve. Il sole è caldo. Mentre sciogliamo la neve per fare riserve d’acqua, beviamo parecchio e mangiamo qualcosa. Ci riposiamo comodamente stesi contro le lamiere del nostro rifugio. La pace, la quiete e la solitudine sono assoluti e ci godiamo tutto in un silenzio sospeso. È fine aprile e le giornate sono lunghe, nel pomeriggio decidiamo di raggiungere la vicina vetta. Mettiamo nello zaino il minimo indispensabile, sapendo già che non resisteremo al meraviglioso pendio nord che abbiamo intravisto dal fondo valle. E così accade. Una rapida occhiata ad este, all’intero massiccio dell’Adamello e alle Prealpi Bresciane, e sul filo di cresta superiamo la linea d’ombra, dando inizio ad una discesa in neve fresca e leggera. Ci godiamo ogni curva, sempre più giù, sino dove si riesce. Poi, ci tocca risalire in vetta. È ora di rientrare al bivacco. Attendiamo il tramonto mentre sul fornelletto cuoce la zuppa e dalle sacche escono leccornie di ogni tipo e un ricambio di indumenti asciutti e caldi. Basta la fiamma del fornelletto e il lume di due candele per riscaldare un poco l’ambiente. Fuori è ormai buio ed il cielo è una trapunta nera imbastita di stelle.
Al risveglio tutto è ghiacciato. Riaccendiamo il fornelletto per scaldare la colazione e ci prepariamo per il secondo giorno. Abbiamo scorte per altri quattro giorni, siamo ottimisti pur sapendo che domani o dopodomani arriverà una perturbazione molto attiva che porterà copiose nevicate in quota. Oggi, giorno di Pasqua, iniziamo con una discesa ruvida, cercando una linea probabile per gli sci, tra balze rocciose, canalini e cumuli di valanga. Ancora una volta abbiamo lasciato il certo per l’incerto. Siamo scesi direttamente alla Malga Largone. Forse era meglio passare dal rifugio Torsoleto e dalla Cima dei Matti, sicuramente era più semplice. Poi, sempre con calma, abbiamo dato il via ad un lungo vagabondaggio sul limitare delle tre provincie: Brescia, Bergamo e Sondrio, le cui terre convergono e s’incontrano sulla bella piramide del Venerocolo. Quattro sono state le salite che poi si sono susseguite. Abbiamo assaporato ogni passo, ogni respiro, ci siamo incantati davanti ad ogni panorama, cogliendo anche i più insignificanti dettagli. Larici solitari si spingono alle quote più alte, a volte mi fermo e li osservo. I rami si flettono mossi dal vento, le gemme sono gonfie e pronte a cogliere il giusto attimo per dischiudersi. Sento pulsare la vita e riprendo il cammino. Dalla cupola ampia del monte Largone ci attende una discesa su velluto perfetto sino alle malghe di Sellero e di Sellerino. Poi, oltre il passo di Venerocolo, il sole ha lavorato leggermente la neve e qui disegniamo curve ampie e sinuose su di un “firn” perfetto, sino ai laghi sotto il passo di Venerocolino. Sulla salita al passo Demignone inizio ad accusare un poco di fatica che scordo immediatamente quando mi affaccio sull’impressionante vallone che scende a nord. Marco mi sta aspettando e freme per dare inizio alla discesa. Mi piace la compagnia di Marco, c’è intesa. Quando serve si viaggia vicini, ci si aiuta e sostiene, altrimenti ciascuno segue il suo passo i suoi ritmi, però senza mai perderci di vista, e ai cambi pelle ci si attende sempre per fare il punto e decidere insieme dove procedere. Nulla è scontato, ne siamo consapevoli e sappiamo che la nostra sicurezza e la riuscita del viaggio risiede nel lavoro di squadra. Ora c’è una valle solitaria, dalla neve intonsa e leggera, che attende di essere ricamata dai nostri sci. Insieme decidiamo dove saltare la cornice ed entrare sul pendio. Partiamo, mentre uno scende l’altro lo tiene d’occhio. Dove il pendio si fa più ampio e meno ripido si scende insieme. A malga Demignone ci concediamo una lunga pausa per riposarci, bere e mangiare qualcosa. Quindi, con il giusto ritmo e una buona crema abbronzante, spalmata ovunque, ci avviamo verso l'ultima salita. La lunga dorsale che sale dal passo di Belviso verso le creste che uniscono il monte Gleno al Trobe e allo Strinato, sino all’ampia sella del passo di Pila Grasso, si insinua netta e severa dentro il cielo, alla nostra destra. Da lì vorremmo passare domani, per andare a pernottare al rifugio Curò e proseguire oltre verso i 3000 delle Orobie. Purtroppo gli aggiornamenti meteo confermano l’arrivo della perturbazione ma noi continuiamo a sperare e rimandiamo la decisione a domani. Il sole è caldo ed il ripido pendio finale che ci conduce al passo del Vernano, ci fa sudare non poco. Ecco, ancora due inversioni e scolliniamo sull’ampia sella dove, poco più in basso, sorge il rifugio Tagliaferri, affacciato sul versante scalvino. Ci voltiamo ancora una volta verso il versante valtellinese, il tempo è bello, sembra impossibile che possa arrivare una perturbazione. La Val Belviso si stende sotto di noi e verdi foreste d’abete fanno da cornice all’immenso specchio d’acqua. Davanti a noi si mostra un altro lago da record, il lago del Belviso è l’invaso artificiale più grande di tutte le Orobie. Scendiamo al rifugio, il luogo è austero il paesaggio che lo circonda non è da meno. Spaliamo la neve per potere entrare nel locale invernale. È pulito e dotato del solo materiale per dormire, sul tavolo all’ingresso attrezziamo il nostro angolo cucina ed iniziamo a sciogliere neve sul fornelletto. Ben presto il rifugio va in ombra e il termometro precipita velocemente sotto lo zero. Si mangia e si chiacchiera, riusciamo pure a chiamare casa per dire che è tutto ok e per avere conferma delle previsioni meteo. Sopraggiunge la notte, usciamo per un ultimo sguardo che si perde in un cielo limpido e stellato. Questi momenti mi incantano, si chiude un’altra giornata solitaria in cui tutto è ridotto all’essenziale e la mente può vagare liberamente. È ora di andare a dormire.
Pasquetta. Un'alba livida ci accoglie al risveglio. Purtroppo le previsioni meteo ci hanno azzeccato. Oggi potrebbe anche andare di lusso ma domani arriverà una perturbazione molto attiva. Come avevamo paventato si cambia programma. Invece di proseguire verso le valli bergamasche, vagabonderemo ancora ad Oriente. Pochi passi ci conducono dal rifugio Tagliaferri al passo del Vernano. Che meraviglia, iniziare la giornata con una discesa. Oltre il crinale, che ci chiude la vista, c'è una montagna dalle forme eleganti, una piramide che svetta su queste terre, il Monte Telenek. Da lì si accede ad un luogo mitico per gli scialpinisti della mia generazione, il vallone delle Rose. Noi ci dirigiamo là. Velature più o meno consistenti si alternano a qualche schiarita, ma i cieli azzurri dei giorni scorsi sono solo un ricordo. Baite Radici di Campo, Malga di Campo, lago di Pisa, attraversiamo nuove valli e nuovi luoghi verso la nostra meta ed infine eccoci sul monte Nembra, di fronte alla piramide del Telenek. Il Vallone delle Rose è lì, che ci attende. Al suo termine la valle di Campovecchio promette una lunga ed infinita passeggiata. Ed infine si torna, con lo zaino colmo di emozioni, di esperienze e di nuove storie. Mentre gli occhi riposano nel verde le case di Sant'Antonio si avvicinano. E con l’amico Marco stiamo già fantasticando e progettando un nuovo vagabondaggio.

Articolo pubblicato su OROBIE Marzo 2020

LE TRAVERSIADI - Fuorilegge

Ore 3:30 del mattino. Era il 21 aprile di due anni fa. Primavera 2018.



Con l'amico Marco partiamo, senza sapere esattamente cosa troveremo lungo il cammino e se ce l'avremmo fatta a compiere l'intera traversata delle Orobie, dalla sponde del Lario alle rive dell'Oglio, in Valle Camonica.
Sulla carta i conti tornavano, avevamo pianificato tutto, nel minimo dettaglio: la traccia da percorrere, i metri di dislivello da affrontare, dove fare tappa, cosa mettere nello zaino e la logistica dei rifornimenti con il supporto degli amici. Ma nella realtà tutto poteva essere stravolto: la meteo. la neve, la tenuta fisica, le incognite dei passaggi chiave mai percorsi. Avevamo a disposizione 10 giorni e avevamo previsto 8 tappe, tenendoci 2 giornate jolly. Eravamo pronti anche all'inatteso, a fare fronte ad ogni traversia, a rimescolare le carte e cercare di continuare il viaggio. E con un sacco di dubbi che frullavano nella testa, ma una determinazione incosciente, quella mattina di due anni or sono, siamo partiti per la prima tappa.
Lo scavallamento del Grignone, in quella calda primavera, non era esattamente una tappa sci-alpinistica, era solo un vezzo a cui non volevamo assolutamente rinunciare: per attraversare i monti si deve partire dove questi emergono dalle acque. Partiamo leggeri, con il minimo indispensabile, 21 km di sviluppo e 2500 m di dislivello ci separano dalla cima del Grignone. La partenza da Varenna è surreale, in silenzio esaltato dai contrappunti sonori degli usignoli. E' buio e fa caldo. Prima di Esino ci coglie la luce del giorno, all'Alpe di Moncodeno, finalmente, calziamo gli sci e solo in vetta al Grignone incrociamo le prime persone, sedute a prendere il sole sulla panca all'ingresso del Brioschi. In Valsassina, ci attendono Alberto e Cristina, e nel pomeriggio recuperiamo il furgone. Da domani la "solfa" cambia, inizia la "vera" traversata e gli zaini "veri" sono già pronti con tutto il necessario per tre/quattro giorni, e pesano. Ad Alberto lasciamo le sacche con il materiale alpinistico, i rifornimenti e i ricambi, che ci farà avere a Foppolo, ed un'altra sacca per un eventuale altro rifornimento al Curò.
E in questi giorni di quarantena che nostalgia di quei giorni selvaggi, di quei silenzi, di quelle solitudini, di quella fatica in cui la gioia e la meraviglia si amalgamano nel sudore. Ora come allora nessun contatto, nessun contagio, nessun assembramento, io e Marco alla giusta distanza. Ma questo nostro alpinismo, a più di 200 metri da casa, ora è veramente fuorilegge?

E non vedo l'ora che riaprano i cinema per potere continuare a raccontare questa storia fatta di neve, di sci e di uomini: "Le Traversiadi - Cinque viaggi (più uno) al limite delle Orobie". Nel frattempo mi dedico a mettere tutto nero su bianco con pazienza, in un nuovo progetto editoriale: "ATTRAVERSARE – SCIALPINISMO NELLE OROBIE - Itinerari e Storie"

Amici, a presto.

VERSANTE SUD

#perdersinmountainbike - nose press & the snake


Ho un piccolo cortile triangolare. Un bel triangolo rettangolo, né troppo piccolo né troppo grande. L'altro giorno Stefano mi ha scritto "Fai girare le ruote, è una buona cosa per il lattice. Dai due compressioni alla forcella e all'ammo. E pure al reggisella e non lasciarlo compresso." Insomma, più che consigli suonavano come ordini, e mi pare d'avere intuito che la mia bici non poteva starsene ferma in cantina sino alla prossima uscita. E poi, chissà quando farò questa prossima uscita.
Da quel messaggio, a giorni alterni, prendo la bici dalla cantina e giro come un criceto nel mio cortile triangolare. Non troppo, quindici, venti minuti. Ad ogni vertice sostituisco cambio la direzione con un nose press. All'inizio era tutto goffo, un continuo fermarsi. Lentamente il movimento è migliorato ed è sempre più fluido. Ho pure iniziato a girare sia in senso orario che antiorario. Ma che fatica. Però c'è anche parecchia soddisfazione. Continuerò anche nei prossimi giorni, sino al giorno in cui potrò lasciare la casa. In quel giorno so già dove porterò a scorazzare la mia bicicletta. In Valle Vertova, dal colle di Dasla, parte un sentiero spettacolare che unisce una lunga diagonale selvaggia ad un'infinita teoria di tornantini che serpeggiano su di un versante scosceso. "Snake" è il nome con cui è conosciuta questa seconda parte.
Quando il lockdown verrà allentato e sarà possibile fare attività sportiva all'aria aperta, lontano dalla folla, con il giusto distanziamento sociale, partirò da casa in bicicletta e andrò lì. Il Ceresola Wild Trail mi aspetta e sullo Snake vedrò quanto saprò dominare il nose press e se il lavoro da criceto, nel cortile triangolare, è stato fatto bene.

Grazie a Stefano ed ora scendo in cortile.

More info - It. 53 MTB da Bergamo ai laghi di Endine e Iseo

Nella foto - Franco Zanetti in action sul Jag Extreme Trail.

#unimmaginedicepiudimilleparole - Spietata bellezza


Al limitare del borgo, a cento metri da casa, se ne sta arroccata su di un dosso la chiesetta di San Rocco, protettore degli appestati, dei contagiati, degli emarginati, degli ammalati, dei viandanti, dei pellegrini, degli operatori sanitari, dei farmacisti, dei volontari. Ed ogni mattina quando apro le imposte la vedo e subito il pensiero va alle tragiche cronache di questi giorni, ancor prima di accedere la radio ed essere travolto dalle notizie del contagio. E tutto ciò contrasta con la bellezza del luogo che risplende nella luce che inonda la valle. E poi, in questi giorni di primavera, si rinnova lo spettacolo. La chiesina e tutto il borgo sono avvolti dalla nube bianca dei fiori di ciliegio, decine e decine di piante in ogni dove. Una spruzzata candida e densa, sparsa attorno alle case e nei prati che a poco a poco sfuma nelle tinte brune dei boschi, dove il carpino ha dischiuso timidamente le gemme, nel verde tenero di giovani foglie, e l'orniello si appresta a dispiegare spighe fiorite, dalle tinte cremose e profumate. Ma ora è la bellezza dei ciliegi che stordisce e lascia ammutoliti, e quel ronzare di vita che ne popola le chiome.
I ritmi del mondo e della natura si rinnovano potenti, incessanti non si curano delle faccende umane, delle nostre gioie e dei nostri tormenti. La bellezza della natura non ha pietà e non si commuove e non partecipa al nostro dolore, alle nostre tragedie. Ma in questa bellezza trovo ristoro, trovo quiete, trovo la forza per immergermi nel vivere quotidiano. Ed il pensiero si fa chiaro e la nostra piccolezza è un dato di fatto evidente, impotenti di fronte alla bellezza del mondo.

Lei è lì, che io lo voglia o no. Lei è lì, che io la sappia cogliere o meno. E non posso non chiedermi, anche questa volta: “Chissà se ne facciamo parte, e in che misura, di tanta bellezza.”


 — presso Olera, Alzano Lombardo.

#neve - First love e la Tacca dei curiosi.


Ci sono attitudini a cui non si può rinunciare e che è bello coltivare, prendersene cura, fare crescere. Amare ed essere curiosi sono due attitudini, due modi d'essere, due propulsori che mi tengono vivo ed attento, in ascolto verso gli altri e pronto ad attraversare e accogliere il mondo.

Per inciso, la Tacca dei curiosi è un luogo magico, cercatela e andate a farci un giro.

#neve - con la luce

Sabato 01.02.2020 ore 17:28:07 

E alla fine del sabato, dopo tanta strada percorsa nella neve patocca, senza vedere praticamente nulla, vagando a vista dentro il bianco accecante delle nuvole basse, abbiamo capito che ne era valsa la pena. La luce dell'ultimo sole filtrava tra due strati di nubi e tutto ciò che non avevamo visto per l'intera giornata si è mostrato nella sua magnificenza. Gli zaini continuavano ad essere pesanti e la fatica si faceva sentire, come il freddo che mordeva le mani, ma noi ci sentivamo leggeri e appagati nel trovarci lì, avvolti nella luce del tramonto. E quell'intera giornata passata a cercare la giusta strada veniva illuminata da un senso compiuto. Eravamo lì per dare soddisfazione ai nostri desideri. Eravamo semplicemente lì, vuoti e pieni nello stesso istante, con lo sguardo colmo di tanta meraviglia.
Ancora un'ora ci separava dal locale invernale che ci avrebbe accolto per la notte. E intanto le nubi si dissolvevano nel silenzio della notte, svelando una luna candida e una luminosa spruzzata di stelle.

#spartiacque - Giorno unodidue
Passo di Zambla, cima Grem, cima Foppazzi, baite Camplano, Capanna 2000, Sentiero dei Fiori, baita di Vedra, passo Branchino, baite di Mezzeno, passo laghi Gemelli, rifugio laghi Gemelli (locale invernale).
12 ore; 27,20 km; 2.300 m D+


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Domenica 02.02.2020 ore 11:09:56 

Giornata strepitosa in cui devo fare il conto con le mie ambizioni, sempre troppo oltre le mie reali possibilità. Sulla carta sembra tutto facile, tutto veloce, tutto già fatto. E mi immagino di arrivare velocemente al Diavolo di Tenda. Poi, quando mi metto in cammino, tutto cambia. Lo spazio topografico diviene spazio reale da attraversare con la sola forza dei miei muscoli, il battere del mio cuore, il ritmo del mio respiro e una volontà caparbia a cui sono affezionato. Non mollare. Mi godo allora ogni passo, ogni sosta, ogni sguardo, ogni parola scambiata con il mio amico Marco. Mi godo pure il peso del zaino. Procedo, lungo lo spartiacque, colle dopo colle, cima dopo cima. Lascio scorrere il tempo senza affannarmi, dosando le energie che ancora mi restano. Attraverso e mi lascio attraversare, mentre scivolo sulla la neve.
#spartiacque - Giorno duedidue
laghi Gemelli, passo d'Aviasco, Monte dei Frati, Monte Val Rossa , Monte Cabianca, Lago dei Curiosi, Tacca dei Curiosi, Monte Madonnino, Baita Cernello, Monte Segnale, Valgoglio.
10 ore; 25,00 km; 1.500 m D+

#neve - con la linea

Domenica palindroma 02022020 ore 15:52:10
In due giorni volevamo intrecciare il nostro viaggio con la linea spartiacque che divide le valli Seriana e Brembana, partendo dal passo di Zambla. E così è stato. Due lunghe e intense giornate immersi nel white-out, sabato, e nei cieli delle Orobie, domenica. E in vetta al Monte Madonnino abbiamo preso atto che il Pizzo del Diavolo di Tenda era ancora molto distante. Le punte dei nostri sci hanno quindi virato decisamente verso valle, regalandoci una superba discesa sino in Agnone e poi una piacevole passeggiata, al calare della notte, sino al bar Centrale di Valgoglio.
I viaggi con gli sci, quelli lunghi, quelli belli, quelli che ti svuotano di ogni energia e ti riempiono di un profondo piacere. Ecco, questo è lo sci che più amo.

#neve - il coniglio

- dida alla foto: se guardate bene dal mio zaino sbuca il capino del coniglio e si possono scorgere le sue orecchie che sventolano felici

Ve lo ricordate "Il coniglio che c'é in me"? Si proprio lui. Ecco, gli anni passano e lui mi tiene sempre compagnia. Anche ieri ha cacciato la testa fuori dalla tana. Lui è attento e sempre in ascolto del mio sentire, percepisce al volo le mie incertezze, le mie paure. Lui, anche se è un coniglio, è spietato le prende e me le schiaffa in faccia "Non fare il coglione!"
 mi dice "Non prenderti dei riuschi inutili."
Anche ieri ci ho discusso un poco, con il mio coniglio. Già in visita del canalone del Monte Corte lo sentivo agitato. Cacciava fuori la testa e si godeva l'inaspettato sole, si guardava in giro ma un filo d'inquietudine segnava i suoi movimenti. Io dissimulavo sicurezza. Con Re Cardu abbiamo risalito la conoide gli sci ai piedi sino alle fessure d'assestamento che solcano la coltre di neve. Oltre, il pendio s'impenna. Ci togliamo gli sci e li infiliamo sullo zaino. Cardu parte senza alcuna esitazione, lo conosco e non c'è bisogno di dircelo che porterà gli sci fino in cima con l'intenzione di sciare l'intero canalone. Il coniglio che c'é in me lo lascia allontanare e mi dice: "Tu, non fare il pirla!"
"Tranquillo, ci sono le peste che Barbara e i suoi amici hanno lasciato giovedì scorso, ma visto che la neve è dura e gelata ora metto i ramponi."
"Ci mancherebbe che tu non li metta, e prendi anche la picozza."
Inizio a salire, la neve è proprio gelata, presto attenzione. Scatto due fotografie a Cardu che procede spedito ed è già alto. E lui, il coniglio, se ne sta con la testa fuori sempre allerta. Mi fermo un attimo e osservo tutto il canale valutando i cambi di pendenza. Lui allunga la testa e drizza le orecchie "Ehi tu! Non fare il furbo con me, ho capito quali sono le tue intenzioni."
"Ma no tranquillo, ora la neve è dura ma più tardi il sole l'avrà scaldata quanto basta e poi ci sono i giusti spazi per curvare."
"Te l'ho già detto, non fare il pirla. E poi la parte finale è ancora più in piedi."
Effettivamente non ha tutti i torti, sopra di noi ...



Sopra di noi, ovvero sopra di me e del mio coniglio, il pendio si fa più ripido e lo scivolo di neve muore contro le rocce della cresta finale. Salgo ancora un poco e, approfittando di un cambio di pendenza, mi fermo. Sfilo gli sci dallo zaino e pianto le code nella neve dura. Sento che il mio coniglio sta tirando un sospiro di sollievo. Riprendo a salire e lui, forse non del tutto soddisfatto, non perde l'occasione per lasciare cadere li una frase sospesa " ... e poi ... ne riparliamo ... se partire con gli sci da qui." Lo lascio dire. Effettivamente è un pensiero che ho avuto anche io, ma non gli voglio dare soddisfazione. Non replico e continuo a salire.
Re Cardu mi sta aspettando sulla cresta e insieme ci godiamo l'arrivo in vetta, il sole inaspettato, il panorama dalla sommità di una cima che mai avevamo salito. Valutiamo l'itinerario per rientrare a Valcanale. Passeremo dalle baite di Campagano, dalla Valsaguigno e dal passo di Zulino. Si può fare.
È giunta l'ora di scendere. Tornati all'intaglio, ci portiamo alla sommità dello scivolo di neve. "Minchia se è in piedi" esclama il mio coniglio. Cardu si prepara. Io inizio a scendere sino al mio deposito sci, ben contento di avere i ramponi ai piedi e la picozza in mano. Però il sole ha fatto il suo dovere, la neve si è scaldata ed è morbida in superficie. Buona cosa per accogliere il lavoro delle lamine. Giunto agli sci, anche il mio coniglio tace, non ci diciamo nulla ma entrambi sappiamo di avere raggiunto un accordo, mentre osserviamo Cardu che scia sicuro e ci raggiunge. La neve è proprio bella, le condizioni sono ottimali. Calzo gli sci, chiudo gli scarponi e con attenzione, sotto lo sguardo sorridente del mio coniglio, inizio a scendere e mi godo il piacere di essere qui sospeso tra i monti di casa.




#neve - ingaggio

Oggi con Re Cardu ci siamo ingaggiati nel ripido canalone del Monte Corte e poi abbiamo vagabondato tra la Valcanale e la Val Sanguigno, nella solitudine più totale. Che bello!


#neve - The King in action


Re Cardu, al secolo Marco Cardullo. Con lui, in questi ultimi anni, il mio scialpinismo è sempre di più diventato vagabondo, esplorativo, in una continua ricerca dell'incerto o, come in questa foto, alla ricerca di risultati incerti in luoghi certi. E tra le pieghe delle montagne di casa continuare a sorprendersi ogni volta che, a pochi metri dalla folla, si trovano ancora lenzuola candide da stropicciare.