Via Cassin - Nord-est Pizzo Badile
domenica 21 novembre 2021
#labiciclettaeilbadile - diario di produzione – TRE
Domenica 15 agosto - Buio. "Mauri è ora". La voce di Marco mi sveglia. Ho dormito bene. Prima di salire una grande parete generalmente dormo un sonno agitato. Questa volta no. Ma è da molti anni che non scalo su una grande parete. Per la terza volta mi trovo al cospetto del versante nord del Pizzo Badile. L'ultima volta era il luglio del 1992, ne è passato di tempo. Allora scalai "Un altro giorno in paradiso" in compagnia di quattro fantastiche fanciulle. Ma questa è un'altra storia. Lo zaino è pronto. Prepariamo un te caldo mentre riponiamo materassino e sacco piuma. Luci di frontali si avvicinano, voci dal buio salutano, e vanno oltre. In parete oggi ci saranno altre cordate. Inizia a schiarire. Spegniamo le frontali. Salutiamo Carlo e Alberto e ci diamo un appuntamento per la sera al rifugio Sasc Furà. Arriviamo all'intaglio ai piedi dello spigolo nord, tutte le cordate sono lì, solo una è alla base del diedro Rebuffat, dove ha inizio la via Cassin. Lo specchio di granito della est è immenso. Le condizioni sono perfette, la parete è asciutta e la luce del sole ne lambisce la vetta. Sono tranquillo ed estasiato di fronte a questo spettacolo. La luce inizia a colare lungo gli scudi granitici e noi percorriamo la lunga cengia che taglia la base della parete sino all'attacco. Riccardo Cassin nel '37 era partito direttamente dal ghiacciaio, duecento metri più in basso e dopo tre giorni di scalata raggiunse la cima, una storia epica, una storia di altri tempi. Sotto di noi la massa glaciale si è fortemente ritirata ed è solcata da un dedalo di crepacci fitto, un labirinto estetico e affascinate. Il Cengalo con la sua immensa ferita è ancora in ombra, così pure le Sciore, oltre il cui profilo dentellato fra poco farà capolino il sole. Marco parte e si inizia a scalare. Prendiamo il ritmo. Ci alterniamo in testa alla cordata. Sulle prime lunghezze ci raggiunge il sole. Incredibile, scaliamo in maglietta. Fa caldo. Siamo due puntini insignificanti persi in un mare di granito, lo solchiamo con attenzione e senza perdere la rotta. Tutto attorno è selvaggia bellezza. Stiamo bene e ci godiamo ogni attimo, ogni appiglio, ogni diedro, ogni fessura, ogni placca. Movimento dopo movimento ci spingiamo inesorabilmente verso l'alto. La stanchezza dei due giorni precedenti inizia a farsi sentire, rallentiamo. E ripenso ad Hermann Buhl. Lui, la nostra fonte d'ispirazione, nel 52 era arrivato dall'Austria a Bondo in bicicletta e poi aveva scalato la via in solitaria, in quattro ore e mezza. Ora che sono qui mi rendo esattamente conto di cosa avesse fatto, se poi penso alle biciclette e alle strade di allora non posso fare altro che restare ancora più esterrefatto. I pensieri e le riflessioni si susseguono e si intrecciano con la scalata dando un senso compiuto al nostro salire. Il come e non il cosa è ciò che cerco di perseguire. I diedri finali sono faticosi ma nulla tolgono al piacere che provo nell'arrampicare. Dopo 10 ore di scalata, 18 lunghezze di corda e circa 800 metri di sviluppo siamo sulla cresta finale. Volgiamo le spalle alla vetta e iniziano a scendere, attenti e con la giusta tensione. Percorriamo il sinuoso filo dello spigolo nord. Sospesi nella luce della sera, doppia dopo doppia, ci inabissiamo verso l'ombra che sale, prima che il buio ci colga. Sono le 11 della sera quando arriviamo al rifugio dove ci accolgono Alberto, Carlo, Heidi ed un piatto di minestrone fumante accompagnato da una fresca birra.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento