lunedì 28 dicembre 2020

NON PUÒ ESSERE TUTTO COME PRIMA

 Marzo 2020

Ho un piccolo cortile triangolare. Un bel triangolo rettangolo, né troppo piccolo né troppo grande. A giorni alterni, in pausa pranzo, prendo la bici dalla cantina e giro come un criceto nel mio cortile triangolare. Non troppo, quindici, venti minuti. Ad ogni vertice cambio la direzione con un nose press. All'inizio era tutto goffo, un continuo fermarsi. Lentamente il movimento è migliorato divenendo più fluido.

Ho una parete esterna della casa fatta di pietre antiche, blocchi di calcare che testimoniano 600 anni di vite accolte tra queste mura. Tutte le sere con Leonardo, mio figlio, strizziamo le piccole tacche e sfioriamo le minerali rughe, senza esagerare, traversi e passaggi. Io sogno le grandi montagne, lui i boulder tra i prati di fondovalle.

Quando il lockdown verrà allentato e sarà possibile fare attività sportiva all'aria aperta, lontano dalla folla, con il giusto distanziamento sociale, partirò da casa in bicicletta ritornando tra i monti.

Quindi continuo giorno dopo giorno a girare come un criceto nel cortile triangolare e sul muro di pietra, sino a quando non potrò allontanarmi da casa.

Aprile 2020

Al limitare del borgo, a cento metri da casa, se ne sta arroccata su di un dosso la chiesetta di San Rocco, protettore degli appestati, dei contagiati, degli emarginati, degli ammalati, dei viandanti, dei pellegrini, degli operatori sanitari, dei farmacisti, dei volontari. Ed ogni mattina, quando apro le imposte, la vedo e subito il pensiero va alle tragiche cronache di questi giorni. Poi accedo la radio e vengo travolto dalle notizie del contagio.

E tutto ciò contrasta con la bellezza del luogo. E la luce del giorno inonda la valle.

I ritmi del mondo e della natura si rinnovano potenti, incessanti avanzano e non si curano delle faccende umane, delle nostre gioie e dei nostri tormenti. La bellezza della natura non ha pietà, non si commuove e non partecipa al nostro dolore, alle nostre tragedie.

In questa bellezza trovo ristoro, trovo quiete, trovo la forza per immergermi nel vivere quotidiano.

Ed il pensiero si fa chiaro e la nostra piccolezza è un dato di fatto evidente.

Siamo impotenti di fronte alla tragedia e alla bellezza del mondo.



Maggio 2020

Avevo un’idea da tempo, che vagava da un neurone all'altro.

Il confinamento da Covid 19 ha fatto impazzire i due neuroni che, grazie ai tre mesi avuti a disposizione, sono riusciti ad agganciarsi tra loro e scoprire l’esistenza e l’utilità delle sinapsi. Una volta connessi non si sono più lasciati, alla faccia del distanziamento sociale, dell’amuchina, della mascherina e dei guanti. Il post confinamento ha poi mandato l’impulso al resto del corpo, mettendolo in azione.

Quindi, nell’ordine: la voglia di uscire, le restrizioni agli spostamenti, le ordinanze di chiusura di alcuni comuni, la necessità di distanziamento, il divieto agli assembramenti hanno stimolato i due neuroni che, stretti a braccetto, mi hanno apostrofato "È giunto il momento di partire e di fare. Ricordatelo! Non può essere tutto come prima."

Si abbozza un’idea.

Si tira una linea rossa.

Si parte per un nuovo viaggio a pedali.

Con un refrain fisso in testa: non può essere tutto come prima.

Questi mesi emergenziali mi hanno portato ad affrontare ogni questione cercando di spostare il punto d’osservazione, nel tentativo di avere uno sguardo rinnovato sul mondo e sulle cose.

Ecco, l’idea era già nell’aria, disarmante nella sua semplicità.

Salire in bicicletta, partire da casa, scalare una montagna e tornare a casa.

Me lo ero ripromesso durante il lockdown. Non può essere tutto come prima.

Piccole azioni, semplici e concrete, per ribadire, prima di tutto a me stesso, che dopo tutta questa tragedia non posso tornare a fare le cose come se niente fosse e non solo nella quotidianità scandita dai ritmi della famiglia e del lavoro. Con la consapevolezza che ciò non trasforma il mondo e non risolve i problemi, ma può aiutare a cambiare, a fare pulizia, a ridurre tutto all'essenziale, insomma a fare delle scelte.

Ho iniziato con un giro bici&sci tra i Giganti delle Orobie, una specie di tributo a chi non c’è più e alla mia valle, la Valle Seriana. Qui il virus ha fatto una strage, non solo per la sua letalità congenita ma per scelte irragionevoli e irresponsabili, per una miopia manifesta della politica o, per meglio dire, per un’eclatante mancanza della Politica intesa nel suo senso più elevato: come atto di cura della cosa pubblica e del benessere di una comunità.

Nel mio comune, Alzano Lombardo, dal 23 febbraio al 27 marzo, 101 sono stati i morti, invece che i 10 dell’anno precedente, e solo 24 sono ufficialmente deceduti a causa del COVID. Moltiplicare questi numeri per i mesi del lockdown e per i comuni della bassa Valle Seriana, mette i brividi, toglie il fiato. Pensare che dietro ad ogni numero c’è una persona, una perdita, un vuoto da colmare, reti affettive e familiari lacerate, mi indigna come cittadino e come uomo mi sento in obbligo di farne anche solo testimonianza.

A questo penso mentre pedalo e torno tra i monti e mi ripeto: non può essere tutto come prima.

In questo viaggiare voglio sperimentare non il quanto ma il come, attraversare geografie e territori, incontrare chi ci vive, senza lasciare tracce ma raccogliendo immagini, emozioni e storie, anche storie di perdita, di morte e di assenza.

Così ricomincio e continuo a pedalare e a scalare cercando di dare un senso al mio agire.


Agosto 2020

Ed è la volta del ritorno sulle bastionate della Regina, per festeggiare l’anniversario di “A Federico”.

Quarant'anni fa, il 9 e 10 agosto, l’amico Ennio Spiranelli, giovanissimo, in compagnia di Gigi Rota e Sandro Fassi, segna una svolta nel mondo dell'arrampicata orobica. I tre, sulla parete sud della Presolana di Castione, salgono una nuova linea “A Federico”, dedicandola ad un amico, scomparso, poco tempo prima, per un incidente in canoa. Federico Madonna era un mio compaesano, i genitori avevano una macelleria in via Mazzini, vicino alla Basilica, ora c’è la sede del CAF-CGIL. Gli amici mi raccontano qualcosa di lui “Eravamo giovani. Lui era forte e rivoluzionario, in aperto contrasto con gli ambienti conservatori di quell’alpinismo classico di quel periodo” in cava a Nembro faceva passaggi incredibili e in Val di Mello si aggregò al gruppo dei Sassisti, era il più veloce di tutti nel risolvere i passaggi più difficili. La prima salita di “Patabang”, un capolavoro, una linea improteggibile che si sviluppa sulle placconate di granito della Valle, è sua. Ennio, Sandro e Gigi, dedicandogli la nuova via, ne consegnano il ricordo alle generazioni future. La scomparsa si trasforma in presenza, in memoria. Federico ci ha lasciati ma una traccia del suo passaggio resterà e non solo nel nome di una via d’arrampicata.

La via, a differenza di quanto si faceva allora, rimane chiodata e con le soste attrezzate a disposizione di chi volesse ripeterla. Per una ripetizione bastavano una scelta di excentric e dadi (allora i friends non si usavano e forse non c’erano ancora). “A Federico” diventa una della classiche moderne più ripetute della Presolana. Ancora oggi è protetta con soli chiodi e rimane una linea mai banale e che obbliga ad uscire in vetta per creste e sfasciumi, con una discesa severa e selvaggia. Dieci sono le lunghezze di corda, la linea è bellissima e la roccia pure, le difficoltà arrivano al VI+ e al VII.

Quindi per festeggiare l’anniversario non posso tornare sui bastioni della Regina, come per una ripetizione qualsiasi. Questi mesi emergenziali mi hanno portato ad affrontare ogni questione da una prospettiva diversa, nel tentativo di avere uno sguardo rinnovato sul mondo e sulle cose.

Marco è l’amico e il socio giusto per queste allegre mattate, lui è a scalare in Val dei Mulini, porta d’accesso alla Presolana di Castione. Lo chiamo e gli dico che, passati i temporali, lo raggiungerò per poi salire a dormire in zona rifugio Rino Olmo. Carico la bici di tutto il necessario per dormire e scalare. Il cielo ad ovest è di un blu lavato e pulito che profuma di fresco, ad est è ancora nero e temporalesco. Parto. Scendo in paese e risalgo la valle lungo la ciclabile, attraverso l’altopiano di Clusone in un tripudio di luce, l’aria è frizzante. Raggiungo Marco a Rusio. Mentre fa buio saliamo al rifugio Rino Olmo, lui a piedi con il suo zaino, io in bici con le mie borse. Tra gli abeti le lucciole punteggiano intermittenti il buio. È notte quando stendiamo i sacchi a pelo contro il muro del rifugio. Domenica 12 agosto, la Regina si mostra in un tripudio di luce e di colori. Arriviamo all’attacco, come al solito, le nebbie inghiottono tutto e fa freddo. Scaliamo sospesi nel nulla, a volte i ghiaioni appaiono ai nostri piedi, a volte sembra che il sole sia lì, pronto ad uscire, e ne sentiamo il tepore. Le dita si scaldano subito ed è bello arrampicare: il traverso, la mezzaluna, la madonnina, il camino, il gran diedro dell’ottavo tiro. Poi le creste e la vetta e la nebbia che mi disorienta, fatico ad individuare la giusta discesa. E penso a 40 fa, ad Ennio che, a 18 anni, era con Gigi e con Sandro.

Tornati al Rino Olmo, facciamo due chiacchiere con i rifugisti. Ci raccontano di questa strana estate, delle misure anti-covid adottate, dell’impossibilità di gestire i pernottamenti ma delle tantissime persone salite a trovarli. Centinaia di escursionisti che si sono goduti la montagna con consapevolezza ed attenzione. Ci gustiamo la compagnia, una tazza di tè bollente ed una fetta di torta di castagne, squisita a tal punto che Marco, grande chef, vuole la ricetta. Infine ci salutiamo. Marco rientra a piedi in Val dei Mulini. Io carico la bici e la spingo sino al passo degli Agnelli. Un’ultima fatica e poi mi attende una lunga ed infinita discesa su uno dei percorsi più belli per la MTB. I ghiaioni della Presolana di Castione, il Colle Presolana, il sentiero delle Capre, che circumnaviga le Corzene, Malga Cassinelli e il Passo della Presolana. Attraversato l’asfalto riprendo il sentiero sino a Lantana e poi giù in Val di Tede e i suoi lunghi sterrati sino ad Onore. Infine la ciclabile. Pedalo lungo il fiume Serio, attraverso la mia valle che si sta riprendendo, cercando di rimarginare questa ferita invisibile ed ancora aperta che ha segnato le vite di tante famiglie. I pensieri non sono allegri, ma questo è, e mi godo il fresco del tardo pomeriggio. La bellezza dei luoghi e della giornata trascorsa leniscono e aiutano a trovare un senso. È buio quando attraverso il centro storico di Alzano, mi fermo un attimo nella piazza della Basilica per riempire la borraccia. Lì vicino c’era la Macelleria della famiglia Madonna. Quarant’anni sono passati ed il ricordo di quel giovane uomo è ancora tra noi. Mi siedo per un attimo sui gradini della chiesa, sorseggio l’acqua fresca della fontanella e il silenzio mi avvolge, un silenzio accogliente che segna questa sera d’estate. Due persone attraversano la piazza e parlano sommessamente, il volto coperto dalle mascherine. Non posso non tornare alla paura che ho respirato a marzo, attraversando la piazza, e al silenzio pesante di questa primavera. Tutti eravamo chiusi in casa e nemmeno più suonavano le campane e le ambulanze, a sirene spente, sfrecciavano verso l’ospedale.



Saremo capaci di non dimenticare e di ricordarci di quanto accaduto in questo tragico 2020? Sapremo uscirne, non migliori, non peggiori, ma diversi? E mentre queste domande prendono forma e forza nella mia testa, con la consapevolezza che non potrà essere tutto come prima, riprendo la bicicletta e affronto con calma la salita sino ad Olera. Sono le 21 quando varco la soglia di casa, soddisfatto e colmo di stanchezza e di pensieri.

Uno va ad Ennio, Sandro e Gigi, e ad un giorno di 40 anni fa.

Uno va a Federico, che non ho avuto la fortuna di conoscere.

Uno va alla mia valle ferita e a tutti coloro che ci hanno lasciato.

 

28 dicembre 2020, Olera – Alzano Lombardo (BG)



“Questa storia partecipa al Blogger Contest 2020”



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