sabato 22 marzo 2014

GRAZIE MARCO

Marco ci ha lasciati.
Venerdì 14 marzo, nel rincorrere un sogno, sul granito perfetto della Jori Bardill al Pilone Centrale del Freney, ha varcato il limite della realtà, lasciandoci una montagna di emozioni, di tristezze e di lacrime. Ma anche il ricordo indelebile del suo sorriso, del suo entusiasmo che contagiosi si diffondevano attorno a lui. Questo voglio ricordare di Marco e lasciare il magone in sottofondo, voglio colmare il vuoto che ha lasciato inseguendo i sogni con passione e tenacia, essendo sempre pronti a meravigliarsi ogni volta come se fosse la prima volta.
"Ma sai che bello?" Mi ripeteva ad ogni pausa mentre camminavamo e scalavamo in Grignetta. Eppure quei luoghi li vedeva tutti i giorni e su quelle rocce aveva scalato infinite volte, nonostante questo lo stupore continuava a fargli luccicare gli occhi. "Ma sai che bello!"
Lo scorso autunno per OROBIE ho scritto un racconto che narrava di una giornata passata tra le Grigne con lui ... indimenticabile!
Proprio così voglio ricordare il Marco.



MARCO ANGHILERI – Ho bisogno di respirare
Il vento soffia tra le guglie della Grignetta. Le nebbie salgono dalla Valsassina a sfilacciarsi lungo la cresta Senigalia, sino ad avvolgere i Torrioni Magnaghi. Saliamo veloci e ci concediamo brevi soste per due chiacchiere, una battuta. Marco mi guarda, i suoi occhi sembrano ridere, e dice: “Ascolto le sensazioni e poi vado”. Mi parla del suo andare in montagna, del suo alpinismo: “Parto, senza un’idea chiara, comincio a girare mi lascio andare alla libertà di …” s’interrompe, corruga la fronte, cerca le parole, quelle giuste. Si guarda attorno e sorride, riaggancia il mio sguardo, ha trovato le parole giuste: “Sento che ho il bisogno di respirare.” Si volta lentamente e ammira le pareti delle sue Grigne, le scruta come fosse la prima volta, come fossero terre incognite, terre ricche di promesse e d’avventura. Poco dopo mi dirà: “Ancora adesso, a quarant’anni, riesco ancora a trovare dei nuovi angoli, dei nuovi scorci, dei nuovi posticini …”

Marco, nato a Lecco nel 1972, è figlio d’arte. Il padre, Aldo Anghileri, forte alpinista lecchese, non lo ha mai forzato. Anche se in casa si respirava “aria di montagna” lui un poco, la montagna, la temeva e si è dedicato al calcio sino all’adolescenza. Mentre si racconta continuiamo il nostro cammino tra le guglie della montagna di casa, un microcosmo a cui è intimamente legato. Nella voce e nello sguardo si coglie ancora l’entusiasmo, il medesimo di quando era un ragazzino alla scoperta del mondo verticale, quell’entusiasmo trasmessogli dal fratello Giorgio, che ricorda con orgoglio: “Lui era innamorato della montagna sin da bambino, lo vedevo rientrare, dalle giornate d’avventura, felice, contento. – e continua – Quindi mi dicevo: Se la montagna da questa felicità, fammi provare. Ho provato una volta e da lì non ho più smesso.”

Marco brucia le tappe e in pochissimi anni sale vie prestigiose e difficili su tutto l’arco alpino. Tra il 1992 ed il 2000 inanella una serie di prime salite in solitaria sia d’estate che d’inverno, di assoluto rilievo. D’inverno mette in gioco tutta la sua tenacia, la sua capacità di restare tranquillo, di sapere resistere e procedere anche quanto appare impossibile. D’estate polverizza i tempi delle ripetizioni, in questa stagione velocità è la sua parola d’ordine.

Il capolavoro di quegli anni, la salita che lo ha portato definitivamente sulla ribalta alpinistica internazionale è la prima ripetizione solitaria invernale della Via “Solleder-Lattembauer” sulla parete nord-ovest della Civetta (3.218 m). Qualcuno, a ragione, affermò “Una delle più grandi imprese mai realizzate sulle Dolomiti”. Negli inverni precedenti ci aveva già provato una volta, finalmente, dal 14 al 18 gennaio 2000, in totale solitudine, scala gli oltre 1000 metri di questa via storica, dove per la prima volta si parlò di VI° superiore. Ma quando parla delle sue invernali torna sempre sui monti di casa: “Le invernali sono nate in Grigna, dove ho iniziato a sentire il piacere di andare a ravanare”. Marco non scomoda teorie filosofiche, non fa tanti giri di parole, quando parla delle sue salite è semplice e diretto, essenziale: “Le solitarie ormai fanno parte di me. Non le cerco, non mi spingo per andarle a fare. Ci sono dei momenti che arrivano da sole. Sento il bisogno, la voglia di andare e di stare un po’ solo, che siano poche ore o qualche giorno, a casa o in Dolomiti. Un richiamo della foresta. Ed è un piacere stare in giro da solo, mi piace”. Durante l’estate del 2000 compie un’altra impresa di indiscusso rilievo. In contrasto con la lentezza che caratterizza le salite invernali, ora corre velocissimo e in 14 ore e 10 minuti, spostandosi in moto e in bicicletta, tra una parete e l’altra, concatena le vie: Vinatzer con variante Messner sulla parete Sud della Marmolada, Solleder sulla Nord Ovest della Civetta e lo spigolo Nord dell’Agner per la via Gilberti-Soravito.

Questo però è “solo alpinismo”, lo spessore di un personaggio come Marco Anghileri, il polso della sua determinazione e della sua forza di volontà non lo si misurano solamente con le sue grandi avventure alpinistiche, ma soprattutto prendendo atto della tenacia con cui affronta le sue disavventure umane. Il 18 agosto 2001 mentre percorre con la sua moto la strada della Valsassina, viene coinvolto in un incidente Si risveglia in ospedale qualche giorno dopo con fratture multiple agli arti superiori e inferiori, e contusioni su tutto il corpo. È l’inizio di un calvario tra interventi e terapie, visite mediche specialistiche e tanta voglia di ricominciare. Due anni dopo la situazione è ancora grave e i medici che seguono la riabilitazione di Marco dicono che difficilmente potrà tornare a scalare. Ma lui non molla, lui vuole tornare a scalare. Con grande energia e determinazione, mese dopo mese, anno dopo anno migliora. Finalmente torna a scalare sulle sue amate montagne, sembra impossibile ma è accaduto davvero forse perché non ha mai smesso di sognare e desiderare intensamente che il sogno si realizzasse. Mi parla di quel periodo come di un epoca lontana, serenamente senza rimpianti e piagnistei, sento nella sua voce una punta d’orgoglio. Passo dopo passo, montagna dopo, montagna, lunghezza di corda dopo lunghezza di corda, torna ad essere ancora più determinato di prima. Realizza salite di alto livello e concatenamenti da togliere il fiato. Torna la voglia delle solitarie, torna la voglia delle invernali. Quindi torna alla ribalta delle cronache alpinistiche con la prima solitaria invernale della Via dei Bellunesi, 1350 m verticali sino al VI° e A2 sullo Spitz di Lagunaz. Dal 12 e il 17 marzo 2012, completamente isolato in questa terra selvaggia che è la Val San Lucano, compie una salita grandiosa, più volte tentata e sino ad allora ripetuta in estate  solamente dalla forte cordata bergamasca composta da Ivo Ferrari e Silvestro Stucchi.

Penso a queste sue grandi salite mentre lo guardo scalare davanti a me e mi chiedo cosa ci faccio legato alla sua corda, io alpinista della domenica in cordata con un alpinista del suo calibro. Forse proprio in questa sua semplicità e capacità di sapere godere di ogni azione che decide di compiere, anche della più semplice, possiamo trovare il segreto che lo rende unico. Marco prima di essere alpinista è uomo, un uomo che come tutti lavora e vive la sua quotidianità: portare i bimbi a scuola, fare le spese, dare una mano nell’azienda di famiglia, gestire il ristorante ai Piani dei Resinelli, organizzarsi con la moglie per uscire una sera da soli. Insomma Marco è un uomo come tutti noi è questo che ce lo fa sentire vicino, avvicinabile, semplicemente “normale”.

Lo raggiungo al colle e mentre sfiliamo la doppia e prepariamo gli zaini, con gioia mi racconta di quanto si è divertito la scorsa settimana che ha trascorso al mare con i due figli, senza mamma. Nel tempo in cui rientriamo si chiacchiera di come sia difficile incastrare montagna, passioni e famiglia: “Questo è più duro di un passaggio di X°. - afferma ridendo – Cerco a volte di moltiplicarmi oppure di allungare le giornate. Certo che è una gran fatica, però è da stimolo per rinnovare e cercare nuove energie, nuovi equilibri che ti aiutano sia nella vita familiare che in montagna. Cerco di fare come il giocoliere, con le tre palle.” Osservo Marco mentre parla e muove le braccia nell’aria, e penso che in ogni caso, giocoliere o prestigiatore che sia, lui ha il gran dono di essere sempre di buonumore, sempre pronto a stupirsi e a stupire.

Ciao Marco.

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