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venerdì 18 febbraio 2022

#perdersinmountainbike - selvatico

Sabato 12 febbraio 2022, 16:37:58 - Monte Stino 1467m (Idro – BS)



Selvatico, apparentemente disordinato, ai nostri occhi. Equilibrio perfetto scandito, ritmi e tempi della terra. Caso e geometrie a comporre lo spazio Profondità, intima relazione, vicino e lontano, visibile ed invisibile. Fermo. Osservo.


venerdì 31 dicembre 2021

#appunti - felice

Filaressa - Monte di Nese (BG) - 26 dicembre 2021, 12:10:00

Sii felice di non avere un'armatura
Sii felice di affrontare il mondo a mani nude
Sii felice di sentire il cuore che batte
Sii felice di sentire il respiro che ti riempie e ti svuota
Sii felice di sentirti impotente e stanco
Sii felice di stare con ciò che hai
Semplicemente ascoltati
"Siediti al sole.
Abdica e sii il Re di te stesso."*

* Fernando Pessoa

Sull'argine

on the road again
Ore 15, caffettino a Bikefellas e con Andrea Aschedamini si parte.
Nulla di particolare, semplicemente viaggiare, tra colline, campagne e fiumi.
Pedaliamo con calma e chiacchieriamo, è da un anno che non facciamo un bel giro insieme.
Questa volta io e lui soli, un poco la Cristina Locatelli ci manca, anche perché lei adora montare la tenda al buio.
Lo scorso anno in questi giorni eravamo a zonzo sull'Appennino Pavese, di questo viaggio potete leggere sul numero di Orobie che da oggi trovare in edicola.
Buona lettura e buona notte.

Olera, Bergamo, Sarnico, Palazzolo sull'Oglio - 63 km


Il bivio
Lo vedi, il bivio. Le indicazioni che hai ti dicono: gira a sinistra. A sinistra c'è una bella strada bianca che sinuosa serpeggia tra i campi, segnata da frammenti di filari. Qualche farnia secolare e qualche pioppo gigantesco segnano lo scorrere del tempo. A destra uno stretto sentiero in terra battuta scende e scompare tra i boschi e la fitta vegetazione della golena. Non ci pensi nemmeno, con decisione scendi nella golena. E dopo quasi 15 chilometri, non sei pentito di quella scelta mentre risali l'argine e ti ritrovi sulla sterrata che avresti dovuto seguire.

Palazzolo sull'Oglio, Canneto sull'Oglio - 110 km


Argine
L'argine è una linea
Appuntamento tra terra, cielo e acqua
L'argine è un luogo
Geografia da percorrere e su cui sostare
L'argine è una parola
Sfumatura tra il contenere e il separare
L'argine è
Punto d'unione tra mondi, persone e sentimenti

Canneto sull'Oglio, San Matteo delle Chiaviche, Mantova - 66 km
Mantova-Bergamo in treno
Bergamo, Olera - 12 km

29 30 31 ottobre – Bergamo Mantova
Sull'argine con Andrea Aschedamini











Ottobre all'Elba

Come un'isola se ne sta
piantato in mezzo al cuore
il monte.

#appunti - desiderio
Non mi devo mai scordare
di coltivare il desiderio
Uscire dal proprio guscio
Abbandonare le proprie certezze
Mollare gli ormeggi delle abitudini
Assecondare l'impulso dell'andare
Non posso vivere senza stelle
e cieli e terre e mari
da contemplare


#appunti - al vento
Al vento si buttano le esperienze
Competenze maturate in poco tempo
Capacità di fare fronte all'emergenza
Con professionalità e fantasia
Senza nulla togliere alla bontà di quanto fatto
Ero convinto che nulla sarebbe stato come prima
Povero sognatore illuso
E scelte miopi ristabiliscono abitudini ormai vecchie
Come se nulla fosse accaduto
Negando un futuro possibile e migliore
E non mi resta che farmi portare dal vento
Seguirne la musica
E ne approfitto
sempre più
Al vento


#appunti - qu-re
Non tutto
tornerà
come prima
Tratteniamo
con cura
ciò che di buono
abbiamo costruito
Esercitiamo
quotidiane
resistenze


#perdersinmountainbike - Fisicità
Percepire il proprio corpo che fatica, vedere il sudore sgocciolare a terra ad impastarsi con la polvere. Ogni senso è all'erta mentre attraverso il bosco tagliato da lame di luce e dal crinale nutro lo sguardo con i verdi e gli ocra della terra, gli azzurri del cielo che si fondono ai blu del mare.
La fisicità del corpo che attraversa uno spazio è da sempre qualcosa di irrinunciabile.
Fisicità è anche una delle tre parole di riferimento che mi sono dato durante i primi mesi di lockdown e che ho tenuto accese durante tutta la pandemia e continuo a mantenere sempre in evidenza. Era facile e comodo, nei periodi più duri e con forti limitazioni alla spostamenti e ai contatti, ripiegare nelle infinite possibilità della connessione virtuale costante e planetaria. Ma allora come ora la connessione con il mondo è rappresentata solo dal contatto diretto del mio corpo e dei miei sensi con la natura ed i suoi elementi.
Ed è bello tornare a viaggiare con una rinnovata e più solida consapevolezza dei propri desideri e del proprio agire.


#perdersinmountainbike - aspettami!
Aspettami!
Torno subito.
E lei si abbandona
nella fiduciosa attesa
di un ritorno.
E il tempo scorre
nell'arcobaleno di stoffe
sventolio di colori.
E la porta
resta
aperta.
Tornerà.



#perdersinmountainbike - cult


Un luogo di culto, dove prima o poi un giro in bici ce lo vai a fare. Un luogo sospeso tra la terra e il cielo, tra storia e leggende. La Base, attiva per tutto il periodo delle guerra fredda, fu abbandonata dopo la caduta del muro di Berlino. Oggi, vagando tra i ruderi ricoperti di graffiti, attorniato da una folla di bikers e turisti, si fatica a pensare a questa storia recente, a questa rete di basi che strutturavano una linea difensiva per fronteggiare il "nemico" sovietico. Oggi curiosiamo e ci godiamo lo spettacolo che si gode da quassù con il mare che sberluccica sullo sfondo oltre le chiome dei faggi che iniziano a prendere colore. Oggi ci gustiamo una delle infinite discese che ci riporteranno sul litorale. Perché Finale non è solo roccia verticale, ma molto, molto di più.

Domenica 19 settembre
Con Ale e Cardu

Randagio tour - Terre di Brescia

RandagioTour (UnodiTre)

Era venerdì 2 luglio dell’anno 2021 quando…

– certo che come incipit non è male, è un po' come iniziare con “C’era una volta …”, sembra di parlare di un accadimento lontano nel tempo ma erano solo tre settimane fa –

… in un venerdì mattina di caldo e di afa, invece che andare a lavorare, ci siamo presi un giorno di ferie. Prendersi un giorno di ferie è sempre una gran bella cosa se poi lo si unisce al fine settimana è ancora meglio. Ci siamo così proiettati in un microviaggio apparentemente breve e compresso in soli tre giorni ma, nella nostra percezione, meravigliosamente espanso, lunghisssssssssimoooooooooo. E grazie al tempo esploso abbiamo esplorato un territorio a noi sconosciuto. Montagne incastonate tra i laghi di Garda e d’Idro, girando attorno a quella profonda e misteriosa spaccatura che sprofonda nella solitaria e selvaggia Valvestino. Come ogni viaggio che si rispetti, da Dante in poi, vi è sempre un Virgilio che accompagna e indica il cammino. Il nostro mentore è stato un personaggio che in terra bresciana non conosce rivali in materia di sentieri e mountain bike: l’inossidabile Giulien Romano, al secolo Romano Artioli. Non gli abbiamo rotto le scatole stressandolo al telefono o con infinite chat ma abbiamo semplicemente attinto e preso ispirazione dalla sua nuova e preziosa guida “MTB da Brescia ai laghi di Garda e Idro. 83 itinerari tra le colline moreniche, la Franciacorta, il lago di Garda, la Valvestino e il lago d'Idro” edita da VERSANTE SUD – se non l’avete ancora acquistata, affrettatevi – per comporre un anello di grande respiro fatto d’interminabili salite, lunghe traversate in quota, senza disdegnare discese tecniche ed impegnative. A conti fatti, dopo tre giorni non siamo rimasti delusi, anzi Giulien, con le sue parole e le sue tracce, ci ha condotto alla scoperta dei suoi monti, della sua terra e si merita proprio un grazie immenso e i miei complimenti per il lavoro fatto. Ma torniamo a venerdì 2 luglio. Abbandoniamo da subito i lustri marmi del lungolago di Salò per inerpicarci sui caldi asfalti sino alla chiesina di San Bernardo, da dove le nostre ruote calcheranno solo sentieri e ripide stradine di sterro e cemento. Pungolati da voraci tafani, grondanti di sudore e tra inconfessabili turpiloqui giungiamo al rifugio Pirlo allo Spino. Un buon piatto di penne al bagoss e salsiccia condito da una birra e dall’allegro sguardo, che sbuca da sopra la mascherina, delle rifugista ci fa dimenticare ogni fatica e ci prepara per la lunga traversata alla bocchetta di Fobbiola, alle baite Campei de Sima, al Dosso Carpaglione e al Cavallino della Fobbia. Ora la guida di Giulien ci indica la discesa dalla Croce di Perlè come un must per la MTB, un tracciato impegnativo e spettacolare. Non possiamo non andare a vedere ed una volta giunti sulle sponde del lago d’Idro e ci voltiamo verso quei versanti ripidi e selvaggi fatichiamo a credere di essere scesi tra quei dirupi. Siamo più che soddisfatti della densa e lunga giornata, pedaliamo verso Anfo e prima di mangiare anche le gambe del tavolo del ristorante l’Imbarcadero, ci godiamo una lunga e rinfrescante nuotata nelle acque del lago. Grazie Giulien e siamo solo al primo giorno.

Salò - Anfo; 47 km; 1900m D+; 1600m D-


RandagioTour (dueditre)

Se Giulien Romano è il nume tutelare a cui ci siamo affidati in questo viaggio, chi saranno mai quei loschi individui che per tre giorni hanno goduto di tanta bellezza e cotanta fatica?

Partiamo da Salò in quattro ma durante il bivacco notturno bordo lago un quinto sacco a pelo si affianca ai nostri. Ed eccolo di prima mattina ad armeggiare tra pentolini, buste di te e pastiglie dei freni, distribuendo beni di prima necessità e mutande ai più bisognosi. Ma chi è costui? È Mister Codazzi , proprio lui lo Stefano in carne ed ossa. È sabato 4 luglio e alle 6,30 siamo già in sella ma subito ci si ferma al bar del paese a fare compagnia ai due pensionati che prendono il fresco sull’uscio. Finalmente un bar dove non sanno cosa sia il “Makkiatone”. Re Cardu, inossidabile e sorridente compagno di ogni avventura, se la ride di gusto. Flavietto il ca-rota, al secolo Flavio Rota , aggregatosi all’ultimo e privo delle magiche borse miss-grape, inizia già a fare stretching per la sua schiena malmessa su cui grava un bello zainetto. Ale, al secolo Alessandro Ceribelli fa gesti scaramantici, anche se non è superstizioso, non dice che è in gran forma per evitare che qualche divinità lo punisca con il più improbabile degli acciacchi di cui è il principale recettore a livello internazionale. Oggi ci attendono sentieri su cui Giulien ha scattato la foto di copertina della sua guida e questo la dice lunga su cosa ci aspetta, sia come impegno che per la bellezza. Ma come ogni cosa bella che si rispetti ce la si deve guadagnare e la salita al Passo Baremone è un gran bel mach. Tornanti e tornanti si inerpicano nel fitto del bosco con il lago che gioca a nascondino tra le chiome, allontanandosi sempre più ed infine scomparire. È ancora presto e saliamo praticamente soli, qualche ciclista agguerrito ci raggiunge e ci supera. Noi proseguiamo con calma ed il nostro bel carico ben stipato nelle sacche. Già ieri abbiamo sperimentato che anche nelle discese più dure, scaricando un poco la borsa anteriore e caricando un poco lo zainetto, la biciclettina si fa condurre bene e ci fa divertire. Oltre il passo e l’immancabile spuntino saliamo a visitare i ruderi del forte di Cima Ora dove, durante la prima guerra mondiale, si attestavano le linee italiane in contrapposizione a quelle austro-ungariche. Il lago è a piombo sotto di noi, 1200 metri più in basso. Impressionante è l’esposizione del versante che si inabissa sotto le nostre ruote. È meglio non sbagliare e nel dubbio è meglio scendere ed accompagnare la bici a mano. La discesa è qualcosa di unico che fa esplodere reazioni e sensazioni contrastanti, difficili da spiegare. Andate e fatela, poi ne parliamo. È già passata l’ora di pranzo quando giungiamo nuovamente sulle rive del lago, fa un caldo fottuto e le acque del lago ci chiamano come i canti delle sirene. Che meraviglia tuffarsi nudi e nuotare, e godersi il refrigerio, e sentire i muscoli che si sciolgono. Ci si riabbiglia e ci si rende presentabili. Sotto il portico di un ristorantino facciamo scorte di carboidrati con un tris di primi che per l’esattezza sono tre primi, ovviamente non è avanzato nulla. Il tutto accompagnato da una corretta idratazione a base di birra. Fa caldo e ci attendono ancora 1000 metri abbondanti di salita. Non ci corre appreso nessuno e da veri sportivi quali siamo, ci facciamo pure una pennica all’ombra dei platani sul lungolago sino alle 17. Diamine ci tocca ripartire. A Bondone facciamo un poco di spesa e sono le 21 passate quando entriamo nel bivacco presso la malga Alpo di Storo. Non prima di essere passati dall’alpeggiatore a prendere due bei pezzi di formaggio e due fiaschi di rosso.

Anfo – Passo Baremone – Cima Ora – Ponte Caffaro – Bondone – Maga Alpo di Storo; 46 km; 2550m D+; 1400m D-



RandagioTour (treditre)

È domenica 5 luglio, dopo una notte in compagnia dei topini di campagna il risveglio è un tripudio di campanacci e muggiti, uno spettacolo di nebbie che svaporano tra gli abeti, di erba stillante rugiada, di mosche che, alla profumata cacca di mucca, preferiscono il nostro sudore. E con questa immagine la poesia di è andata a fottere. Saliamo lungo la sterrata che conduce alle creste del Tombea con nugoli di mosche che ci ronzano attorno. Al passo le nebbie ci avvolgono e le mosche tornano dalle loro amate mucche. Finalmente. Oggi la salita è breve ed intensa e dalla Malga Tombea ha inizio una discesa infinita e selvatica. Dopo Cima Rest e le sue case dal tipico tetto di paglia, cose simili le ho viste solo in Cornovaglia e nel Galles, il sentiero ci entusiasma e si inabissa in valli coperte da boschi. D'un tratto una dorsale di apre in un prato e una cascina diroccata. Altre due dorsali si susseguono e la scena si ripete, il bosco lascia spazio al prato e al suo limitare c'è una cascina. Sulla dorsale centrale c'è, oltre alla cascina, una chiesetta. Guardo la carta e la località si chiama Droane: tre cascine e una chiesetta, piantate li su tre dorsali e tutto attorno boschi a perdita d'occhio, ovunque si guardi. La seconda dorsale, quella con la chiesetta, ha il prato ben tenuto, un orto rigoglioso e la cascina è abitata. Ci fermiamo un attimo e lui si affaccia alla porta, ci salutiamo, ha la faccia simpatica. Ci chiede da dove veniamo e noi, stupiti più di lui, chiediamo se è lì in villeggiatura. Macché villeggiatura. E ci racconta la sua storia. Lui è il signor Mario ma se passate di lì non chiamatelo signor, chiamatelo semplicemente Mario e lo farete felice.

Mario ha 88 anni e dopo una vita ...

La storia di Mario merita un capitolettto quattroditre, che arriverà a breve, forse.

Malga Alpo di Storo - Malga Alpo di Bondone - Viva di Cabione - Monte Tombea - Malga Altezza - Cima Rest - Droane - Lago Valvestino - Toscolano - Salò; 47 km; 750m D+; 2100m D-



RandagioTour (quattroditre)

È domenica 5 luglio ... ma cosa è successo domenica 5 luglio lo sapete già.

Ci eravamo lasciati in località Droane, sul secondo costone quello con la chiesetta di San Vigilio e la cascina da cui è uscito il Signor Mario o, come preferisce lui, chiamatelo semplicemente Mario e lo farete felice.

Mario ha 88 anni e dopo una vita a girare l'Italia come cuoco, è tornato alle origini, tra i suoi monti. Con orgoglio ci dice che lui in quella casa c'è nato. Suo papà era nato nella cascina sul costone vicino, quella diroccata, e sua mamma era di Bondone. Il papà era andata a prenderla oltre le creste del Monte Tombea e l'aveva portata lì, l'aveva sposata. Lì a Droane lui è nato e lì ora vuole passare gli anni che gli restano. Ormai ci vive estate ed inverno da parecchi anni. Ultimamente non se la sente più di utilizzare il pandino lungo la ripida e lunga sterrata che scende nella valle e prosegue sono due sponde del lago. tempo fa se l'è vista brutta e ha deciso di non giocare più. Nella cascina sulla terza dorsale ci abita un amico, che lo aiuta con le spese. Poi c'è il nipote che lo viene a trovare e gli da una mano. E infine ci sono gli amici che salgono per il fine settimana, per stare in compagnia gli danno pure una mano. Mario è simpatico e ci racconta di altro ancora. Di quando era giovane ed ha imparato il mestiere negli hotel a Milano. Lo ascoltiamo con piacere e quando è giunto il momento di salutarci gli diciamo che la prossima volta ci fermeremo un poco di più, per fargli compagnia e soprattutto per gustare la sua cucina. Ci salutiamo e ci dice ancora una volta di scendere seguendo la strada e non il sentiero, che è pericoloso, anche se ormai ha capito che non seguiremo il suo consiglio. Ed il sentiero, duro quanto basta, ci porta sino ai mulini e al fondovalle. Ecco questa ultima discesa è tutta dedicata a Mario.

Incontri così ti svoltano la giornata.

Incontro così sono preziosi.



RandagioTour (cinqueditre)

Una storia tira l'altra, un poco come le ciliege. Ci eravamo lasciati in quel della Valvestino alla contrada di Droane con la storia di Mario. Ve la ricordate? Se non la ricordate o non l'avete letta cavoli vostri.

Nei commenti al post e alla relativa storia di Mario, l'amico di un amico mi racconta la storia dell'Americana di Droane ed altre storie. Ecco ora io mi permetto di non lasciarla solo tra i commenti ma di farci un post ad hoc. Perché è una bella storia, perché penso che i social servano proprio a questo a condividere storie ed esperienze, intuizioni e progetti.

Quindi prima di lasciarvi alla storia dell'Americana e non solo, raccontata dalla parole di Giuseppe, mi sorge una domanda: ma Mario avrà conosciuto l'Americana?

Penso proprio di sì, ma a questo punto mi toccherà tornare in Droane e fare due chiacchiere con Mario.

Giuseppe Seramondi narra:

"Sono stato un buon frequentatore della valVestino, prima come speleologo (anni 70/80/90) poi, conoscendo bene i luoghi, ho percorso quei sentieri in mtb. La Valvestino ha sempre ispirato leggende, per prima quella di sette fratelli che giunsero a odiarsi talmente tanto da decidere di non vedersi più per tutta la vita. Essi si sparpagliarono per tutta la valle, fondando ciascuno un paese, Bollone, Moerna, Turano, Persone, Armo, Magasa, Cadria. Questo è il motivo per cui questi paesi risultano invisibili l'uno all'altro. Veniamo ora a Case Droane, questo piccolo borgo si racconta che venne distrutto da un manipolo di Lanzichenecchi (anno 1470). Altri racconti parlano di peste. Rimasero solo due donne che rimaste sole cercarono aiuto a Magasa. Questo paese le respinse per paura del contagio. Esse proseguirono verso Aer (Tignale) dove trovarono accoglienza. Alla morte la donna lasciò in eredità la terra che possedeva a Droane subordinando il lascito all'osservanza di una clausola, cioè alla condizione che tutti gli anni a venire, il 26 Giugno, venisse celebrata una messa e che alla fine venisse distribuito un quintale di pane. Ad oltre quattro secoli di distanza questa clausola viene ancora rispettata e il giorno stabilito il parroco di Magasa sale alla chiesetta di S. Vigilio a Droane, a rinnovare il rito.

Veniamo ora all'Americana.

Io ho saputo di questa storia nel 1980 dalla sua cognata, essendo l'Americana p oramai morta. Come spesso succedeva in quelle povere valli alla fine dell 800 primi 900 molte persono erano costrette a emigrare cosi fu anche per un giovanotto di Droane. Con un viaggio per quei tempi molto difficile e avventuroso arrivò a New York e da li a San Francisco. Trovò lavoro e anche una ragazza americana. Si innamorarono e iniziarono una vita insieme, dopo qualche anno il richiamo della sua terra divenne troppo forte e convinse la moglie a seguirlo a Droane. Immaginate il passaggio per quella donna da una città ad un paesino sperduto in Valvestino dove per arriare non esistevano strade. Per arrivare solo a Gargnano bisognava prendere la barca, poi non parliamo per arrivare a Droane. Dopo un lungo viaggio comunque arrivarono alla loro meta. Ebbero dei figli ma putoppo lui mori lasciando tutti soli e poveri. L'Americana non si perse d'animo e restò per sempre in quel luogo. In tutta la valle lei fu per sempre l'Americana. Mori novantenne senza mai ritornare a San Francisco."

Ed ora ditemi voi se le storie non sono materia meravigliosa e potente. Ed andare in bici per monti è solo una scusa per trovarle come si trovano i funghi e poi condividerle con gli amici.























#perdersinmountainbike - Un Poyo Rojo


In un sabato dello scorso mese di luglio ho iniziato la giornata sentendomi dare del Cappuccetto Rosso, da Cristina, mentre Stefano, amico e compagno di pedale, secondo sua figlia faceva la parte del lupo azzurro, come illustrato in una delle favole che proprio lui gli aveva letto la sera prima. Visto la fame che lui ha avuto per tutto il giorno effettivamente assomigliava ad un lupo e non solo per il colore. Abbiamo passato la giornata a pedalare in luoghi conosciuti ma lungo strade secondarie e con uno sguardo rinnovato sulle cose. Stefano voleva sfondare il tetto dei 100 km e dei 2000 m di dislivello e con calma ce lo siamo gustato questo grande anello attorno al massiccio dolomitico del Pizzo Camino, Cimone della Bagozza e Concarena. La nostra Cima Coppi è stato il passo del Vivione e la salita più bella è stata la stradina che da Pianborno sale all'Annunziata e a Borno.
E cosa c'entra Un Poyo Rojo. Da Cappuccetto a polletto il passo è stato breve. Dopo questa giornata in compagnia di Stefano, pensavo di avere esplorato con occhi nuovi spazi meravigliosi e senza limiti. Però mi sbagliavo. Arrivato a casa, dopo una veloce doccia, con Cris andiamo a teatro, c'è il passaggio di testimone tra il Festival Orlando e il Festival Danza Estate con una performance dei ballerini, anche se chiamarli ballerini è riduttivo, Alfonso Baron e Luciano Rosso: Un Poyo Rojo.
E al termine di questa lunga giornata, con mia grande sorpresa, continuo a godere della bellezza del mondo e delle persone attraverso la fisicità esplosiva di questi due artisti che usano sapientemente il corpo e lo spazio per provocare e raccontare, per sedurre e fare sorridere. Sono geniali e mi incanto nel guardare l'esattezza con cui compiono ogni più piccolo movimenti e mi faccio reale dalla malia di ogni loro sguardo.
Un gran bel finale di giornata che mi mette di buon umore e volentieri accetto questo "invito a ridere di noi stessi esplorando tutte le possibilità fisiche e spirituali" che incontro sul mio cammino e mi ritrovo a pedalare e danzare tra i miei monti.
PS - Un grazie speciale a Stefano, amico famelico e scattante.







mercoledì 24 novembre 2021

#neve - retrogusto

Che non sarà tutto come prima ve l'ho già detto e sarete stufi di leggerlo.
Che ci avessi preso gusto era già chiaro da tempo.
Quindi ribadisco che ciò che più mi interessa non tanto per il cosa si fa ma il come lo si fa.
Ed è così che oggi ho iniziato a sentire, oltre all'immediato gusto, un persistente retrogusto ancora più buono e che assaporo sul palato e percepisco nel corpo.
È passata ormai una settimana e non è la stanchezza che mi è rimasta, ma una sensazione di compiuto, di qualcosa che ho fatto proprio come volevo.
Una soddisfazione solida, direi.
Questo è il retrogusto che sento: di un agire che ha messo radici in un terreno ricco di significati e di senso; di una consapevolezza cresciuta con cura e attenzione.
Fisicità, socialità e affettività sono le tre cose a cui non ho voluto rinunciare in questo anno trascorso tra un lockdown e l'altro, nel rispetto della salute e degli spazi miei ed altrui. E per non rinunciarci ho esplorato nuove strade, ho cercato nuove soluzioni, coltivando in modo divergente le mie passioni.
Ed anche lo scorso fine settimana così è stato.
Con due amici e le nostre biciclette, cariche di tutto il necessario, siamo partiti da casa per una due giorni tra i monti. Ed alla fine non sono tanto le montagne salite, i 170 km percorsi e i quasi 5000 m di dislivello macinati, ma ciò che importa è come lo abbiamo fatto.
Partire alla luce delle frontali. Pedalare sino a Lizzola. Sbranare un bel panino superimbottito che ti han preparato al negozio del paese. Approfittate della gentilezza delle persone che pur senza conoscerti ti mettono a disposizione il loro garage per rimessare le biciclette. Calzare gli sci sulle Piane e con un caldo fottuto arrivare in vetta al Tre Confini. Scendere al cospetto del Gleno, su ciò che resta della vedretta del Trobio. Bivaccare al rifugio Curò. Chiacchierare con piacere insieme alle persone che, come te, passeranno la notte sparpagliati nel piccolo invernale e attorno ai muri del rifugio. Percorrere il grande anello che porta sulla vetta del Diavolo della Malgina. Sotto la vetta alzare lo sguardo e godere del volo di una pernice bianca contro il blu del cielo. Ululare per tutta la lunga e strepitosa discesa della Val Morta. Risalire la Val Cerviera sino alla spalla del Tre Confini. Misurare ogni passo, centellinando le ultime energie. Affacciarsi sulla valle di Bondione con la consapevolezza che da lì c'è solo una lunga ed infinita discesa. Caricare le biciclette, in mutande, mentre chiacchieri con la persona che gentilmente le ha custodite. Mettersi in scia a Marco e Ale, e scoprire che sulla discesa di Gandellino il tuo contachilometri segna 55 km/ora. Pedalare e sentirsi ok. Non sentire più la fatica e dopo essersi salutati, con il sorriso sulle labbra ed una soddisfazione che ti esplode dentro, mentre si fa buio, affrontare la salita che ti riporta a casa, dove sono custoditi i tuoi affetti.
È passata ormai una settimana ma è come se fossi tornato ora e in questo istante è come se avessi appena varcato l'uscio di casa.
Quanto è potente il retrogusto che lasciano certe avventure.