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mercoledì 24 novembre 2021

#diruoteedisci

DI RUOTE E DI SCI – Diario di viaggio

3 maggio – In viaggio

È dalla scorsa primavera che fantastico su un possibile viaggio di più giorni oltre le Orobie. Un viaggio da guadagnare e godere esclusivamente con le proprie forze, senza l’ausilio di alcun motore pubblico o privato che sia. Un viaggio che mi portasse, pedalata dopo pedalata, a sciare montagne nuove, a me sconosciute. Parto da casa in tarda mattinata ed ora eccomi qui in compagnia di Marco, inseparabile amico in questo vagabondare tra i monti, a pedalare lungo le sponde del lago d’Endine. La giornata è strepitosa ma mille dubbi ed incertezze sulla bontà e la buona riuscita del viaggio mi assalgono. Lascio fare so già che tutto si scioglierà nel ritmo tondo della pedalata, lentamente con il passare delle ore e lo scorrere dei chilometri, in questa forma di meditazione attiva la mente troverà la sua quiete. Planiamo su Lovere dove ci godiamo uno spuntino sul lungolago per poi risalire la Val Camonica lungo la ciclovia dell’Oglio. L’aria è fresca e una corona candida di monti incornicia la valle. Le chiacchiere si alternano a lunghi silenzi in cui perdersi nei nostri pensieri o semplicemente osservando il mondo che scorre attorno e si allontana dietro di noi. Passano le ore, le incertezze e i dubbi li ho lasciati scivolare via, con la corrente del fiume in direzione opposta, dentro è tutto calmo. Ora resta solo lo spazio per accogliere ciò che sarà e tutto l’inutile brusio di fondo è scomparso. Sto bene e questo è il giusto viaggio da fare in questo momento. Avvicinarsi alle montagne con calma, senza fretta, prendendosi il giusto tempo è ciò di cui ho bisogno, ora. Mi sento felice. E pedalo. E sono contento di condividere questo tempo con Marco, sempre entusiasta, sempre pronto a partire, a mettersi in gioco, a sperimentare. Le biciclette sono cariche e son le giuste compagne di viaggio. Arriviamo a Edolo che è tardi, un gelato ci aiuta ad affrontare la salita sino all’Aprica. Sono le 20 quando mettiamo le gambe sotto un tavolo e mangiamo l’impossibile.

·       Olera (BG) Aprica (SO) 130 km; 1600m D+ 950 D-

 

4 maggio – Ripartire

Ci svegliamo con calma. Sono le otto passate da un pezzo quando ci carichiamo gli sci sullo zaino e risaliamo le piste verso Malga Magnolta. Scolliniamo il dosso ed entriamo in valle di Belviso. Un ultimo assaggio di Orobie prima di ripartire verso terre incognite. Conosciamo tutte le montagne che si profilano all’orizzonte e che fanno da cerchia al lago di Belviso. Individuiamo un bel canale che sale tra il Dosso Pasò e il Cupecc, questa sarà la nostra meta. Solitudine e candore. Nuvole che rubano spazio all’azzurro del cielo, che corrono e si trasformano. Lungo l’esile cresta finale raggiungiamo l’anticima. La neve trasformata aderisce come un abito di seta sulle flessuose forme del pendio, c’è qualcosa di sensuale, di femminile in tutto ciò. Con un gioco di curve gli sci accarezzano la montagna e troppo presto ci ritroviamo alla base del pendio. Poi proseguiamo, sino al termine dell’ultima lingua di neve che resiste anche alle quote più basse. È ora di disfare lo zaino, ricaricare le borse e le biciclette. Mille metri di discesa sino a Tirano scorrono che è una meraviglia, il giusto proseguo alla sciata appena conclusa. E solo dopo iniziamo a pensare che altrettanti metri di salita ci attendono per raggiungere Cepina, dove Giacomo ci ha dato un aggancio per la pappa e la nanna. Il sentiero Valtellina non è altro che la ciclabile che percorre l’intera valle e noi lo agganciamo e risaliamo godendoci ogni pedalata, nonostante la fatica che cresce. L’ultima salita ci porta sotto la frana della Val Pola. Anche questa volta mi mette i brividi. Erano le 7:23 del 28 luglio 1987 quando questo versante del Pizzo Coppetto collassa e quaranta milioni di metri cubi di rocce precipitano a valle, gli abitati di Sant'Antonio Morignone e Aquilone vengono completamente travolti e distrutti. Su questo immenso cumulo di pietra e terra hanno scavato il nuovo alveo dell’Adda, hanno ricostruito la strada e tracciato la nuova ciclabile. L’immensa nicchia di distacco incombe sopra di noi. Pedaliamo.

·       Ski - Cupecc (2535 m); 1500 m D+

·       Bike - Aprica (SO) Cepina-Valdisotto- (SO): 53 km; 1050m D-, 1030 D+

 

5 maggio – Il rito

Durante il viaggio ci sono momenti difficili che ogni giorno vanno affrontati. Non mi riferisco alla fatica che incombe dopo ore in sella o sugli sci, nemmeno al maltempo che cerchi di evitare e quando ti piomba addosso sonno cazzi, e nemmeno agli imprevisti che ti obbligano a rivedere i tuoi piani. Il momento difficile a cui mi riferisco è quando devi ricomporre il materiale sparpagliato attorno a te e rimetterlo nelle borse e caricare la bicicletta. Poi si ripete anche quando scarichi la bicicletta ed ogni volta ti dici: ma tutta questa roba da dove esce, non ci starà mai nello zaino. Il ripetersi costante di questo momento gli conferisce quasi un valore rituale. Quindi con calma, metti ordine, selezioni, compatti, chiudi i sacchetti e uno ad uno, con tua grande soddisfazione, incastri il tutto e alla fine ti compiaci con te stesso. Insomma, mediamente, dopo un ora di lotta contro l’entropia, più o meno dal disordine disordinato passi al disordine ordinato. Ti metti a pedalare o ti carichi lo zaino in spalla ed è lì che senti il peso e la presenza di tutto quanto ti stai portando appresso. Oggi, da Cepina a Valdidentro, abbiamo pedalato su ciclabile e su strada, lo sviluppo è limitato ma il dislivello ed alcune pendenze sono state di significato. Al bivio, dove stacca la salita alle Torri di Fraele e a Cancano non ho potuto fare a meno di pensare al viaggio #controcorrente, dalla foce alla sorgente dell’Adda, compiuto con Cristina Locatelli e Andrea Aschedamini. Faccio una foto e gliela mando. Da questo punto in poi per noi è terra incognita mai mi sono addentrato in Val Viola e la Cima Piazzi sinora è solo un disegno sull’etichetta di un’acqua levissima. Lì siamo diretti e nel pomeriggio saliamo al bivacco Ferrario. Lasciate le biciclette dal gentile gestore dell’AGRITURISMO BAITA DE L'ALL ci incamminiamo sotto il peso degli zaini e sappiamo già che domani saranno più leggeri: i ravioli, il pane di segale, la slinzega, il formaggio, la bisciola e il cioccolato non vedranno sorgere il nuovo giorno.

·       Bike – Cepina-Valdisotto (SO) San Carlo-Valdidentro: 18 km; 570m D+, 210 D-

·       Ski – Bivacco Ferrario (2340 m); 860 m D+

 

6 e 7 maggio – Guardare il mondo da sopra un sasso.

È un'immagine che da sempre mi affascina e ancora di più se si guarda il mondo da sopra un mucchio di sassi, di ghiaccio e di neve. Il mondo, lui, se ne sta lì tutt'attorno, più o meno uguale a sé stesso e non si cura di noi. È il nostro sguardo che cambia. È per questo che andiamo per monti? Non saprei ma sono certo che è per questo che io vado per monti. Per osservare il mondo e la sua bellezza e poi rivolgere lo sguardo dentro di me ed osservare il mio mondo interiore. Impasto di emozioni e di sentimenti frutto del viaggio che mi ha portato sopra questo sasso, con la consapevolezza di come ci sono arrivato e del cammino che mi aspetta. Ed è così che ho affrontato questa terra incognita, questo lungo spartiacque che si affaccia sulla val Viola e su cui ci siamo persi e ritrovati, squassati dal vento e dalla tormenta, per riemergere dopo una calda notte in una giornata di luce e candore.

E il mio solito libro di poesie, riposto nella patella dello zaino, mi accompagna in questa fantastica cavalcata tra pietre, ghiaccio e neve.

“Nulla è promesso, nulla è sottratto

e la strada è muta.

Lo dicono queste pietre

che abitano il presente prima di noi”

Corrado Benigni – Tempo riflesso

 

·       Ski 6 maggio – Bivacco Ferrario (2340 m); Cima Piazzi (3439 m); Valle Verva (2230 m); Sasso di Castro (2450 m); Alpe Verva (2110 m); Punta del Bosco (2600 m); Rifugio Federico in Dosdè (2130 m) – 1800m D+

·       Ski 7 maggio - Rifugio Federico in Dosdè (2130 m); Cima centrale di Lago Spalmo (3262 m); dosso quota 2740 m; Cima centrale di Lago Spalmo (3262 m); Rifugio Federico in Dosdè (2130 m); quasi Punta d’Avedo (3126m) – 2500 D+

 

8 maggio - Affidarsi

Fidarsi di qualcuno o qualcosa.

È difficile affidarsi in generale e di questi tempi ancora di più.

Quando si è tra i monti, affidarsi richiede l’incondizionata fiducia nei confronti dell'altro, di chi è con te e di chi ti ha dato consigli.

Affidarsi all'altro, in uno scambio reciproco con il proprio amico e compagno d'avventura, è assodato, la fiducia ricambiata sta alla base della relazione e non si parte per un viaggio, un progetto comune, se si hanno dubbi nel merito. E Marco The King Cardullo è una garanzia.

Affidarsi ai consigli e alle indicazioni di qualcuno che si incontra lungo il viaggio può essere rischioso. Ma ci si annusa, e senti subito se si può fare o no, e quando intuisci che te la sta contando su giusta, si può fare, ti puoi affidare.

Già tutto questo viaggio è partito affidandosi alle preziose indicazioni e consigli di Giacomo. E, l'altro giorno, giunti in vetta alla cima di Viola, abbiamo seguito i consigli di Adriano: scendi contro i bastioni roccioso della cima occidentale di Lago Spalmo, risalì la rampa nevosa obliqua tra due fasce di roccia sino a sbucare sulla dorsale, dopo essere salito alla vetta torna alla dorsale e scendila sino dove di fa stretta e ripida, percorri l'esile cresta magari togliendo gli sci, quando ti affacci su di un catino che sembra un cratere scendici dentro, superalo e imbocca il ripido canale che scende incuneato tra le pareti di roccia, stai attento.

Come in una caccia al tesoro ci siamo affidati alle parole di Adriano, non senza titubanza e qualche apprensione. Avremo capito bene? Sarà il passaggio giusto? Il canale sarà in condizioni? E se c'è ghiaccio? Se non passiamo? Domande e dubbi si rincorrevano nella testa ma una frase mi ripetevo ogni volta: se ce l'ha detto Adriano vuol dire che si fa.

E abbiamo fatto bene ad affidarci ai suoi consigli.

Ne è uscita una gita superba, impegnativa e decisamente scialpinistica.

Grazie Adriano Greco, a te per i preziosi consigli, e pure a Bruna e ai tuoi figli per la disponibilità e la squisita accoglienza nel vostro rifugio.

A presto.

 

·       Ski - Rifugio Federico in Dosdè (2130 m); Cima Viola (3374 m); Cima occidentale di Lago Spalmo (3310 m); Rifugio Federico in Dosdè (2130 m); bivacco Caldarini (2480m) – 1650 D+

 

9 maggio - con lo sguardo

Mi fermo lungo la dorsale finale ed osservo Marco che percorre la cresta sino alla spettacolare cima di Saoseo. Mi ricorda la tolda di una nave e me la immagino sospesa sopra acque in tempesta che d'incanto si mutano in onde di pietra, di neve e di ghiaccio. Voglio scattare una serie di foto con la sua sagoma che si stacca sul cielo. Scatto e osservo le onde pietrificate che lo circondano, frutto di quella tempesta geologica che è stata l'orogenesi alpina. Ecco la grande onda del Bernina e dei Palù e l'inconfondibile spruzzo del Pizzo Scalino. E poi la lunga linea della risacca orobica, con lo sguardo la percorro e riconosco ogni cima. Oltre il cavo camuno, là in fondo, le Prealpi Bresciane e le onde che montano e si rincorrono sino ad acquietarsi nelle plaghe glaciali dell'Adamello. Si avvicinano quindi i marosi che spingono verso il cielo le schiume candide delle 12 cime a culminare in una successione d’incredibili frangenti del Cevedale, del Gran Zebrù e dell'Ortles. Con lo sguardo abbraccio questo incredibile mare in burrasca e mi incanto e penso al viaggio iniziato oltre l'ultima onda dalle invisibili spiagge padane, dove presto torneremo. E dopo avere riposto la fotocamera e ripresomi da questa fantastica visione, raggiungo Marco sulla tolda della nostra nave.

 

·       Ski - bivacco Caldarini (2480m); Piz Saoseo (3264 m); Rifugio Federico in Dosdè (2130 m); Baita Caricc (2000 m) - 1050m D+

·       Hike - Baita Caricc (2000 m); Arnoga (1880 m); San Carlo (1600 m); Baita de l'All (1510 m)

·       Bike - Baita de l'All (1510 m); San Carlo (1600 m); Bormio (1250 m); Tirano (400 m) - 53 km - 100m D+ 1100m D-

 

10 maggio - pe-da-la-re

Nulla. Non ci resta che pedalare e questo ci dà il giusto tempo, il giusto ritmo per fare sedimentare le esperienze vissute, le emozioni provate, gli incontri accaduti e gli infiniti istanti che hanno composto questo viaggio. Senza fretta. La strada è lunga e vogliamo godercela tutto sino alla fine, sino a ritrovarci sull'uscio di casa

 

·       Bike - Tirano (400 m); Olera (450 m) - 160 km - 1450m D+ 1400m D-

 

PS - alla fine della fiera ci siamo macinati

·       418 km in bici con 4750 m D+

·       104 km con gli sci con 9000 m D+

·       8 giorni di cui: 2 giorni bike, 3 giorni bike&ski, 3 giorni ski





























#neve - retrogusto

Che non sarà tutto come prima ve l'ho già detto e sarete stufi di leggerlo.
Che ci avessi preso gusto era già chiaro da tempo.
Quindi ribadisco che ciò che più mi interessa non tanto per il cosa si fa ma il come lo si fa.
Ed è così che oggi ho iniziato a sentire, oltre all'immediato gusto, un persistente retrogusto ancora più buono e che assaporo sul palato e percepisco nel corpo.
È passata ormai una settimana e non è la stanchezza che mi è rimasta, ma una sensazione di compiuto, di qualcosa che ho fatto proprio come volevo.
Una soddisfazione solida, direi.
Questo è il retrogusto che sento: di un agire che ha messo radici in un terreno ricco di significati e di senso; di una consapevolezza cresciuta con cura e attenzione.
Fisicità, socialità e affettività sono le tre cose a cui non ho voluto rinunciare in questo anno trascorso tra un lockdown e l'altro, nel rispetto della salute e degli spazi miei ed altrui. E per non rinunciarci ho esplorato nuove strade, ho cercato nuove soluzioni, coltivando in modo divergente le mie passioni.
Ed anche lo scorso fine settimana così è stato.
Con due amici e le nostre biciclette, cariche di tutto il necessario, siamo partiti da casa per una due giorni tra i monti. Ed alla fine non sono tanto le montagne salite, i 170 km percorsi e i quasi 5000 m di dislivello macinati, ma ciò che importa è come lo abbiamo fatto.
Partire alla luce delle frontali. Pedalare sino a Lizzola. Sbranare un bel panino superimbottito che ti han preparato al negozio del paese. Approfittate della gentilezza delle persone che pur senza conoscerti ti mettono a disposizione il loro garage per rimessare le biciclette. Calzare gli sci sulle Piane e con un caldo fottuto arrivare in vetta al Tre Confini. Scendere al cospetto del Gleno, su ciò che resta della vedretta del Trobio. Bivaccare al rifugio Curò. Chiacchierare con piacere insieme alle persone che, come te, passeranno la notte sparpagliati nel piccolo invernale e attorno ai muri del rifugio. Percorrere il grande anello che porta sulla vetta del Diavolo della Malgina. Sotto la vetta alzare lo sguardo e godere del volo di una pernice bianca contro il blu del cielo. Ululare per tutta la lunga e strepitosa discesa della Val Morta. Risalire la Val Cerviera sino alla spalla del Tre Confini. Misurare ogni passo, centellinando le ultime energie. Affacciarsi sulla valle di Bondione con la consapevolezza che da lì c'è solo una lunga ed infinita discesa. Caricare le biciclette, in mutande, mentre chiacchieri con la persona che gentilmente le ha custodite. Mettersi in scia a Marco e Ale, e scoprire che sulla discesa di Gandellino il tuo contachilometri segna 55 km/ora. Pedalare e sentirsi ok. Non sentire più la fatica e dopo essersi salutati, con il sorriso sulle labbra ed una soddisfazione che ti esplode dentro, mentre si fa buio, affrontare la salita che ti riporta a casa, dove sono custoditi i tuoi affetti.
È passata ormai una settimana ma è come se fossi tornato ora e in questo istante è come se avessi appena varcato l'uscio di casa.
Quanto è potente il retrogusto che lasciano certe avventure.


















#neve - gusto

Ci abbiamo preso gusto. Se ci posso andare in bici perché utilizzare l'auto? Ed eccoci, dopo tre ore di pedali, nuovamente in Valcanale ovvero "Il posto più bello del mondo" (cit. Cesare Pisoni ) per una gita insolita. E ci ritroviamo a tracciare in una spanna di fresca, immersi nella solitudine imponente del vallone che sale al Passo del Re, poi ci affacciamo sulla conca di Leten e saliamo all'omonima cima. La parete sud della cima di Valmora è imponente e lo scivolo di neve sotto di lei ci attende. Non lo facciamo aspettare e ci godiamo la discesa sino a ritrovare le nostre biciclette, pronte a ricondurci a casa.
Ormai ci abbiamo preso gusto e si sa che una gitarella tira l'altra, nemmeno fossero ciliegie.
Alla prossima.




#neve - cittadini



Non abbiamo bisogno di ordinanze e divieti. Ciò che serve è informazione e formazione, ma se non si è in grado di ascoltare i bisogni dei cittadini e non c'è conoscenza del territorio e delle specifiche tematiche da affrontare, purtroppo dovremo subire le conseguenze di ordinanze insensate.
Servono regole chiare; in inverno su una strada di montagna hai l'obbligo di transitare con le gomme da neve o avere le catene a bordo, assurdo sarebbe vietarne il transito con la finalità di evitare che accadano incidenti.
Vietare a priori l'accesso ai monti, ad un sentiero, a piste da sci inutilizzate dichiarando che lo si fa per garantire la nostra sicurezza non solo è una scelta stupida ma pure miope.
Siamo cittadini responsabili e non incoscienti amanti dei monti.

martedì 21 aprile 2020

VAGABONDI AD ORIENTE - CERCANDO L'INCANTO

Tre giorni intensi
vagabondando tra le pieghe
delle Orobie ad oriente.


È tardi. La prima giornata è stata lunga, molto lunga. È ora di rientrare al bivacco, un guscio di legno e lamiera rossa appollaiato sulla cresta, in un luogo incredibile. Ma ancora per qualche istante ci tratteniamo sulla vetta del Monte Torsoleto. L’intera Valle Brandet, ormai avvolta nell’ombra, si stende ai nostri piedi puntando dritta verso nord e là, in fondo, oltre le scure abetaie, il borgo di Sant Antonio si prepara alla notte.
Da quel pugno di case, incastrate alla confluenza delle valli di Brandet e di Campovecchio, ci siamo incamminati alle prime luci del giorno, con passo lento e accorto, sotto il peso di zaini carichi e con gli sci a spalla. Il torrente con il suo fragore ci tiene compagnia e, dopo il primo balzo, lentamente si quieta mentre risaliamo la vallata. A fare da controcanto c’è l’allegro cinguettare degli uccelli nascosti tra le chiome degli abeti. C’è profumo di primavera. Al rifugio Brandet il comignolo fuma e si scorge una luce oltre i vetri appannati, qualcuno si sta risvegliando. Proseguiamo tra chiazze di neve, pozze d’acqua ghiacciata e morbide lettiere di aghi e di muschi. Solo a Malga Casazza la copertura nevosa si fa continua e cospicua. La valle, sagomata da antichi ghiacciai, qui ha termine in un impressionante circo su cui convergono ripide valli laterali. Tutt’attorno, come una corona, svettano cuspidi candide che catturano i primi raggi di sole, brillano. Calziamo scarponi e sci, svoltiamo a destra e risaliamo la Valle del Piccolo. Gli abeti lasciano spazio ai larici e poi pure loro si diradano ed il pendio si fa sempre più ripido. Attraversiamo cumuli di valanga che fanno una certa impressione, cercando di non perdere la traccia labile del sentiero estivo. Attraversiamo la valle e ci portiamo in zone aperte dove dossi e conche si alternano a brevi tratti più ripidi. Dall’alto guardiamo i pendii del Palone di Lizzia solcati dalle valanghe, ora procediamo più tranquilli. Il paesaggio si apre, si fa imponente e ce n’è da colmare lo sguardo sino a ubriacarsene. Non vi è traccia alcuna di precedenti passaggi e gli unici segni di vita sono le corse e i balzi dei camosci o il frullare delle ali di alcune pernici bianche all’involo. Io e Marco per tutta la salita sappiamo solo dire “Che meraviglia!” e lo ripetiamo come fossimo due dischi rotti, senza aggiungere altro. Finalmente scolliniamo nel gigantesco catino che ospita il lago di Piccolo. Di questo specchio d’acqua, che riposa sotto metri di neve, so solo che è il lago naturale più grande di tutte le Orobie. Per fortuna nessuno lo ha imbrigliato con una diga e ne ha sfruttato le acque. Marco allunga la falcata, è impaziente di arrivare. Il profilo del passo e del crinale, che sale sino al bivacco Davide e alla vetta del Monte Torsoleto, si staglia contro il blu di un cielo oltremare. Sbucati sulla cresta restiamo senza parole, ormai il repertorio per esprimere il nostro stupore è stato abbondantemente saccheggiato, non possiamo che restare in silenzio. Davanti a noi l’intero crinale che divide la Val di Scalve dalla Val Camonica e, ben allineate come tante sentinelle, si dispongono le cime calcaree delle prealpi: la cima della Bacchetta, la cima di Baione, il Cimon della Bagozza e poi giù sino al Sossino e al Pizzo Camino, infine, in lontananza, la meravigliosa bastionata della Presolana. Per noi bergamaschi quelle sono le montagne di case, le terre conosciute, ma oggi abbiamo deciso di avventuraci per terre incognite, in questo lembo di Orobie al confine tra le valli bergamasche, valtellinesi e bresciane, dove è bello vagabondare con gli sci.

Il “Bivacco Davide” è accogliente. Svuotiamo gli zaini e spaliamo la neve. Il sole è caldo. Mentre sciogliamo la neve per fare riserve d’acqua, beviamo parecchio e mangiamo qualcosa. Ci riposiamo comodamente stesi contro le lamiere del nostro rifugio. La pace, la quiete e la solitudine sono assoluti e ci godiamo tutto in un silenzio sospeso. È fine aprile e le giornate sono lunghe, nel pomeriggio decidiamo di raggiungere la vicina vetta. Mettiamo nello zaino il minimo indispensabile, sapendo già che non resisteremo al meraviglioso pendio nord che abbiamo intravisto dal fondo valle. E così accade. Una rapida occhiata ad este, all’intero massiccio dell’Adamello e alle Prealpi Bresciane, e sul filo di cresta superiamo la linea d’ombra, dando inizio ad una discesa in neve fresca e leggera. Ci godiamo ogni curva, sempre più giù, sino dove si riesce. Poi, ci tocca risalire in vetta. È ora di rientrare al bivacco. Attendiamo il tramonto mentre sul fornelletto cuoce la zuppa e dalle sacche escono leccornie di ogni tipo e un ricambio di indumenti asciutti e caldi. Basta la fiamma del fornelletto e il lume di due candele per riscaldare un poco l’ambiente. Fuori è ormai buio ed il cielo è una trapunta nera imbastita di stelle.
Al risveglio tutto è ghiacciato. Riaccendiamo il fornelletto per scaldare la colazione e ci prepariamo per il secondo giorno. Abbiamo scorte per altri quattro giorni, siamo ottimisti pur sapendo che domani o dopodomani arriverà una perturbazione molto attiva che porterà copiose nevicate in quota. Oggi, giorno di Pasqua, iniziamo con una discesa ruvida, cercando una linea probabile per gli sci, tra balze rocciose, canalini e cumuli di valanga. Ancora una volta abbiamo lasciato il certo per l’incerto. Siamo scesi direttamente alla Malga Largone. Forse era meglio passare dal rifugio Torsoleto e dalla Cima dei Matti, sicuramente era più semplice. Poi, sempre con calma, abbiamo dato il via ad un lungo vagabondaggio sul limitare delle tre provincie: Brescia, Bergamo e Sondrio, le cui terre convergono e s’incontrano sulla bella piramide del Venerocolo. Quattro sono state le salite che poi si sono susseguite. Abbiamo assaporato ogni passo, ogni respiro, ci siamo incantati davanti ad ogni panorama, cogliendo anche i più insignificanti dettagli. Larici solitari si spingono alle quote più alte, a volte mi fermo e li osservo. I rami si flettono mossi dal vento, le gemme sono gonfie e pronte a cogliere il giusto attimo per dischiudersi. Sento pulsare la vita e riprendo il cammino. Dalla cupola ampia del monte Largone ci attende una discesa su velluto perfetto sino alle malghe di Sellero e di Sellerino. Poi, oltre il passo di Venerocolo, il sole ha lavorato leggermente la neve e qui disegniamo curve ampie e sinuose su di un “firn” perfetto, sino ai laghi sotto il passo di Venerocolino. Sulla salita al passo Demignone inizio ad accusare un poco di fatica che scordo immediatamente quando mi affaccio sull’impressionante vallone che scende a nord. Marco mi sta aspettando e freme per dare inizio alla discesa. Mi piace la compagnia di Marco, c’è intesa. Quando serve si viaggia vicini, ci si aiuta e sostiene, altrimenti ciascuno segue il suo passo i suoi ritmi, però senza mai perderci di vista, e ai cambi pelle ci si attende sempre per fare il punto e decidere insieme dove procedere. Nulla è scontato, ne siamo consapevoli e sappiamo che la nostra sicurezza e la riuscita del viaggio risiede nel lavoro di squadra. Ora c’è una valle solitaria, dalla neve intonsa e leggera, che attende di essere ricamata dai nostri sci. Insieme decidiamo dove saltare la cornice ed entrare sul pendio. Partiamo, mentre uno scende l’altro lo tiene d’occhio. Dove il pendio si fa più ampio e meno ripido si scende insieme. A malga Demignone ci concediamo una lunga pausa per riposarci, bere e mangiare qualcosa. Quindi, con il giusto ritmo e una buona crema abbronzante, spalmata ovunque, ci avviamo verso l'ultima salita. La lunga dorsale che sale dal passo di Belviso verso le creste che uniscono il monte Gleno al Trobe e allo Strinato, sino all’ampia sella del passo di Pila Grasso, si insinua netta e severa dentro il cielo, alla nostra destra. Da lì vorremmo passare domani, per andare a pernottare al rifugio Curò e proseguire oltre verso i 3000 delle Orobie. Purtroppo gli aggiornamenti meteo confermano l’arrivo della perturbazione ma noi continuiamo a sperare e rimandiamo la decisione a domani. Il sole è caldo ed il ripido pendio finale che ci conduce al passo del Vernano, ci fa sudare non poco. Ecco, ancora due inversioni e scolliniamo sull’ampia sella dove, poco più in basso, sorge il rifugio Tagliaferri, affacciato sul versante scalvino. Ci voltiamo ancora una volta verso il versante valtellinese, il tempo è bello, sembra impossibile che possa arrivare una perturbazione. La Val Belviso si stende sotto di noi e verdi foreste d’abete fanno da cornice all’immenso specchio d’acqua. Davanti a noi si mostra un altro lago da record, il lago del Belviso è l’invaso artificiale più grande di tutte le Orobie. Scendiamo al rifugio, il luogo è austero il paesaggio che lo circonda non è da meno. Spaliamo la neve per potere entrare nel locale invernale. È pulito e dotato del solo materiale per dormire, sul tavolo all’ingresso attrezziamo il nostro angolo cucina ed iniziamo a sciogliere neve sul fornelletto. Ben presto il rifugio va in ombra e il termometro precipita velocemente sotto lo zero. Si mangia e si chiacchiera, riusciamo pure a chiamare casa per dire che è tutto ok e per avere conferma delle previsioni meteo. Sopraggiunge la notte, usciamo per un ultimo sguardo che si perde in un cielo limpido e stellato. Questi momenti mi incantano, si chiude un’altra giornata solitaria in cui tutto è ridotto all’essenziale e la mente può vagare liberamente. È ora di andare a dormire.
Pasquetta. Un'alba livida ci accoglie al risveglio. Purtroppo le previsioni meteo ci hanno azzeccato. Oggi potrebbe anche andare di lusso ma domani arriverà una perturbazione molto attiva. Come avevamo paventato si cambia programma. Invece di proseguire verso le valli bergamasche, vagabonderemo ancora ad Oriente. Pochi passi ci conducono dal rifugio Tagliaferri al passo del Vernano. Che meraviglia, iniziare la giornata con una discesa. Oltre il crinale, che ci chiude la vista, c'è una montagna dalle forme eleganti, una piramide che svetta su queste terre, il Monte Telenek. Da lì si accede ad un luogo mitico per gli scialpinisti della mia generazione, il vallone delle Rose. Noi ci dirigiamo là. Velature più o meno consistenti si alternano a qualche schiarita, ma i cieli azzurri dei giorni scorsi sono solo un ricordo. Baite Radici di Campo, Malga di Campo, lago di Pisa, attraversiamo nuove valli e nuovi luoghi verso la nostra meta ed infine eccoci sul monte Nembra, di fronte alla piramide del Telenek. Il Vallone delle Rose è lì, che ci attende. Al suo termine la valle di Campovecchio promette una lunga ed infinita passeggiata. Ed infine si torna, con lo zaino colmo di emozioni, di esperienze e di nuove storie. Mentre gli occhi riposano nel verde le case di Sant'Antonio si avvicinano. E con l’amico Marco stiamo già fantasticando e progettando un nuovo vagabondaggio.

Articolo pubblicato su OROBIE Marzo 2020