Era il 1999 quando Roby
Piantoni, in compagnia di Domenico Belingheri e Magri Stefano, portò a termine
l’apertura di una nuova via sulla parete nord della Presolana Occidentale. La
nuova linea percorre i grandi strapiombi rossastri del settore sinistro della
parete. Così nasce “12 anni di Albani”. Questo nome racchiude un’altra storia,
Roby in questo modo la dedica ai coniugi Carrara, Renzo e Luciana, che per 12
anni hanno gestito con dedizione e passione il Rifugio Albani. La via si
sviluppa per 540 metri, corre parallela alla via Grande Grimpe (E. Spiranelli, G.
Rota, F. Nembrini, agosto 1989 – Invernale: E. Spiranelli, G. Angeloni, inverno
2000) e interseca al terzo tiro la Via dei Möch, una
via aperta in artificiale il 29 e 30 settembre del 1967 da Placido Piantoni e Carlo
Nembrini in cordata con B. Pezzini e A. Fantoni, a cui si ricongiunge nel
colatoio finale e ne percorre le ultime tre lunghezze.
Nell’estate del 2000, Daniele
ed io ne abbiamo fatto una delle prime ripetizioni, trovando la via decisamente
impegnativa, un primo tiro pericoloso e poi tratti di roccia poco affidabile,
anche nelle sezioni più difficili. Quel giorno, tornati alla base, incontrammo
Roby e ci complimentammo per la sua nuova linea, convenendo con lui che sarebbe
stato auspicabile dare una belle ripulita a tutto il materiale mobile, scaglie
e lame superficiali, presenti soprattutto sul terzo e quarto tiro, i due più
impegnativi della via. Poi non se ne fece più nulla ma negli anni la via veniva
ripetuta da altre cordate e apprezzata, soprattutto per alcune stupende
lunghezze che si snodano nella parte centrale, in grande esposizione e con
roccia superlativa.
Purtroppo nell’ottobre del
2009 Roby viene a mancare e, da quel vuoto che lascia, ricompare l’idea e il
desiderio di ripetere la sua via, meglio ancora se affrontata nel periodo
invernale.
Nell’inverno 2014 ci proviamo,
nonostante le condizioni proibitive della parete. Il 15 marzo, dopo un’intera
mattina di arrampicata non ci siamo alzati da terra nemmeno di 50 metri. Ecco
cosa avevo scritto sul mio diario: “Daniele
scala, i ramponi grattano sulla roccia e le becche delle picozze cercano gli
agganci più improbabili. Poche parole, qualche comando di corda, il tempo
scorre e scorre. Se arriviamo agli strapiombi – penso tra me - lì potremmo
usare le scarpette e muoverci veloci, ma ora su queste lunghezze di sesto grado
ricoperte di neve polverosa, a grattare con picche e ramponi, la vedo
durissima. Alzo lo sguardo e scorgo Daniele sbucare oltre una costola di
pietra, si protegge e poi fa crollare una meringa di neve, quindi ne rimonta
un’altra, questa sembra sostenere il suo peso. Ripulisce una fessura per
posizionare una protezione. Succede tutto rapidamente, il terrazzino di neve
crolla e Dan resta appeso all’ultima protezione. Nulla di grave, ma quello è un
segnale. Non ci pensiamo due volte, lo calo in sosta e ci prepariamo alla
discesa.”
Nell’estate
successiva la ripercorro con Gio e Cardu, con piacere prendo atto che il tempo
e le ripetizioni hanno un poco ripulito la roccia dalle scaglie e dagli appigli
instabili, inoltre, sulla prima lunghezza, che era decisamente rischiosa, sono
comparsi pure due chiodi, un grazie a Fulvio e Gibe. Nella recente estate con Daniele
torno di nuovo e lui percorre la via in libera e propone come difficoltà per il
terzo e quarto tiro, rispettivamente, un 7b e un 7b+, e l’obbligato si attesta
attorno al grado 6c. Mentre arrampichiamo in questa torrida estate, al fresco
della nord rispunta l’idea della salita invernale. I tiri più facili li
percorriamo con la massima attenzione, cercando di memorizzare ogni dettaglio,
sappiamo che d’inverno sarà su queste lunghezze di corda che ci dovremo
guadagnare metro dopo metro, la riuscita della salita. Comprendiamo
immediatamente che in ogni caso non sarà semplice e con troppa neve, come nel
tentativo del 2014, anche se si superassero la parte basale e poi i grandi
strapiombi, una volta giunti all’ottavo tiro, al traverso e al colatoio che
porta nella grotta a metà parete, così come nella parte alta, queste lunghezze
sarebbero difficilmente percorribili se non prendendosi dei rischi
improponibili e prevedendo più bivacchi in parete.
Così
iniziamo a fantasticare sulle condizioni ottimali che ci servirebbero. Servirebbe
un inverno con poca neve e quella poca, che si andrebbe ad incrostare sullo
zoccolo, sulle cenge, nel traverso e nel colatoio finale, dovrebbe bagnarsi e
compattarsi per divenire sufficientemente dura e portante, permettendo così una
progressione più agevole e con margini di sicurezza accettabili.
Arriva
dicembre e arriva l’inverno. Teniamo d’occhio le condizioni meteo e quelle della
parete. Tutto ci fa presagire che i nostri desideri potrebbero venire esauditi.
Salgo a far vista alla Regina, giusto per farmi vedere e per dirle “Ehi! Sono
ancora qui.”, per capire se è dell’umore giusto e se sia disposta a concederci
l’opportunità di un tentativo. Lei non risponde e non dice nulla, il suo
silenzio lo prendo come un invito. Non c’è tempo da perdere, sento Daniele
prima che lei cambi idea. Tre giorni dopo, alle cinque del mattino, siamo a
Colere e ci incamminiamo per raggiungere i bastioni del suo reame. È buio,
tutto dorme, camminiamo nel freddo della notte inseguendo il cono di luce delle
frontali. Per la prima volta saliamo lentamente, senza correre.
Non c’è neve e
la terra arida e gelata crepita sotto i nostri passi, sbriciolandosi. Sotto le
miniere, con i primi chiarori, iniziamo a pestare neve dura e gelata. Ci infiliamo
in una baita. Mentre fuori fa chiaro, ci cambiamo e prepariamo per la scalata.
Usciamo e calziamo i ramponi che crocchiano allegri, mentre avanziamo nella
conca del Polzone. Eccoci siamo alla base e siamo pronti, molte sono le
incognite che ci aspettano, ad una ad una le raggiungeremo e ad una ad una
cercheremo di risolverle e di andare oltre. Ci stacchiamo da terra. La Regina
ci fa da subito capire che non sarà semplice. Ad intermittenza dall’alto, cadendo
dai nevai delle cenge mediane, spinti dal soffio del vento, ci investono nuvole
di cristalli ghiacciati di neve, ogni appiglio ne è ricoperto. Le mani sono
subito dure, insensibili, quando è possibili ci si ferma cercando di riscaldarle,
quando non è possibile si va oltre, mentre con lo sguardo osservi le tue dita
che stringono l’appiglio, ma il tuo sangue non circola, non scalda e non hai
alcuna percezione tattile se non un freddo fottuto. Per i piedi non è da meno,
sembrano due pezzi di legno.
Già dalla seconda lunghezza le cose migliorano,
gli strapiombi ci proteggono e gli appigli sono puliti. Le lunghezze di corda
si susseguono regolari e senza intoppi, con Daniele ci alterniamo al comando e,
quando le dita si riscaldano, ci godiamo pure la scalata e la soddisfazione di
essere lì, appesi sui bastioni della Regina. Al nono tiro ci attende la prima
grossa incognita. Daniele parte con gli scarponi ai piedi e poco dopo calza
pure i ramponi.
Al termine del traverso stacca le piccozze dall’imbrago e si
infila nel colatoio, la neve è sufficientemente compatta. Alle 16,30 siamo nel
grande grotta del bivacco. Siamo soddisfatti ma sappiamo che il duro ci aspetta
domani. Sei lunghezze ci separano dal Cengione Bendotti, cinque di queste sono
ricoperte e incrostate di neve e poi, oltre il cengione, si devono scalare ancora
tre/quattro lunghezze per giungere in vetta. Forse dovremo fare un secondo
bivacco. Il 30 mattina si riparte, abbiamo addosso tutto il vestiario che ci
siamo portati, fa freddo. Con esclusione di una lunghezza di corda scaliamo
sempre con gli scarponi e i ramponi ai piedi. Le quattro lunghezze finali, che
d’estate abbiamo percorso in meno di due ore, ci impegnano per oltre cinque interminabili
ore. Daniele le conduce con grande perizia, non c’è nulla di facile e nulla di
scontato, ogni passo è una scelta, ogni protezione messa una garanzia alla
riuscita della salita. Io non posso fare altro che dargli corda e supportarlo,
semplicemente esserci e raggiungerlo in sosta, aiutandolo nel recupero del
saccone che ad ogni sperone si incastra. La Regina non si concede facilmente,
non ne avevamo dubbi, però ci fa intravedere la fine e sino qui ci ha lasciato procedere,
ci ha accolto nel suo abbraccio durante la salita e nel suo ventre di pietra
per il riposo. La neve incrosta tutto, è dura quanto basta per salire ma a
volte le croste si sfondano e si spezzano. Dove c’è roccia con le piccozze si
cerca un aggancio e per le mani si cerca un appiglio, che diano maggior
sostegno, che sollevino anche per un istante da quella sensazione di precarietà
che ci accompagna. La Regina ci ha accolti, la Regina ci ha lasciato passare. Attorno
alle diciasette siamo sul Cengione Bendotti, “12 anni d’Albani” è sotto di noi, ce l’abbiamo
fatta anche se la strada da fare è ancora lunga e impegnativa e non possiamo
permetterci di rilassarci. Occhi lucidi e poche parole. Tratteniamo ancora la
soddisfazione e la gioia, anche se lasciamo uscire un poco l’emozione e
cerchiamo di sciogliere la tensione. Per me e Daniele questa è la quarta salita
invernale sulla nord della Regina, di cui tre salite insieme, legati alla medesima
corda. Daniele mi guarda e mi dice: “Qui ho dato tutto, le altre invernali sono
state delle passeggiate al confronto”. Dopo una breve pausa riprendiamo a
salire, alle ventuno siamo in vetta e all’una di notte del 31 dicembre finalmente alla
Grotta dei Pagani. Finalmente possiamo ringraziare la Regina, salutare Roby,
mollare tutte le tensioni e iniziare a gustarci la soddisfazione e la gioia per
la nostra salita. Lungo il sentiero, il buio ci avvolge, i silenzi si alternano alle parole e dentro
è un caos di emozioni, immagini, ricordi, mentre la tensione lascia spazio alla
stanchezza, a quella stanchezza che ti fa stare bene, che ti fa sentire vivo. Sospesa
resta ancora una apprensione, un pensiero a chi è a casa e che ci attende e si
preoccupa aspettando un messaggio e il ritorno. Sono le tre di notte dell’ultimo
giorno dell’anno, quando giungiamo al passo della Presolana e, aspettando l’alba
e un passaggio per Colere, stendiamo rispettosamente i nostri sacchi a pelo
sulla paglia della capanna, costruita per le festività natalizie, sotto il
portico della chiesetta del passo.
Note tecniche: PRESOLANA OCCIDENTALE - PARETE NORD - Via: 12 ANNI DI ALBANI - Primi salitori: R. Piantoni, D. Berlinghieri, S. Magri, 1999 - Prima invernale: D. Natali, M. Panseri, 29 e 30/12/2016 - Sviluppo: 540 m. (14L) - Difficoltà:7b+ (6c obb.)/SR3/IV
Ringraziamo Stefano Codazzi della Climbing Tecnology & Ennio Spiranelli della Grande Grimpe
Ringraziamo Stefano Codazzi della Climbing Tecnology & Ennio Spiranelli della Grande Grimpe
4 commenti:
Grandissimi ragazzi...come si dice dalle nostre parti emussiu è brache. Grazie
Bel colpo, bravi, grande Nord, grande Alpinismo
ivo
Grazie Ivo e il grazie più grande va alla Regina che ci ha accolti nel suo regno.
Grazie a te Claudio. Montagne di emozioni, intense e durature.
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