venerdì 22 luglio 2022

#labicilettaeilbadile - RINGO STAR

“È dura vero?”
“Sì, ma è bellissima!”*

È sabato 9 luglio. Sono le 18 e 11, Marco e io ci ritroviamo dove Il Magnifico esaurisce il suo impeto verticale nel vuoto dello Spigolo Nord. Dopo quasi 11 ore di arrampicata, sotto di noi ci sono le 16 lunghezze di corda della mitica "Ringo Star", uno dei capolavori di Tarcisio Fazzini. Ottocento metri di vertiginosa parete che precipita sul piccolo e tormentato ghiacciaio di Trubinasca, incastonato tra il Pizzo Badile e la Punta Sant'Anna. Il vento teso da nord qui è ancora più forte e ci strapazza: fa freddo e abbiamo scalato tutto il giorno con il piumino. Siamo stanchi e felici, anche se la tensione latente - di chi sa che la discesa è lunga e tutt'altro che banale - non mi abbandona. Ogni volta che scalo una grande parete sono inquieto e non mi libero da questa sensazione fino a quando non ho nuovamente i piedi a terra e tutto il materiale alpinistico riposto nello zaino. E con il passare degli anni questa tensione è sempre più marcata. Ma ora ci godiamo questi attimi, mentre procediamo verso la vetta del Pizzo Badile. Ci avevamo già provato due settimane fa, in compagnia di Ale, partendo da casa in bicicletta. Purtroppo, la parete era fradicia e ci siamo arenati poco oltre la metà e poi giù in corda doppia, per fortuna il ghiacciaio era ben chiuso e in buone condizioni. Questo fine settimana, invece, non siamo riusciti a prenderci un giorno e mezzo di ferie per goderci il viaggio con le nostre biciclette. Un poco mi dispiace ma il camper di Marco è confortevole e avremo le gambe più fresche per l’avvicinamento e la salita. Ed eccoci nuovamente qui, sul granito del Pizzo Badile.

Giunti in vetta penso a Filip Babicz e alla sua “folle” corsa: 42’52’’ lungo lo spigolo nord. Rivedo le immagini di lui che si accascia sotto il tripode della cima e la macchina da record torna ad essere umano. Penso a Cristina, accendo il cellulare, c’è campo, la chiamo. Quando ci siamo conosciuti, non c'erano i cellulari e quando ero tra i monti passavano giorni prima di sentirci e poterle dire che andava tutto bene. Mando anche un messaggio a Smaranda, che domani salirà lo spigolo nord, e uno a Daniela, rifugista del Sasc Fura a cui avevo detto, da ottimista, che saremmo tornati in serata. Ma noi, questa sera, non torneremo al rifugio. Abbiamo tre ore di luce e non ci bastano per scendere in corda doppia e ripercorrere il tortuoso percorso tra i crepacci del Trubinasca.

Il bivacco Redaelli è una botte di legno e lamiera ancorata alle creste sommitali e affacciata sul vuoto della Val Porcellizzo, è pulito e accogliente e ci garantirà una notte al caldo. Dopo aver sistemato il materiale, sulla branda, stendiamo in ordine i nostri viveri: quattro torroncini, due barrette di muesli, un poco di frutta secca e mezzo litro d’acqua. Non c’è da scialare ma tanto ci basta. Ci godiamo le luci della sera e la solitudine di questo luogo remoto. Ripensiamo alla giornata trascorsa e programmiamo (parolona!) la discesa di domani. La preoccupazione per le condizioni del ghiacciaio non mi abbandona. Un poco si chiacchiera e molto si sta in silenzio ad osservare: i pensieri vanno e vengono. Ci rintaniamo nel bivacco, avvolti nelle coperte, a goderci il tepore che la lamiera ha immagazzinato durante il giorno.

Rifletto su questo mio andar per monti e di come ogni volta mi ritrovo catapultato in una dimensione spazio-tempo dilatata, in cui i sensi restano spalancati e il percepire si fa sempre più acuto e sottile. E il mondo si mostra e mi attraversa con i suoi profumi, i suoni, i sapori, i colori e gli incontri, soprattutto quando sono in bicicletta.

Due settimane fa, anche se non abbiamo raggiunto la vetta, abbiamo vissuto un’esperienza intensa; settantadue ore di emozioni e di fatiche, 260 km di strade e 2000 m di dislivello macinati in bicicletta, 24 km di sentieri e 2000 m di dislivello percorsi a piedi, e nel mezzo il tentativo di arrivare in vetta al Pizzo Badile. Caparbi e determinati oggi ce l’abbiamo fatta, anche se un tiro in placca, prima di giungere al Magnifico, mi ha messo decisamente alla prova.

Il bivacco, nel frattempo, si riempie. Mentre cala la notte arrivano tre ragazzi tedeschi usciti dalla “Via del Fratello” e con il buio altri quattro alpinisti provenienti dalla “Via Cassin”. Stipati come sardine, ognuno cerca il suo riposo e mi addormento. Alle sei, ci prepariamo e usciamo dal bivacco, il vento è forte e abbiamo freddo. Ripercorriamo lo spigolo nord sino all’intaglio dove iniziano le calate, quindici per l’esattezza. Il vento non dà tregua e i piedi si raffreddano velocemente. Ci scambiamo pochissime parole: quelle essenziali e i comandi di corda. Movimenti ripetuti come in un rito e, ogni volta, le corde vanno ammatassate e tenute all’imbrago per evitare che il vento le porti in ogni dove, tranne che sulla verticale di discesa. Siamo concentrati e  ripetiamo i gesti con precisione. Dopo tre ore, mettiamo i piedi sul ghiacciaio, ci infiliamo gli scarponi e il sangue torna a scorrere nelle estremità. Ci serve un’ora per ritrovare la giusta strada tra i crepacci: il passaggio percorso il giorno prima, infatti, non è più sicuro e ne dobbiamo trovare un altro che ci permetta di aggirare l’ostacolo. Finalmente, arriviamo sulla morena, la tensione si scioglie e possiamo stringerci la mano; ora sì che possiamo dire di avere salito “Ringo Star”!

E di questi lunghi fine settimana, al di là dei km percorsi, delle difficoltà incontrate, della storia e della bellezza dei luoghi, porterò con me il ricordo delle persone incontrate lungo il cammino e con cui ho condiviso luoghi ed emozioni che si fanno trama, intreccio da cui nasceranno nuove storie.

Mi sono servite quasi due settimane per fare sedimentare questa esperienza e iniziare a metabolizzarla, cercando la giusta prospettiva e facendo i conti con i segni che ha lasciato. Forse ce l’ho fatta.

“Ringo Star” un’esperienza che valeva la pena d’essere vissuta.

“È dura vero?”
“Sì, ma è bellissima!”*

 * Grazie a Cristina Paruta a cui ho rubato, da un suo racconto, questo frammento in cui “ho colto una semplice metafora dell’esistenza”



























 

PIZZO BADILE (3308m) Parete Nord Ovest - RINGO STAR

Tarcizio e Ottavio Fazzini, Tita Gianola - 16 e 19 agosto 1985

Sviluppo: 800m – Difficoltà TD+ VI+ - Orario: 8,12 ore

Materiale: 7-8 chiodi, dadi, serie friend sino al 3 (BD)compresi i micro e raddoppiare misure intermedie, piccozza e ramponi per l’avvicinamento

AVVICINAMENTO - Salire in direzione della parete NO del Pizzo Badile attraversando il ghiacciaio e portandosi sotto la direttiva dell’evidente diedro che incide tutta la parete (spesso bagnato, colate nere alla sua destra), la via attacca circa 15m alla sua destra presso una placca fessurata (1h/1h30min dal bivacco + 1h dal rifugio).

L1: salire il diedro fessurato sino ad incontrare una sosta con 2 chiodi e cordoni sulla destra sotto ad un tetto obliquo, da rinforzare (40m, IV) poco sopra spostata a destra c’è un’altra sosta con due chiodi.

L2: non salire diritti ma verso sinistra, proseguire per lame rovesce e fessure (1 chiodo) lungo il diedro obliquo, posto a sinistra del tetto, giunti alla cengia traversare lungamente verso destra sino dove si sosta alla base di diedri fessurati, sosta da attrezzare su friend (60m, IV+)

L3: salire i diedri fessurati sino al loro termine dove si sosta sulla destra, un chiodo da rinforzare (50m, V)

L4: seguire le fessure verticali sopra la sosta quando diventano esili seguire la fessura/lama verso sinistra (fessura nascosta) che dopo 15m circa si fa verticale, continuare a seguirla, al suo termine, dopo circa 30m, si trova una sosta intermedia (facoltativa) su due chiodi, proseguire per la fessura che incide la placca soprastante (1 chiodo) fino a una cengia dove, a sinistra, si attrezza una sosta su friend (50m, VI-)

L5: seguire la lama sopra la sosta, inizialmente verticale e poi ancora verso sinistra, al suo termine salire un diedrino, poi ci si sposta a sinistra di alcuni metri per entrare in un altro diedro verticale da risalire (3 chiodi) sino a raggiungere due chiodi abbastanza vicini dove allestire la sosta, da rinforzare (60m, V)

L6: salire sopra la sosta per fessure e rampe appoggiate tenendo la destra, arrivati ad una cengia, sosta da attrezzare su friend (in conserva 80m, III)

L7: non continuare ad obliquare verso destra seguendo la cengia ascendente (se si prosegue si giunge alla sosta 8 – due fix cordone e maglia rapida - di “Sogni d’alta quota”) ma dalla sosta salire diedrini e fessure (1 chiodo) per poi attraversare su placche articolate alcuni metri a sinistra, alla base di una evidente fessura che sale verso sinistra, dove si sosta su friend (50m, III un pass. IV)

L8: percorrere la fessura sino ad arrivare ad una cengia da attraversare a destra fino a trovare due chiodi su cui fare sosta (60m, V)

L9: spostarsi pochi metri a destra della sosta per prendere le fessure leggermente in obliquo a sinistra, salirle per una ventina di metri e spostarsi verso destra sino sotto una fascia chiara di granito solcata da una fessura dove si attrezza la sosta su friend (40m, IV+)

L10: salire il diedrino a destra, al suo termine attraversare a destra per andare a prendere le fessure che salgono obliquamente verso sinistra, quando si fanno erbose salire sino a un chiodo, rinviarlo e traversare a destra in placca sino a raggiungere altre fessure da risalire sino ad attrezza la sosta su friend (60m, V)

L11: andare qualche metro a destra per prendere le fessure che vanno leggermente in obliquo a sinistra fin quando si trova un chiodo con cordino, salire quindi verticalmente in placca (passaggio delicato) fino ad una cengia dove si sosta su spuntone e friend (30m, VI)

L12: si percorre qualche metro verso destra per poi salire in verticale la placconata soprastante, sfruttando lame e fessure, prima verso sinistra e poi verso destra sino alla cengia che si percorre verso destra sino dove si attrezza la sosta su friend (40m, V)

L13: obliquare verso destra per poi salire fessure e lame fino alla base dell’evidente diedro (chiamato “Il Magnifico” dai primi salitori) dove si sosta su un chiodo da rinforzare (50m, IV)

L14: percorrere “Il Magnifico” in alcuni punti sfruttando alcune lame a sinistra, ritornati nel diedro (2 chiodi) continuare sino e sostare su due chiodi da rinforzare (50m, VI-)

L15: continuare lungo il diedro (2 chiodi) sino a quando è chiuso da un tetto, traversare quindi a sinistra e salire in verticale lungo un altro diedro fino a una sosta don due chiodi (30m, VI+)

L16: salire il diedro fino allo spigolo N dove si sosta su spuntone (30m, VI)

DISCESA Lungo la normale in direzione del Rifugio Gianetti. In doppia dallo spigolo nord. In doppia da “Sogni d’alta quota” - Proseguire verso la cima per circa 30 metri lungo lo spigolo tenendosi sul versante NO sino a raggiungere una sosta con due fix da 8mm con maglia rapida collegati da un cordone. Calarsi in diagonale verso destra (faccia a monte) seguendo i fix per 60m (esatti, occhio alle corde) sino a raggiungere una sosta (saltarne una intermedia priva di cordone e maglia rapida) dalla quale si iniziano le calate (tutte su due fix dell’8 collegati con cordone e maglia rapida) seguendo i fix e tendendo sempre leggermente verso sinistra (faccia a monte). L’ ultima calata deposita sul ghiacciaio 30 m più a destra (faccia a monte) di Ringo Star. In totale 15 Doppie