sabato 25 maggio 2019

PEDALANDO CON IL MIO MITO


Anche quest’anno, come di consueto, si rinnova il rito tanto atteso da tutti gli amanti delle due ruote. Un rito collettivo che avrà inizio l’11 maggio e, al ritmo dei pedali, percorrerà tutta l’Italia lungo le strade e attraverso gli infiniti paesaggi del nostro paese. Dalle pianure ai monti, dalle città ai borghi più sperduti, lungo le vallate ed i fiumi, come fosse una grande festa in cui i protagonisti non sono solo gli atleti ma soprattutto il variopinto pubblico che li accoglierà ovunque. Appassionati o semplici curiosi che si assieperanno e attenderanno a bordo strada, per applaudire, per incitare, per vedere i propri beniamini o anche solo per respirare quest’aria di festa che solo il Giro d’Italia sa regalare.
Nell’edizione 2019 non mancheranno le tappe lombarde. La sedicesima tappa si concluderà a Como dopo che i ciclisti avranno affrontato due salite mitiche: il Ghisallo e la Colma di Sormano. Luoghi storici, dove attendere e vedere passare il serpentone colorato del Giro è già una festa. A seguire, la diciassettesima tappa avrà inizio a Lovere e, dopo 226 chilometri e 5700 metri di dislivello, terminerà a Ponte di Legno. Sarà un vero e proprio tappone alpino, sulle cui salite si è costruita l’epica di questo sport. Nell’ordine si scalerano il Passo della Presolana, giusto per scaldare la gamba, per poi rilassarsi con la Croce di Salven, qui si affronterà il primo piatto forte della giornata con la salita al passo Gavia ed infine i ciclisti dovranno vedersela con la portata più sostanziosa, affrontando il Passo del Mortirolo da Mazzo di Valtellina, salita per cui scomodare la parola "mitica" non è un’esagerazione. Insomma sarà una tappa durissima, dove tutto potrà accadere e la fatica accumulata, salita dopo salita, inciderà non solo sui risultati di tappa ma anche su quelli della classifica generale. Quattro salite e quattro passi dove il pubblico potrà gustarsi un grande spettacolo e tra quel pubblico magari ci saremo anche noi, con la nostra bicicletta appoggiata a bordo strada o semplicemente presenti per immergerci nel rito che anno dopo anno ci ripropone il Giro d’Italia. E proprio lì, dal bordo di una strada, è nata la mia passione per questo sport e soprattutto l’ammirazione per un grande campione del ciclismo, Gianbattista Baronchelli.


Lunedì 3 giugno 1974.
La cronaca. Quel giorno, la tappa lombarda del Giro d’Italia parte da Como e termina ad Iseo, dopo avere scalato due Gran Premi della Montagna, al Colle Gallo e ai Colli di San Fermo. Eddy Merckx, Felice Gimondi e Gianbattista Baronchelli sono in testa alla classifica.
In quegli anni, per me, il mondo del ciclismo e del Giro d’Italia era rappresentato esclusivamente dalle palline di plastica, metà colorate e metà trasparenti, che contenevano l’immagine del volto di un ciclista con il suo nome stampato sul bordo. Sapevo solo che Gimondi e Merckx erano i più forti al mondo e vincevano tutto ed in spiaggia, dopo avere preparato una bella pista nella sabbia, avrei conteso aspramente con gli amici le palline con le loro facce e i loro nomi.
Io, quel lunedì di giugno, me ne stavo seduto al mio banco di scuola. Avevo 10 anni e una maestra giovane che adoravo. Lei, ogni settimana, ci raccontava delle sue avventure in montagna e, regolarmente, ci faceva lezione camminando tra i campi ed i boschi del paese. Probabilmente, in quel giorno d’inizio estate, stavo solo pensando che la scuola sarebbe finita ben presto. Ma quella mattina lei, la maestra, ci fece l’ennesima sorpresa “Bambini oggi, proprio fuori dalla scuola, passa il Giro d’Italia. Se state buoni usciamo prima che suoni la campanella e andiamo a vedere i ciclisti”. Poi ci raccontò che Eddy Mercks era primo in classifica ma due bergamaschi erano al secondo e al terzo posto, e lo stavano mettendo in difficoltà. Aggiunse che Felice Gimondi era l’eterno rivale di Merckx, ed erano due grandi campioni ma a lei piaceva molto di più Gibì Baronchelli, un giovane di soli vent’anni che abitava nel paese vicino al suo. Se questo Gibì piaceva alla mia maestra non poteva che piacere anche a me. Infine uscimmo in ordine dalla scuola, in fila per due, mano nella mano, le bambine davanti e noi maschietti a seguire. La maestra ci accompagnò lungo il marciapiede sino sulla via dove sarebbe passato il Giro. C’era tanta gente lungo la strada, c’era aria di festa e profumo di vacanze, faceva caldo. Ad un tratto l’attenzione di tutti fu calamitata dall’arrivo delle vetture che aprivano la corsa, il nostro sguardo incuriosito si volse in fondo alla via e ben presto un gruppo compatto di ciclisti comparve da dietro la curva e sfrecciò velocissimo davanti a noi. C’era chi applaudiva, chi incitava, chi urlava il nome del proprio beniamino. Io me ne restai un poco frastornato,avevo visto quella massa indistinta, senza riconoscere Mercks, Gimondi e Baronchelli, insomma non mi sembrò un grande spettacolo. Poi, nei giorni successivi, inizia a seguire sui giornali e alla TV, non tanto il Giro d’Italia, ma cosa combinava Baronchelli, perché se piaceva tanto alla mia maestra voleva dire che era una persona importante. Finì la scuola e finì anche il Giro. Gibì, così l’aveva chiamato la mia maestra, fece una cosa incredibile, non solo aveva preceduto Gimondi ma, per dodici secondi, era arrivato secondo dietro a Merckx, che per definizione era imbattibile. Quindi, per me, Gibì Baronchelli aveva vinto quel giro d’Italia. Nella mente di un bambino di 10 anni, anche se arrivi secondo dietro a quel campione, che i giornalisti chiamavano “Il Cannibale” e che aveva già vinto per ben due volte sia il Giro d’Italia che il Tour de France, quei dodici secondi di distacco non sono nulla, tu hai vinto ugualmente, sei il numero uno. Perchè hai dimostrato ai più forti, ai più grandi, che li puoi battere. Quell’estate e tutte le estati successive, sulla spiaggia, la mia pallina preferita fu sempre quella con la scritta Baronchelli e l’immagine di lui piegato sul manubrio, con la divisa bianca e nera della Scic e il cappellino con la visiera girata all’indietro.
Passano gli anni e di quella passione per il ciclismo e per la figura mitica, che per me è stato Gianbattista Baronchelli, mi restano non tanto i ricordi delle sue vittorie ma quelli delle sue vicende sportive ed umane. E se penso a Gibì mi viene da dire che nulla è impossibile, se si cade ci si può sempre rialzare e ripartire con più determinazione e se davanti alla tua ruota c’è un campione, che tutti dicono imbattibile, tu puoi dargli filo da torcere sino all’ultimo chilometro. Dopo quei dodici secondi di distacco da Mercks, che non sono nulla rispetto alle 113 ore che ci sono volute per percorrere i 4001 chilometri, di quel Giro d’Italia del 1974, porto con me un altro ricordo e, ancora una volta, non è quello di una vittoria, ma di un secondo posto che vale più di una vittoria. Era il 1980, ai Campionati del Mondo partono in 107, il circuito è durissimo, il freddo e la pioggia massacrano i partecipanti che si ritirano uno ad uno, solo in 15 taglieranno il traguardo, Bernard Hinault è il favorito ma Baronchelli gli tiene testa sino all’ultimo giro e gli salta pure la catena, Hinault infine riesce a staccarlo e tagliare il traguardo con un vantaggio di 1’01”.


Lo scorso anno la figura di Baronchelli rientra nella mia vita quando Luca mi regala un libro curato da Gian-Carlo Iannella “Gibì Baronchelli, 12 secondi”, mi racconta come è nato quel libro, di cui è l’editore, e mi dice che è molto amico del Tista, così lui chiama Baronchelli. Torno a casa e inizio a sfogliare le pagine del libro che mi trascinano in un bel racconto in cui documenti e testimonianze, si intrecciano ad interviste, ricostruendo così in modo originale la storia di Baronchelli atleta e uomo. Mentre leggo riemergono così i miei ricordi: quel lontano 1974, la mia maestra, le palline di plastica con i volti dei ciclisti. La lettura mi fa apprezzare ancora di più questo personaggio che durante la mia infanzia è stato un vero e proprio mito e come tale ritenevo fosse lontano ed intoccabile.
Lo scorso autunno sempre Luca, amico e fotografo, a cui avevo poi raccontato di questi ricordi, mi telefona e mi chiede se nel pomeriggio del giorno dopo fossi stato disponibile per una pedalata ed un servizio fotografico lungo l’Adda. Nicchio un poco, non ne ho tanta voglia, ed è allora che lui sfodera l’asso dalla manica “Dai che andiamo a fare una pedalata con il Tista”. I dubbi svaniscono in un secondo e la risposta è immediata ed affermativa. Non ci posso credere, sono passati quarantacinque anni, ed ho l’opportunità di conoscere e pedalare con quel “ragazzo di vent’anni” che per me è sempre stato un mito.
Il giorno dopo ci presentiamo ad Arzago, fuori dal negozio “Baronchelli Sport”. Sono le dodici e mezza lui è già pronto, vestito di tutto punto e con la sua mountain-bike. Alle 15,30 deve riaprire il negozio e vorrebbe tornare per tempo, anche per farsi una doccia e mangiare qualcosa. Ci presentiamo e saliamo in sella. Ha una bella stretta di mano, il suo sguardo è mobile e brillante, direi curioso. Mentre ci guida attraverso le stradine di campagna, in direzione di Rivolta d’Adda, iniziamo a chiacchierare e un poco per volta gli racconto di me bambino e di come lui fosse diventato il mito della mia infanzia. Io, un poco mi emoziono. Sorride e continua a pedalare. Non parliamo per nulla della sua carriera, di tecnica, tempi e biciclette. Parliamo di passione, quella passione che ancora oggi tre volte alla settimana, in pausa pranzo, lo spinge a prendere la bicicletta e percorrere le alzaie dell’Adda sino a Lodi e ritorno. Quella passione che lo ha portato alla mountain-bike, la stessa che gli fa continuare a seguire con dedizione il suo negozio. Mentre pedaliamo lungo l’argine e le golene dell’Adda, mi racconta che ci sono alcuni luoghi del fiume che continuano ad affascinarlo, anche se li ha visti centinaia di volte, stagione dopo stagione, anno dopo anno. Ad un certo punto si ferma, proprio dove il fiume, oltre la golena, si fa ampio e la luce si scompone in liquidi riflessi d’argento. Si volta e mi dice “Mi piace questo posto”. Poche parole, asciutte ed essenziali, che mi trasmettono la sensazione di un uomo profondamente legato alla sua terra, a questo angolo di pianura e al fiume. Riparte lungo la sterrata. Io e Luca lo seguiamo a ruota. Imbocca alcuni sentierini che salgono e scendono tra i pioppi e i salici della golena. Accelera in maniera leggera e costante. Con regolarità si volta leggermente con il capo per controllare se siamo in scia. Continua ad accelerare. Luca non molla la sua ruota. Non ci posso credere: è partita la sfida. Io fatico a tenere la ruota di questi due demoni e, piano piano, mi staccano. Mi diverto nell’inseguirli e guardarli sfrecciare davanti a me sul limitare tra i campi e il fiume. Meno male che, di tanto in tanto, Luca ci richiama all’ordine e quando intuisce che la luce e  è perfetta e l’inquadratura è buona, non esita a rallentare e fermarsi e noi con lui. Posso quindi riprendere fiato e mentre Luca scatta io e Gibì pedaliamo tranquilli e ci scambiamo qualche battuta. Siamo ormai giunti nei pressi di Lodi, è ora di rientrare. Chiedo a Gibì se usa ancora la bici da strada, lui mi dice che la usa una volta la settimana, durante il weekend, però c’è un problema. Lo guardo un poco stupito e con sguardo interrogativo attendo che lui continui. “Mi piace ancora andare su strada e in salita ma quando vedo uno davanti non resisto, devo andarlo a prendere. È una costa istintiva, non riesco a trattenermi, è più forte di me. Il problema è che non ho più vent’anni” Mi guarda, si mette a ridere e aumenta il ritmo, mi stacca leggermente, Luca si mette nuovamente a ruota, io me ne resto in coda. È partito lo sprint finale, tra pochi chilometri saremo nuovamente ad Arzago. Cerco di tenere la loro ruota, non devo perderla, ma inesorabilmente mi staccano. E penso a Gibì ventenne, a quel Giro d’Italia del 1974 e al suo innato istinto di andare a prendere la ruota di quello che gli stava davanti, con generosità, semplicità e determinazione.
Eccoci giunti alla fine del nostro giro. Ci salutiamo e gli prometto che tornerò a trovarlo nel suo negozio. Solo mentre sono in viaggio per tornare a casa realizzo che ho veramente pedalato con quello che è stato il mio mito, con il Gibì per cui tifavo ad ogni tappa del Giro e che mi osservava da dentro una pallina di plastica ogni volta che era il mio turno di tirare.
E chissà se quest’anno una nuova e giovane promessa saprà farci sognare, scalando con determinazione e generosità la Presolana, il Gavia e il Mortirolo per poi piombare sul traguardo di Ponte di Legno con 12 secondi di vantaggio su un più affermato campione.

Articolo pubblicato sulla rivista OROBIE - Maggio 2019

venerdì 24 maggio 2019

FIRST LOVE – Raccontare il passato per trovare il futuro


First Love è un viaggio nella memoria, intimo e tormentato. Un’incursione nel passato, necessaria per ritrovare il Primo Amore e prendersene cura, per poi portarlo con sé in un “corpo felice, estasiato e stanco”.
First Love non è solo il titolo della canzone di Adele con cui Marco D'Agostin apre la sua performance. First Love è anche il titolo del suo spettacolo autobiografico e potente, in cui la componente artistica e quella agonistica si alimentano l’un l’altra, in un crescendo inarrestabile e palpitante di vita.
Primo Amore è l’oggetto delicato e fragile, attorno a cui tutto ruota e con cui lo spettatore è chiamato a confrontarsi.
“Perdonami primo amore, ma sono stanca. Ho bisogno di andarmene per provare di nuovo sentimenti. Per provare a capire il perché” questa è una delle frasi che D’Agostin canta in playback, mentre la voce di Adele satura lo spazio scenico e avvolge il pubblico in sala. Lui va oltre e prova “a capire il perché” in una sfida personale in cui la nostalgia diventa motore della sua ricerca. Da subito chiama in causa il pubblico, testimone di questo Primo Amore, consegnando, ancor prima di entrare in sala, “un risarcimento messo in busta e indirizzato al primo amore”.
Venerdì sera, nello spazio del Teatro Modernissimo di Nembro, mentre attendo l’inizio dello spettacolo apro questa busta e tra le mani mi ritrovo un collage fatto di frammenti di un diario e foto di un album di famiglia. Poi cala il silenzio, D’Agostin è già in scena, sul fondo, in un angolo. Ho il privilegio ed il piacere di essere in prima fila, a pochi metri dal palco, a pochi metri da Marco D’Agostin che, con il corpo e la parola, ci racconta il suo Primo Amore. Vicino a me c’è pure Stefania Belmondo, musa ispiratrice di ciò che sta accadendo sotto il nostro sguardo. Chissà cosa pensa e quali emozioni le crescono dentro, mi chiedo.
Non è la prima volta che vedo uno spettacolo di danza contemporanea e non è nemmeno la prima volta che dovrò salire sul palco del Modernissimo, altre volte ho calcato quello spazio per raccontare della mia passione fatta di montagne, di alpinismo e di momenti di vita verticale. Però, questa sera, anche per me è una prima volta e sono emozionato. Alessandra Pagni e Nelly Fognini, curatrici infaticabili di Festival Danza Estate, mi hanno coinvolto per condurre il dialogo finale con Marco D’Agostin, Stefania Belmondo e il pubblico. Ho accettato, senza esitazione, mi piacciono le sfide ed ora eccomi qui mentre la performance prende forma, pronto a lasciarmi stupire da questo modo di raccontarsi per me insolito.
Fatico ad incastrare nei canoni della Danza Contemporanea quanto accade sotto il mio sguardo. Sul palco vedo molto di più: linguaggi differenti, mutuati dalla danza, dal teatro, dallo sport, si fondono in un equilibrio luminoso e pulsante.

U.S.A. - Salt Lake City. Olimpiadi 2002. C’è una gara di sci da fondo, non una gara qualsiasi, ma una di quelle gare che passano alla storia. Un’impresa titanica in cui la protagonista “contro tutti e contro tutto” vince. E c’è la telecronaca che cresce e si sviluppa con il trascorrere del tempo, sui ritmi e gli accadimenti che si susseguono in quei quindici chilometri a tecnica libera. Questo è il filo conduttore della narrazione: un evento pubblico.
Italia - Valdobbiadene. C’è un ragazzino che segue in TV questa gara, Stefania Belmondo è il suo idolo e lo sci da fondo la sua passione. Il ragazzino coltiva un altro sogno: danzare, ma in quel paese di provincia resta solo un sogno. E allora il ragazzino si ritrova a mimare i gesti del passo pattinato sulle scale e nei corridoi di casa, come fossero passi di danza. Sui campi da sci continua gli allenamenti e le gare, in un ambiente che gli è sempre più estraneo. Questa è la storia sottesa, anticipata dagli indizi presenti nella busta e che ora emerge, come la punta di un iceberg, durante lo spettacolo. La si percepisce, prima confusa e poi sempre più definita, quando D’Agostin arretra e si pone sullo sfondo, non più frontale ma di lato, e le incitazioni del cronista non sono più per la Belmondo; l’inflessione diventa dialettale la voce è quella dell’allenatore e chi spinge sugli sci è il giovane D’Agostin. I ricordi riemergono dalla memoria, in quegli attimi, nella penombra, la fisicità dei gesti e il timbro della voce vibrano in modo particolare quasi con sofferenza.
Poi si torna alle fasi concitate della gara, in cui la voce a volte anticipa e altre rincorre il movimento, in un gioco di rimandi e rilanci.
Mi incanto e mi faccio trasportare dal racconto, mi pare di sentire la fatica di quella gara anche nei miei muscoli e forse anche il ritmo cardiaco un poco sale, mentre i tasselli della storia si ricompongono nella mia mente.
Davanti a me ora c’è un uomo. Il ragazzo è cresciuto, si è preso cura del suo passato e con una consapevolezza matura si è fatto carico del suo Primo Amore. Forse c’è stata una rottura e anni di lontananza ma ora ha coronato il suo sogno negato. Gli è costato tempo e fatica ma adesso è un danzatore, pronto a riconoscere quel suo Primo Amore per quello che è: pietra d’angolo del suo vivere. Pronto a raccontarsi con il suo corpo e la sua voce, con una fisicità e frontalità che non possono lasciare lo spettatore indifferente, chiamandolo a condividere ogni secondo di quei 15 chilometri a tecnica libera e ogni attimo di quei 17 anni che sono passati da quella gara e da quando a passo pattinato sognava di danzare.
Duccio Demetrio apre il suo saggio “Raccontarsi” con queste parole “C’è un momento, nel corso della vita, in cui si sente il bisogno di raccontarsi in modo diverso dal solito. … di raccontare in prima persona quanto si è vissuto e di resistere all’oblio della memoria.” Con First Love questo momento è giunto anche per D’Agostin che ci dona la sua esperienza personale attraverso questa performance, in cui frammenti autobiografici si ricompongono in un racconto inatteso. Storia intima ed epica che va oltre lo spazio ed il tempo, in cui ognuno di noi può riconoscere qualcosa di se.

Ed infine quelle mani alzate verso il cielo. “Che bello!” urla D’Agostin e lo ripete più volte modulando timbro e potenza della voce. Lo ripete più volte variandolo come varia la sua presenza nello spazio scenico, non più frontale ma sempre più arretrata nella penombra, sino a voltarsi, sempre con le mani alzate e sempre cadenzando le due parole “Che bello!”. Ed in queste due semplici parole scandite e ripetute sento la voce di Franco Bragagna cronista di quella gara epica; sento la voce di Stefania Belmondo che vince l’oro e la sua decima medaglia olimpica; sento soprattutto la voce di Marco D’Agostin prima quindicenne davanti alla TV, in quella domenica del 9 febbraio 2002, poi uomo che, nel suo viaggio tra ricordi e memorie, riconosce il suo Primo Amore, lo accetta, lo accoglie, lo racconta e ce lo dona con questo spettacolo unico.
“Che bello!”
E mentre il sole scende e l’oscurità tutto avvolge, la neve copre la scena e il corpo di Marco D’Agostin che, prosciugato da ogni energia e da ogni forza, si abbandona in un angolo, finalmente pacificato con se stesso.
E mentre osserviamo quel “corpo felice, estasiato e stanco” queste due parole riecheggiano ancora nella nostra testa.
“Che bello!”
E mi ritrovo a ripeterle a mezza voce o muovendo solo labbra, per soppesarle e, forse, per farle mie.
E mi rendo conto che lì c’è anche un pezzo del mio vivere.
Anche senza essere fondisti o danzatori, tutti abbiamo avuto un Primo Amore con cui fare i conti, a tutti si è rotto un bastoncino proprio quando avevamo bisogno di quel punto d’appoggio.
“Che bello!” potere riprendere il cammino con un paio di bastoncini nuovi e la consapevolezza che questo Primo Amore ritrovato è anche un pezzo della nostra storia e di quello che siamo oggi.

Olera, domenica 19 maggio 2019

#perdersinmountainbike - Spiove


Si coglie l'occasione, per qualche ora non piove. Allora, prima che giunga la sera di questo sabato uggioso, ne approfitti ed esci a pedalare sui sentieri di casa. Respiri, sudi, ti diverti. È buio quando stanco affronti la salita che ti riconduce al borgo. E godi già al pensiero della doccia calda che ti attende e di tutte quelle cose che ti frullano in testa e forse scriverai.

#verticalorme #mtb #mountainbike#versantesudedizioni VERSANTE SUD#visitbergamo @VisitBergamo #terredelvescovadoTerre del Vescovado #invalcavallina ValCavallina#valleseriana #promoserio Infopoint PromoSerio#visitlakeiseo @Visitlakeiseo
 — presso Monte di Nese.

#neve - First love


Avete tifato Stefania Belmondo?
Amate lo sci da fondo?
Vi piace sentire il suono che fa la neve quando la accarezzate con i vostri sci?
Avete rivisto in rete la telecronaca della 15 km tecnica libera alle Olimpiadi del 2002?
Adorate la danza contemporanea?
Siete degli affezionati del Festival Danza Estate?
Non volete perdervi il secondo primo UBU che passa da Bergamo in meno di 10 giorni? (Chiara Bersani ci ha meravigliati negli spazi della Gamec giovedì scorso)
Amate le performances di Marco D'Agostin?
Avete, anche solo una volta, canticchiato la canzone di Adele "First love"?
Vi si è mai rotto un bastoncino?
Restate incantati a guardare verso il cielo ogni volta che inizia a nevicare?
Vi piace stare seduti nelle poltroncine blu del Modernissimo di Nembro, nel buio della sala e con il palco illuminato?
Se la risposta, anche solo ad una di queste domande, è un bel SI!
Non potete mancare questa sera alle ore 21 a Nembro al Modernissimo.

#neve - First love


Il primo amore non si scorda mai e Marco D'Agostin vi racconterà il suo primo amore e ve lo racconterà con il corpo e le parole che diventano danza.
Quindi io ve lo dico ancora una volta e poi vedete voi se esserci o se proprio volete perdervi questo appuntamento in cui arte e sport, amore e passione si fondono in un racconto inusuale fatto di neve e di respiro, di ricordi e di sudore, narrazione corporea di una storia intima ed epica al tempo stesso.
Qui sotto trovate tutte le info.
Ci si vede venerdì.

#neve - "Dinamico

[di-nà-mi-co] agg. (pl.m. -ci, f. -che)
1 Che riguarda il movimento di persone o cose; che intende dare un'impressione di movimento: organizzazione d. dello spazio; in senso fig., che concerne lo svolgimento di qlco., inteso come successione di fatti e sequenza di sempre nuove situazioni: la tensione d. del racconto"
foto di Alessandro Ceribelli
Oggi Ale mi ha girato un suo scatto che mi ritrae in compagnia di Re Cardu, amico di grandi vagabondaggi. Mi ha fatto un sacco piacere questo dono, perché penso sia uno dei rari scatti con The King e il sottoscritto in azione. E che azione, per l'appunto dinamica. Quindi grazie mille ad Ale e spero si unisca sempre di più ai nostri vagabondaggi in bianco.
Eravamo così dinamici non per fare gli atleti ma perché eravamo sul fondo del versante nord e dovevamo ritornare sino in cresta e poi ridiscendere a sud dove ci attendeva il nostro camperino, con il riscaldamento acceso e una buona birra blanche in fresco. Insomma avevamo fretta di rientrare e pregustavamo il calduccio che avremmo trovato e avevamo la necessità di idratarci correttamente.
Poi risalendo ci siamo un poco persi via a guardarci in giro e tra una salita e una discesa abbiamo incontrato un'aquila, le marmotte, i camosci, un gallo forcello ... insomma, tra una raffica di vento e l'altra, non sono mancate le distrazioni. Ma alla fine ce l'abbiamo fatta, siamo arrivati a destinazione, con la temperatura in camper perfetta e la birra fresca al punto giusto.
Qualcosa mi dice che non sarà l'ultima sciata.
Pronti e dinamici, sempre.
 — presso Rifugio Passo San Marco2000.

#neve - Ometti


Oggi eravamo in tre ometti e dopo il Pizzo Segade non potevamo non salire a fare visita ai tre ometti posti lungo la cresta che sale al Monte Fioraro. E visto che tre è un bel numero siamo pure saliti alla Cima Villa. Coronando ogni salita con una bella discesa a nord.
 
— presso Rifugio Passo San Marco2000.

#neve - Ancora


Creste spazzate dal vento freddo del nord. Saliamo dove più ci piace e scendiamo sino dove la neve finisce.
Perseveriamo.
Ancora, ancora ed ancora.
 — presso Rifugio Passo San Marco2000.

#neve - First love


Era il 2002, era a Salt Lake City, erano le Olimpiadi e una grande atleta, caparbia e determinata, compie qualcosa di incredibile aggiudicandosi l'oro olimpico nella 15 km a tecnica libera. Se non vi ricordate o mai avete saputo di cosa è accaduto in quella gara, non vi racconto nulla e vi invito a vedere lo spettacolo di Marco D' Agostin. 
Ma cosa c'entra la danza contemporanea e il 31#Festival Danza Estate con Stefania Belmondo, lo sci da fondo e la neve?
Cari amici la risposta la troverete venendo a vedere la performance di Marco D'Agostin, roba da pelle d'oca. Per inciso Marco D'Agostin prima di essere performer è stato un fondista e "First love" è stato Premio UBU 2018 come migliore performer under 35.
Vi piace lo sci e la neve e non sapete nulla di danza contemporanea? Adorate la danza contemporanea ma lo sci e la neve vi danno i brividi? 
Rilassatevi e il 17 MAGGIO 2019 | ORE 21.00 venite al TEATRO MODERNISSIMO DI NEMBRO (BG) e godetevi uno spettacolo fuori dal comune in equilibrio tra la danza, lo sci e la neve.

Ed ora la domanda sorge quasi spontanea, ma cosa c'entro io con la Belmondo e D'Agostin, lo sci da fondo, la neve e la danza contemporanea?
Beh! Esattamente non so nemmeno io cosa c'entro, ma avrò la fortuna, al termine della performance, di moderare l'incontro tra Marco D'Agostin, Stefania Belmondo e il pubblico.
Mi sudano già le mani per l'emozione.
Io vi ho avvisato e poi vedete voi se esserci o perdervi questo racconto inusuale di una storia intima ed epica al tempo stesso.

Marco D'Agostin
 — presso Nembro Teatro Modernissimo.

#letraversiadi #sisifofelice - Diario di produzione 11 - la sesta traversata

18 marzo
Oggi sento Geko per fissare un incontro con lui e due testimoni indiretti della prima traversata delle Orobie del lontano 1971. Con questi due ultimi contributi a breve Alberto Valtellina ed io chiudiamo la produzione del film dedicato alla traversata delle Orobie, che abbiamo percorso lo scorso inverno, e alla sua storia. E a margine della telefonata Geko mi chiede se sono a conoscenza di una giovane guida lecchese che ha iniziato la Traversata. Non ne so nulla ma una veloce ricerca nella rete mi fa approdare sulla pagina di Massimiliano Gerosa e scopro che con alcuni suoi amici è già al terzo giorno di questo viaggio attraverso le montagne di casa. Quindi, per quando mi riguarda, lo seguirò in questa sua avventura. In bocca al lupo Massimiliano, a te e ai tuoi amici. 
Buon viaggio.
Maurizio


Ecco a cosa servono i social. Da quando ho scoperto questo progetto della Scuola Nazionale di Scialpinismo CAI Lecco ed ho saputo che un gruppetto di scialpinisti erano in azione lungo la traversata scialpinistica delle Orobie, non passa giorno che non cerchi loro informazioni nei social. E quando le trovo sono felice nel vedere che la loro avventura procede per il meglio. Guardo le foto, leggo le scarne e appassionate parole e mi trovo catapultato ad un anno fa, quando con Marco ho percorso l'intera traversata. Riconosco i luoghi e mi sembra di essere ancora li, tra i miei monti, sugli sci. E il desiderio di tornarci è incontenibile. Ora loro sono al rifugio Mambretti e li attende lo scavalcamento dei Giganti delle Orobie, il tratto più selvaggio e impegnativo di questo lungo viaggio.
In bocca al lupo, la meteo è buona e non vi manca la determinazione.

foto  di Massimilianno Gerosa

È stato un piacere incontrarvi. Buona continuazione. E ci vedremo per un brindisi.
Ps - per la cronaca: nelle cinque edizioni dal 71 allo scorso anno non ha mai partecipato una ragazza, complimenti soprattutto a lei.


Erano partiti da Gerola e dalla classica vetta del Pizzo dei Tre Signori, oggi con il Monte Nembra e la discesa verso l'Aprica, portano a termine la loro traversata sci alpinistica delle Orobie. Una gran bella traversata per festeggiare i 50 anni della Scuola Nazionale di Scialpinismo CAI Lecco. Dopo 10 giorni, 12.700 m. D+ e 170 km di sviluppo, è giunta al termine l'avventura di Massimiliano GerosaStefano Bolis, Jacopo Gregori e Silvia Favaro. 
Complimenti ragazzi.

#perdersinmountainbike - acaso


Ma questo lago ... è grandissimo!!!!!

#mtbdabergamoailaghidiendineeiseo
#fisico #lashelmets #yourprotectionourpassion
 — aSanremo.

#sisifofelice #letraversiadi - Diario di produzione 10 - La traversée au contrarie


Sabato 27 Aprile, ore 10:21- Rifugio Scarafiotti
Che ci faccio un questa valle di confine, tra questi monti a me sconosciuti?
Ieri sera ho imboccato la prima deviazione dopo il tunnel del Frejus e sono salito sin dove la strada, stretta e tortuosa, ha termine. Rochemolles è il nome di questo pugno di case in pietra, un borgo incastonato tra le acque impetuose del torrente e un fazzoletto di terra che si ritaglia spazio vitale tra ripide e austere pareti. Una veloce ricerca in rete mi dice che da lì parte una classica scialpinistica, la gita conduce al Grand Sommeiller.
Ma che c'entra tutto questo con "Le traversiadi"? C'entra, tutto c'entra quando si tratta di "attraversare" luoghi, storie ed emozioni.
Ieri, con Alberto, sono andato a Chambery per conoscere François Renard e raccogliere la sua storia, quella della sua traversata delle Orobie al contrario: da Paisco Loveno ad Esino Lario.
Se io ero sulle tracce di Franco Maestrini ed Angelo Gherardi, la sua traversata, compiuta in due riprese nel 2011 e 2013, è stata ispirata da un articolo del '76 pubblicato sulla rivista del CAF a firma di Jean Paul Zuanon.
Ieri, quindi, grazie all'incontro con François, abbiamo terminato di raccogliere le testimonianze che ricomporremo per raccontare in un film le cinque (+una) traversate e percorrere 50 anni di storia dello scialpinismo Orobico.
Un anno è già passato da quando Marco ed io abbiamo portato a termine la nostra traversata e, solo alla fine della nostra avventura, ho scoperto della traversata di François.
In questo anno con Alberto abbiamo incontrato molte persone e raccolto le loro testimonianze e storie e documenti e materiali. Non vi dico dell'emozione di sfogliare i diari di Angelo Gherardi o di leggere il diario della traversata del 74 di Jean Paul Zuanon, e che dire delle lettere di Zuanon a Gherardi. Vi lascio poi immaginare la sorpresa quando Giuliano ci ha mostrato la pellicola del film "Passo dopo passo", che documenta la traversata del 1980 in cui Franco Maestrini torna sulle sue tracce dopo 19 anni. È stato difficile condensare tutto questo in circa 80 minuti, ma abbiamo raccolto la sfida e ci abbiamo provato ed ormai siamo in chiusura.
Ed ora cosa posso fare?
Non mi resta che godermi tutta questa neve di confine e la lunga camminata che mi attende per rientrare a Rochemolles con gli sci sullo zaino.
Merci beaucoup monsieur Renard.
A bientot.
 — presso Rifugio Scarfiotti Bardonecchia.

#neve - Vagabondi ad oriente


Ed infine si torna, con lo zaino colmo di emozioni, di esperienze e di nuove storie. Mentre gli occhi riposano nel verde le case di Sant'Antonio di avvicinano. E con il tuo amico stato già fantasticando e progettando un nuovo vagabondaggio.
Grazie Marco.

Vagabondando tra le pieghe 
delle Orobie Bresciane, 
cercando l'incanto ad oriente.

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 — a Corteno Golgi.

#neve - Vagabondi ad oriente


Pasquetta. Un'alba livida ci accoglie al risveglio. Purtroppo le previsioni meteo ci hanno azzeccato, oggi potrebbe anche andare di lusso ma domani arriverà una perturbazione molto attiva. Nello zaino ci portiamo scorte di viveri e gas per altri due/tre giorni, siamo i solito ottimisti. Cambiamo programma e, invece che proseguire verso terre bergamasche e poi valtellinesi, anche in questo giorno di festa vagabonderemo ancora ad Oriente.
Pochi passi ci conducono dal rifugio Tagliaferri al passo del Vernano.
Che meraviglia, iniziare la giornata con una discesa.
Oltre il crinale, che ci chiude la vista, c'è una montagna dalle forme eleganti, una piramide che svetta su queste terre, il Monte Telenek. Oltre c'è un luogo mitico per gli scialpinisti della mia generazione, il vallone delle Rose.
Noi ci dirigiamo là.


Vagabondando tra le pieghe
delle Orobie Bresciane,
cercando l'incanto ad oriente.

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#rifugiotagliaferri

#neve - Vagabondi ad oriente


Gemme gonfie pronte a cogliere il giusto attimo per dischiudersi. Le osservo, osservo oltre e poco dopo riprendo il cammino.

Vagabondando tra le pieghe
delle Orobie Bresciane, 
cercando l'incanto ad oriente.

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 — presso Monte Venerocolo.

#neve - Vagabondi ad oriente


Il giorno di Pasqua è iniziato con una discesa ruvida, cercando una linea probabile per gli sci, tra balze rocciose, canalini e cumuli di valanga. Poi quattro sono state le salite che si sono susseguite godendone ogni passo, ogni curva, ogni panorama, ogni dettaglio. Il monte Largone e la discesa su velluto perfetto alle malghe di Sellero e di Sellerino. Il passo di Venerocolo e il firn migliore sino ai laghi che portano lo stesso nome. Il passo Venerocolino e poi il passo Demignone da dove una valle solitaria e intonsa si è fatta ricamare dai nostri sci. Con il giusto ritmo e una buona crema abbronzante ci siamo avviati verso l'ultima salita che ci ha condotti al passo del Vernano, nei cui pressi abbiamo trovato il meritato riposo preso il locale invernale del rifugio Tagliaferri.
Anche in questo secondo giorno di vagabondaggio, se si escludono due pernici bianche e alcuni camosci, non abbiamo trovato nessuno lungo il cammino.

Vagabondando tra le pieghe 
delle Orobie Bresciane, 
cercando l'incanto ad oriente.

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 — presso Monte Venerocolo.

#neve - Vagabondi ad oriente


È tardi. La prima giornata è stata lunga, molto lunga. È ora di rientrare al bivacco, oltre la cresta, attendendo il tramonto mentre sul fornelletto cuoce la zuppa e dagli zaini escono ogni tipo di leccornie.

Vagabondando tra le pieghe
delle Orobie Bresciane, 
cercando l'incanto ad oriente.

#letraversiadi #sisifofelice #appunti
#unimmaginevalepiudimilleparole #montetorsoleto#Orobie
 — presso Val Brandet.

#neve - Vagabondi ad oriente


Voglia di viaggio e di solitudini,
di fatica e di grandi spazi,
di silenzi e di nevi,
di giornate lunghe 
e colme di bianco.
Tre giorni intensi 
per una traversata inedita, 
in compagnia di un grande amico.
Vagabondando tra le pieghe 
delle Orobie Bresciane, 
cercando l'incanto ad oriente.

#letraversiadi #sisifofelice #appunti
#unimmaginevalepiudimilleparole #montetorsoleto#Orobie
 — presso Val Brandet.