venerdì 24 maggio 2019

FIRST LOVE – Raccontare il passato per trovare il futuro


First Love è un viaggio nella memoria, intimo e tormentato. Un’incursione nel passato, necessaria per ritrovare il Primo Amore e prendersene cura, per poi portarlo con sé in un “corpo felice, estasiato e stanco”.
First Love non è solo il titolo della canzone di Adele con cui Marco D'Agostin apre la sua performance. First Love è anche il titolo del suo spettacolo autobiografico e potente, in cui la componente artistica e quella agonistica si alimentano l’un l’altra, in un crescendo inarrestabile e palpitante di vita.
Primo Amore è l’oggetto delicato e fragile, attorno a cui tutto ruota e con cui lo spettatore è chiamato a confrontarsi.
“Perdonami primo amore, ma sono stanca. Ho bisogno di andarmene per provare di nuovo sentimenti. Per provare a capire il perché” questa è una delle frasi che D’Agostin canta in playback, mentre la voce di Adele satura lo spazio scenico e avvolge il pubblico in sala. Lui va oltre e prova “a capire il perché” in una sfida personale in cui la nostalgia diventa motore della sua ricerca. Da subito chiama in causa il pubblico, testimone di questo Primo Amore, consegnando, ancor prima di entrare in sala, “un risarcimento messo in busta e indirizzato al primo amore”.
Venerdì sera, nello spazio del Teatro Modernissimo di Nembro, mentre attendo l’inizio dello spettacolo apro questa busta e tra le mani mi ritrovo un collage fatto di frammenti di un diario e foto di un album di famiglia. Poi cala il silenzio, D’Agostin è già in scena, sul fondo, in un angolo. Ho il privilegio ed il piacere di essere in prima fila, a pochi metri dal palco, a pochi metri da Marco D’Agostin che, con il corpo e la parola, ci racconta il suo Primo Amore. Vicino a me c’è pure Stefania Belmondo, musa ispiratrice di ciò che sta accadendo sotto il nostro sguardo. Chissà cosa pensa e quali emozioni le crescono dentro, mi chiedo.
Non è la prima volta che vedo uno spettacolo di danza contemporanea e non è nemmeno la prima volta che dovrò salire sul palco del Modernissimo, altre volte ho calcato quello spazio per raccontare della mia passione fatta di montagne, di alpinismo e di momenti di vita verticale. Però, questa sera, anche per me è una prima volta e sono emozionato. Alessandra Pagni e Nelly Fognini, curatrici infaticabili di Festival Danza Estate, mi hanno coinvolto per condurre il dialogo finale con Marco D’Agostin, Stefania Belmondo e il pubblico. Ho accettato, senza esitazione, mi piacciono le sfide ed ora eccomi qui mentre la performance prende forma, pronto a lasciarmi stupire da questo modo di raccontarsi per me insolito.
Fatico ad incastrare nei canoni della Danza Contemporanea quanto accade sotto il mio sguardo. Sul palco vedo molto di più: linguaggi differenti, mutuati dalla danza, dal teatro, dallo sport, si fondono in un equilibrio luminoso e pulsante.

U.S.A. - Salt Lake City. Olimpiadi 2002. C’è una gara di sci da fondo, non una gara qualsiasi, ma una di quelle gare che passano alla storia. Un’impresa titanica in cui la protagonista “contro tutti e contro tutto” vince. E c’è la telecronaca che cresce e si sviluppa con il trascorrere del tempo, sui ritmi e gli accadimenti che si susseguono in quei quindici chilometri a tecnica libera. Questo è il filo conduttore della narrazione: un evento pubblico.
Italia - Valdobbiadene. C’è un ragazzino che segue in TV questa gara, Stefania Belmondo è il suo idolo e lo sci da fondo la sua passione. Il ragazzino coltiva un altro sogno: danzare, ma in quel paese di provincia resta solo un sogno. E allora il ragazzino si ritrova a mimare i gesti del passo pattinato sulle scale e nei corridoi di casa, come fossero passi di danza. Sui campi da sci continua gli allenamenti e le gare, in un ambiente che gli è sempre più estraneo. Questa è la storia sottesa, anticipata dagli indizi presenti nella busta e che ora emerge, come la punta di un iceberg, durante lo spettacolo. La si percepisce, prima confusa e poi sempre più definita, quando D’Agostin arretra e si pone sullo sfondo, non più frontale ma di lato, e le incitazioni del cronista non sono più per la Belmondo; l’inflessione diventa dialettale la voce è quella dell’allenatore e chi spinge sugli sci è il giovane D’Agostin. I ricordi riemergono dalla memoria, in quegli attimi, nella penombra, la fisicità dei gesti e il timbro della voce vibrano in modo particolare quasi con sofferenza.
Poi si torna alle fasi concitate della gara, in cui la voce a volte anticipa e altre rincorre il movimento, in un gioco di rimandi e rilanci.
Mi incanto e mi faccio trasportare dal racconto, mi pare di sentire la fatica di quella gara anche nei miei muscoli e forse anche il ritmo cardiaco un poco sale, mentre i tasselli della storia si ricompongono nella mia mente.
Davanti a me ora c’è un uomo. Il ragazzo è cresciuto, si è preso cura del suo passato e con una consapevolezza matura si è fatto carico del suo Primo Amore. Forse c’è stata una rottura e anni di lontananza ma ora ha coronato il suo sogno negato. Gli è costato tempo e fatica ma adesso è un danzatore, pronto a riconoscere quel suo Primo Amore per quello che è: pietra d’angolo del suo vivere. Pronto a raccontarsi con il suo corpo e la sua voce, con una fisicità e frontalità che non possono lasciare lo spettatore indifferente, chiamandolo a condividere ogni secondo di quei 15 chilometri a tecnica libera e ogni attimo di quei 17 anni che sono passati da quella gara e da quando a passo pattinato sognava di danzare.
Duccio Demetrio apre il suo saggio “Raccontarsi” con queste parole “C’è un momento, nel corso della vita, in cui si sente il bisogno di raccontarsi in modo diverso dal solito. … di raccontare in prima persona quanto si è vissuto e di resistere all’oblio della memoria.” Con First Love questo momento è giunto anche per D’Agostin che ci dona la sua esperienza personale attraverso questa performance, in cui frammenti autobiografici si ricompongono in un racconto inatteso. Storia intima ed epica che va oltre lo spazio ed il tempo, in cui ognuno di noi può riconoscere qualcosa di se.

Ed infine quelle mani alzate verso il cielo. “Che bello!” urla D’Agostin e lo ripete più volte modulando timbro e potenza della voce. Lo ripete più volte variandolo come varia la sua presenza nello spazio scenico, non più frontale ma sempre più arretrata nella penombra, sino a voltarsi, sempre con le mani alzate e sempre cadenzando le due parole “Che bello!”. Ed in queste due semplici parole scandite e ripetute sento la voce di Franco Bragagna cronista di quella gara epica; sento la voce di Stefania Belmondo che vince l’oro e la sua decima medaglia olimpica; sento soprattutto la voce di Marco D’Agostin prima quindicenne davanti alla TV, in quella domenica del 9 febbraio 2002, poi uomo che, nel suo viaggio tra ricordi e memorie, riconosce il suo Primo Amore, lo accetta, lo accoglie, lo racconta e ce lo dona con questo spettacolo unico.
“Che bello!”
E mentre il sole scende e l’oscurità tutto avvolge, la neve copre la scena e il corpo di Marco D’Agostin che, prosciugato da ogni energia e da ogni forza, si abbandona in un angolo, finalmente pacificato con se stesso.
E mentre osserviamo quel “corpo felice, estasiato e stanco” queste due parole riecheggiano ancora nella nostra testa.
“Che bello!”
E mi ritrovo a ripeterle a mezza voce o muovendo solo labbra, per soppesarle e, forse, per farle mie.
E mi rendo conto che lì c’è anche un pezzo del mio vivere.
Anche senza essere fondisti o danzatori, tutti abbiamo avuto un Primo Amore con cui fare i conti, a tutti si è rotto un bastoncino proprio quando avevamo bisogno di quel punto d’appoggio.
“Che bello!” potere riprendere il cammino con un paio di bastoncini nuovi e la consapevolezza che questo Primo Amore ritrovato è anche un pezzo della nostra storia e di quello che siamo oggi.

Olera, domenica 19 maggio 2019

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