Matilde mi pone questa domanda e con piacere le rispondo.
Ne nasce così un articolo che finisce dritto dritto, all'antivigilia di Natale,
nel sito "Coaching Time"
Perchè scrivo?
“Semmai ti suggerirei di sostituire la
domanda: "perchè scrivo?" con la domanda: "cosa mi spinge a
scrivere?" e: "che significato ha per me la scrittura?" mi disse
Matilde. Al momento me ne stetti zitto, nella mia testa quelle domande stona
vano, ci ho pensato ed ora so cosa rispondere “Cara. Già nella domanda,
possiamo trovare la risposta”.
Domande che hanno come incipit: “cosa mi
spinge a” o “che significato a” presuppongono un elaborazione progettuale.
Ovvero una fase propedeutica e preparativa che mi è lontana anni luce e che
nulla a che vedere con quell’attimo unico e istintuale in cui nasce l’idea, in
cui, come un animale, fiuto la traccia, sento che è mia e la seguo. Poi, dopo,
stringendo la preda tra i denti, sporco e stanco, madido di sudore e con
l’adrenalina ancora in circolo, a volte, ma solo a volte, mi chiedo il
significato di tutto questo e con raziocinio indago sul cosa mi ha spinto a
farlo. Ma all’inizio è solo istinto senza premeditazione né mediazione. Quindi
ora esiste semplicemente una domanda: “perché
scrivo?” ed è giunto il momento di dare una risposta o perlomeno di provarci.
Perché scrivo? Forse perché in certi
attimi il sentire è così potente. Forse perché certe volte mi sento come un
vaso colmo. Forse perché mi illudo di potere regalare, con i miei neri, l’eco
della bellezza che a volte mi travolge come un’onda. Allora scrivo, devo
scrivere. Tutto nasce sempre da un’azione, dal corpo che attraversa uno spazio,
dal respiro che preleva aria dall’atmosfera, dal cuore che pompa sangue in ogni
parte del mio essere, dai muscoli che compiono uno sforzo, dai sensi spalancati
sul mondo e dalla mente che libera vaga. Come un animale annuso l’aria e seguo la traccia, ma come una spigolatrice
scruto il terreno e raccolgo i semi caduti tra le stoppie e le zolle. Già
durante l’azione, le emozioni si trasformano in parole, a volte le cerco, le
parole, le soppeso e le metto in fila una dopo l’altra, nel tentativo di
descrivere a me stesso ciò che mi circonda, ciò che sento. Parole e frasi si
accumulano e rimbalzano nella testa, se mi piacciono, se hanno un bel suono, vengono
riposte in un angolo. Nel frattempo il corpo lavora e fatica. mentre il paesaggio
si sgrana attorno a me, si apre, mi avvolge e si richiude alle mie spalle,
Fisso un punto avanti ed io non sono ancora lì, guardo un punto indietro e lì
non ci sono più. Poi tutto finisce e al rientro c’è sempre, o quasi, un attimo
in cui il desiderio di scrivere mi travolge, con piacere mi abbandono alla sua
forza. Inizio a ripescare i frammenti che ho accantonato, a ricomporli, a cercare
e dare un senso. Scrivo per me stesso e non solo. Scrivo per fissare nel nero
dell’inchiostro o nella bianca luce di uno schermo ciò che sento, per mettere
ordine nella ridda di sensazioni accumulate, nel caos delle emozioni vissute.
Come se tutto questo servisse, per confermare a me stesso, d’averlo veramente vissuto.
Come se la scrittura mi servisse a trattenere e non perdere piccoli tesori che
altrimenti mi lascerei lungo il cammino, senza più alcuna possibilità di
riprenderli e portarli con me. Scrivere quindi è dare compimento a una pulsione
che potente si manifesta, un’urgenza prima fisica che mentale, più istintuale
che meditata.
Nascono così infinite Piccole Storie
da condividere.
Grazie a Matilde Cesaro e al web-site www.coachingtime.it
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