Nella calma assoluta, come vascelli, andiamo alla deriva. Lentamente.
Le vele issate pendono vuote, non un alito di vento a gonfiarle. Non una brezza
a tenderle per sospingerci nel cammino. Il cielo è plumbeo e basso, pare
immobile. In lontananza si intravedono chiazze d’azzurro e, verso nord-ovest, fasci di
luce rischiarano l’orizzonte. Siamo nell’occhio del ciclone dove tutto è
immobile e le energie si annullano. Una cappa inquietante ci sovrasta, forse
foriera di qualche tempesta. Attorno a noi, un mare immobile di bianche cime
emerge dai grigi delle vallate, coperte di scure foreste. Il polo magnetico
della cima inesorabilmente conduce la nostra deriva, non possiamo opporci e
quindi lasciamo che sia. Sul culmine dello spallone, qualcosa cambia. Si alzano
folate di vento che agitano le nostre vele. La mia compagna d’avventura si ferma
e si prepara a cogliere le energie del cielo e della terra, per scivolare in
equilibrio lungo la loro linea d’unione. Io corro sino alla vetta, mentre un
vento freddo giunge costante da nord-ovest, foriero di chissà quale prossima burrasca.
Lentamente sotto il mio scafo si è gonfiata un’onda bianca e perfetta, è giunta
l’ora di cavalcarla a bordo del mio vascello. La terra, mentre fendo l’aria, mi
lascia scivolare sulla sua candida pelle. Presto raggiungo la mia amica ed
insieme, finalmente, facciamo rotta verso il porto, tra candide onde di neve.
Domani sarà bufera.
Ancora Timogno. Dopo anni ci torno con lo snowboard e finalmente in compagnia di Giulia, sempre stilosa e grintosa anche se si applica poco.
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