Venerdì 7 dicembre, mi sono alzato alla solita ora. Il rito
del risveglio, due volte la settimana, si modifica leggermente. Uno sguardo
dalla vetrata sui tetti delle case e sulla valle, il cielo è grigio, anzi
possiede un biancore lattiginoso. Accendo il forno mentre tolgo il panno umido
dal pane che è cresciuto tutta la notte, lievitando bene anche se inizia a fare
più freddo. La pasta madre è già riposta in frigorifero, pronta per il prossimo
impasto. Ogni volta mi meraviglio di questa metamorfosi, anche se dopo anni
dovrei essermi abituato. Ricopro con il panno il pane e, mentre attendo che il
forno vada in temperatura, accendo la radio e preparo la colazione per la tribù
che pigra si risveglia. L’aroma del caffè si spande nell’aria, il forno è
pronto, e prima di metterci a tavola inforno il pane. Mentre mangiamo ed
ascoltiamo le notizie, il profumo fragrante del pane che si cuoce satura la
stanza. Non mi abituerò mai alla meraviglia di certi attimi. Regolo la temperatura
e la ventilazione del forno per completare la cottura, sparecchio e riordino.
Il meteo alla radio dice che una corrente d’aria fredda entra da ovest e
scivola contro i rilievi affacciati sulla pianura che è satura d’umidità:
nevicherà. Nessuna perturbazione sarà all’origine di questa nevicata strana,
che apparirà come un capriccio. Tolgo il pane dal forno, è gonfio e bollente,
lo annuso cercando di rubargli tutto il profumo. Quindi lo avvolgo in un panno
di cotone e poi in uno di lana, lo appoggio sul tagliere di legno. Si
raffredderà lentamente senza perdere umidità e oggi sarà pronto per la merenda.
Saluto e bacio la tribù. Esco.
Leggeri fiocchi di neve svolazzano nell’aria, uno qua, uno là, distanti nello spazio e nel tempo. Quando vedo fiocchi di neve comparire in cielo sono felice, più esattamente mi coglie un entusiasmo irrefrenabile. Osservo questa danza bianca mentre attraverso il borgo e per vicoli e scalette scendo al parcheggio. Mi fermo ad osservare i fiocchi leggerissimi che volano nell’aria fredda senza avere fretta di posarsi, piccoli cristalli bianchi che eleganti volteggiano sul sipario scuro del bosco. Al limitare del parcheggio, verso valle, un roseto rinselvatichito viene piano piano brucato da alcuni pony al pascolo. Non ho mai raccolto le sue rose, sinora mi ero limitato ad osservarle ed annusarle. Oggi mi dico che se i pony possono mangiarle io potrò bene raccoglierne alcune. Sorrido e salgo sul mio furgone e mi avvio verso l’ufficio. Nel primo pomeriggio rientro a casa.
Leggeri fiocchi di neve svolazzano nell’aria, uno qua, uno là, distanti nello spazio e nel tempo. Quando vedo fiocchi di neve comparire in cielo sono felice, più esattamente mi coglie un entusiasmo irrefrenabile. Osservo questa danza bianca mentre attraverso il borgo e per vicoli e scalette scendo al parcheggio. Mi fermo ad osservare i fiocchi leggerissimi che volano nell’aria fredda senza avere fretta di posarsi, piccoli cristalli bianchi che eleganti volteggiano sul sipario scuro del bosco. Al limitare del parcheggio, verso valle, un roseto rinselvatichito viene piano piano brucato da alcuni pony al pascolo. Non ho mai raccolto le sue rose, sinora mi ero limitato ad osservarle ed annusarle. Oggi mi dico che se i pony possono mangiarle io potrò bene raccoglierne alcune. Sorrido e salgo sul mio furgone e mi avvio verso l’ufficio. Nel primo pomeriggio rientro a casa.
Nell’aria fredda ha nevicato leggero per tutta la mattinata,
ora inizia ad essere più consistente. Parcheggio e vado verso il roseto. I
fiori sono coperte da una ragnatela impalpabile di fiocchi. Rose a dicembre in
un abbraccio di neve. Ne raccolgo alcune e mi avvio verso casa, nevica più
intensamente. Nel mentre arriva Leo da scuola, entriamo, poso le rose sul
tavolo e ci prepariamo una merenda. Lui prende i cachi ed io affetto il pane
sfornato in mattinata. Merenda. Mentre mangio e guardo il tavolo imbandito di
cachi, rose e pane mi torna alla mente il film di Alina Marazzi “Vogliamo anche
le rose” che racconta, attraverso i diari di tre donne : Anita, Teresa e
Valentina, la situazione femminile nell’Italia degli anni ’60 e ’70. Un film intenso, il cui titolo si
ispira allo slogan “Vogliamo il pane, ma anche le rose” coniato nel 1912 dalle operaie di una fabbrica tessile
del Massachussets, durante uno sciopero che durò settimane. Queste donne,
queste operaie, cento anni fa rivendicavano due diritti fondamentali, ancora oggi per niente scontati: il lavoro, ovvero il pane, e il rispetto,
ossia le rose. Quindi, pur non sapendo come piazzare i cachi, l’immagine di
queste rose e questo pane è per tutte le donne che ho conosciuto nella mia
vita.
Lo sapevo che sarebbe finita così, con una frase fottutamente sentimentale. Ora fuori, nel nero della notte, è tutto bianco ed io sorrido, mentre guardo le rose che resistono nel vaso sul tavolo e perché no, mentre mi mangio un caco.
Lo sapevo che sarebbe finita così, con una frase fottutamente sentimentale. Ora fuori, nel nero della notte, è tutto bianco ed io sorrido, mentre guardo le rose che resistono nel vaso sul tavolo e perché no, mentre mi mangio un caco.
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