Qui ed ora corro sulla linea bianca, sono chiuso in un
guscio di pelle, muscoli ed ossa. Fuori piove. Qui dentro sto bene, sono
felice. Guardo fuori e vedo i miei piedi, avanzano imperterriti, accarezzando
l’asfalto bagnato, lungo la line bianca. Dentro sento l’acido che sale e morde
i muscoli delle gambe, non me ne preoccupo e respiro. Sono felice. Fuori piove,
il lago si increspa al vento ed il brusio dell’impatto di milioni di piccole
gocce, che spariscono nella superficie d’acqua, riempie l’aria. Un’altra
galleria mi inghiotte, nero e tepore mi avvolgono. Guardo fuori, la linea
bianca compare dal buio, mi viene incontro e sparisce sotto il mio corpo. Fuori
il battere regolare dei piedi, amplificato dal tunnel, mi tiene compagnia.
Dentro il soffio regolare del respiro e le pulsazioni del cuore come un mantra
si ripetono. Io me ne resto nel guscio non c’è fuori, non c’è dentro, c’è solo
un nucleo caldo dove non voglio che entri la fatica, dove non voglio che entri
il freddo. Dove voglio godere istante per istante di questa felicità. Fuori è
ancora luce e pioggia, prima che la prossima galleria mi riprenda. Ma lei è
ancora lì, la linea bianca, che mi ipnotizza e mi trascina avanti come un muto
canto di sirena. I riferimenti chilometrici inesorabili si avvicinano, mi
affiancano e restano indietro. Presto sarà tutto finito e non li guardo più.
Ora voglio solo godermi questi attimi intensi e felici, metro dopo metro, passo
dopo passo, secondo dopo secondo.
Ripenso alla partenza, al momento speciale in cui migliaia di piedi
iniziano tutti insieme a muoversi, mi piace sentire il rumore che si sprigiona
da questa percussione collettiva, come in un rito tribale. Rivedo il serpentone
multicolore che si snoda abbracciato da tanta bellezza. Centinaia di persone
che si sono date appuntamento per condividere fatica e piacere, godendosi quel nastro d’asfalto sospeso sopra
le acque e tagliato nella pietra, dove la montagna scoscesa emerge dal lago e
sale verso il cielo. Il nastro d’asfalto, finalmente libero dalle auto e dai
loro gas, per una manciata di ore è nostro, per poche ore è anche mio.
All’inizio si respira un’aria di festa, che pare esplodere nelle gallerie, dove
un chiacchiericcio salottiero rimbalza sotto le volte di pietra e cemento,
gente che chiacchiera, che si rincontra, che si saluta, sguardi che si
incrociano e tutto questo mentre si corre. Cerco la linea bianca e i piedi
quasi la aggrediscono, se la mangiano a grossi morsi come per dire: oggi sei
mia. Le gallerie si alternano agli spazi aperti e, concentrato nel godere tanta
meraviglia, non mi accorgo del tempo che passa, avanzo. L’atmosfera è di festa,
c’è pure il sole. Sul lastricato di Riva, tra il castello ed il lago, sfioro i
tavolini all’aperto dove i turisti, illuminati dal tiepido sole, si gustano la
colazione. Poi la Valle del Sarca si apre, pare immensa, sopra i vigneti ed i
frutteti, si alzano sipari di pietra. In fondo emergono il Colodri e la Rupe di
Arco. Là c’è il giro di boa. I vicoli di Arco ci accolgono, ci abbracciano e ci
risputano lungo il Sarca. La sua corrente ci riporta verso il lago. La linea
bianca è sempre lì, fedele compagna, ora ho fatto pace e la sfioro con
delicatezza passo dopo passo. Oggi è lì per me o forse io sono qui per lei. Sul
lungolago di Torbole vedo un muro d’acqua che avanza da sud. Arriva, è in
anticipo. E penso, mi piace correre con la pioggia. Vedere l’acqua che
sgocciola dalla visiera del cappellino. Sentire la canottiera ed i pantaloncini
che aderiscono al corpo come una seconda pelle e guardare la lama d’acqua
sull’asfalto che schizza in ogni direzione e lentamente entra nelle scarpe. La
fatica inizia a farsi sentire, cerco la linea bianca e l’aggancio. Ascolto i
muscoli che si gonfiano e sgonfiano, ascolto le articolazioni che gemono, ascolto
il respiro regolare, il sangue che si ossigena ed il suo pulsare nelle vene,
mentre corre con efficacia a portare nuova energia e rimuovere gli scarti.
Tutto questo avviene in automatico, non me ne devo preoccupare, devo solo godere
della gioia che mi invade per esser lì, ancora una volta a correre in questi
luoghi a me cari e di una bellezza particolare. Luoghi in grado di donarmi una
carica d’energia che nemmeno il migliore allenamento potrebbe darmi. Sono in
galleria, sono solo, guardo ancora una volta il crono e mi stupisco di come e
dove le mie gambe mi abbiano portato.
Decido che d’ora in poi non lo guarderò più, lascerò alle mie gambe e ai miei
piedi il compito di portami al traguardo. La galleria finisce ed un muro d’acqua
mi avvolge, mi rinchiudo nel guscio e sono felice. La linea bianca scorre sotto
i miei piedi. D’improvviso termina, l’asfalto lascia posto al selciato e la in
fondo il traguardo mi attende. Sono felice, intimamente felice. Esco dal
guscio, ha smesso di piovere.
Quarataduemilacentonovantacinque
metri di passi sono dietro di me.
Quarataduemilacentonovantacinque
metri di pensieri sono dentro di me.
Lake Garda Marathon - 14 ottobre 2012
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