LE VIE DI GIANGI
Vista la sua ultima realizzazione “A piede libero”
è doveroso fare il punto su chi è Giangi Angeloni. Premetto che Giangi inizierebbe a dirmi che le vie non sono sue e che da solo non sarebbe andato da nessuna parte e che gli amici sono stati fondamentali nella realizzazione di queste linee. Come sempre lui è modesto così come i suoi compagni di cordata, che sono al suo pari, e con cui si è sempre alternato in apertura. Oltre a Yuri Parimbelli, che su "Il senso della misura" si è sparato in apertura il tiro di 7b obligato ed expo, il suo compagno abituale d'avventura: Daniele Calegari, viaggia come un treno tanto quanto lui. Insomma Giangi e Calega sono una GRANDE CORDATA.
Come già detto Giangi non è nuovo a questo tipo di salite e sulle pareti della Presolana numerosi sono i segni del suo passaggio. Con Ennio "guru" Spranelli nel 2000 sigla la prima invernale della "Grande Grimpe" sulla nord. Mentre come chiodatore inizia nel 2006 quando, in compagnia sempre di Ennio Spiranelli, è sulla cosiddetta Ovest, ovvero la parete Nord della Presolana di Castione. Quì inizia la sua attività d’apertura con la nascita di “In cammino con Marco e Cornelio”. Una via a chiodi (pochi) decisamente alpinistica, bella ed impegnativa, Ivo Ferrari ne fa la prima ripetizione e la prima solitaria. In sei anni sono sei le cordate che la ripetono, confermandone la bellezza e l’impegno.
Poi Giangi sviluppa una sua idea in merito all’etica e allo stile di apertura di nuove linee. In questi sei anni confeziona altre 6 linee, di cui 5 con Daniele Calegari, dove impegno, padronanza del grado e capacità di sapere leggere la roccia si fondono. Le ripetizioni delle sue vie non sono numerose ed alcune attendono ancora la prima ripetizione, chi si è avventurato in questi viaggi verticali ne ha apprezzato la bellezza e lo stile rigoroso.
Come già detto Giangi non è nuovo a questo tipo di salite e sulle pareti della Presolana numerosi sono i segni del suo passaggio. Con Ennio "guru" Spranelli nel 2000 sigla la prima invernale della "Grande Grimpe" sulla nord. Mentre come chiodatore inizia nel 2006 quando, in compagnia sempre di Ennio Spiranelli, è sulla cosiddetta Ovest, ovvero la parete Nord della Presolana di Castione. Quì inizia la sua attività d’apertura con la nascita di “In cammino con Marco e Cornelio”. Una via a chiodi (pochi) decisamente alpinistica, bella ed impegnativa, Ivo Ferrari ne fa la prima ripetizione e la prima solitaria. In sei anni sono sei le cordate che la ripetono, confermandone la bellezza e l’impegno.
Poi Giangi sviluppa una sua idea in merito all’etica e allo stile di apertura di nuove linee. In questi sei anni confeziona altre 6 linee, di cui 5 con Daniele Calegari, dove impegno, padronanza del grado e capacità di sapere leggere la roccia si fondono. Le ripetizioni delle sue vie non sono numerose ed alcune attendono ancora la prima ripetizione, chi si è avventurato in questi viaggi verticali ne ha apprezzato la bellezza e lo stile rigoroso.
Lasciamo ora la parola a Giangi e ringraziamo la
redazione dell’ANNUARIO del CAI di Bergamo, per avere concesso la divulgazione
di questo articolo pubblicato nella recente edizione 2011.
In chiusura troverete tutti i link per scaricare le
relazioni delle vie.
Buona lettura e buone scalate.
(Per)Seguire un’idea
Etica e stile nelle nuove aperture
di Giangi Angeloni
(pubblicato su: ANNUARIO 2011 – CAI Bergamo)
Scegliere dove salire. Nell’alpinismo primordiale
era piuttosto scontato. Il massimo risultato - la cima - con il minimo sforzo -
la linea meno ripida e più sicura - Questo era il ragionamento con cui coerentemente
si facevano le scelte, questa era la logica
di una via.
“Conquistata” la vetta l’attenzione venne rivolta ai
diversi versanti, alle pareti più ardue. Era semplicemente la “ricerca del
facile nel difficile” e le modalità di utilizzo degli strumenti stavano in
secondo piano.
Inevitabilmente poi sulle nostre Alpi gli spazi si
sono ristretti, “l’ultimo problema” è stato risolto, ma l’alpinismo non è
finito. O perlomeno gli uomini continuano ad aprire vie di arrampicata sulle
montagne, forse troppe. La tecnologia ha messo a disposizione mezzi migliori e
sempre più diversificati moltiplicando le visioni e i sistemi di scalata al
punto che anche per gli “addetti ai lavori” risulta a volte complicato capirne
l’evoluzione o l’involuzione.
Racconto la mia esperienza. Sono appassionato di
arrampicata su roccia cercando di farla in
libera. Dopo dodici anni passati a ripetere vie mi capita di iniziare ad
aprirne. La cosa strana è che l’esordio avviene in una sperduta valle
pakistana. Sembrerà paradossale ma ritengo sia stato più semplice: tanto spazio
vergine a disposizione su roccia granitica. Cerchiamo perciò il facile per
arrivare in cima a un grande pilastro. Sono molte le evidenti linee di fessure
che possiamo scalare spesso in libera e a volte in artificiale, è relativamente
agevole proteggerci con metodi diciamo tradizionali.
Più difficile, per noi, è valutare la grandezza di quelle enormi montagne. Non siamo
abituati, ci sembra tutto grande la metà. Dopo 600 metri dobbiamo interrompere il
nostro tentativo.
In seguito poche altre simili esperienze
extraeuropee.
Finalmente ho l’occasione di aprire la prima via
nuova vicino a casa. Trovare un’opportunità richiede uno sforzo di ricerca che
Ennio fa da sempre: mi propone un problema di stampo ”classico”, un lusso sulla
Presolana del 2006. Mi appare chiaro che capire quanto e come riuscirò a
proteggermi su questo calcare è una faccenda a volte rognosa. Apriamo una bella
via logica e alpinistica (a detta anche dei ripetitori).
La curiosità, la ricerca di nuovi stimoli e, non
ultimo, la sintonia con Daniele sono le molle per provare ad aprire nuove linee
su pareti più ripide. La compattezza dei muri, a volte strapiombanti, che
svelano la possibilità di linee nuove, ci spinge ad usare trapano e spit. Dobbiamo
però imparare, iniziare un nuovo percorso. Abbiamo in mano, nel bene e nel
male, strumenti molto potenti. Vogliamo perciò usarli non per salire ad ogni
costo ma per renderli funzionali alla realizzazione
di un’idea: aprire su roccia solida una via di arrampicata libera cercando di lasciare il più possibile
“puliti” i passaggi significativi, che si lasci scalare da chi si muove su
quelle difficoltà e che disegni sulla parete una linea che ci piaccia. Cerchiamo
di non interferire con eventuali vie presenti nei dintorni per non modificarne
la natura. Decidiamo di non portarci i chiodi da fessura e di arrampicare in
libera fra uno spit e il successivo: piazzando, quando riusciamo, protezioni
veloci, appendendoci ai ganci per forare quando non ce la sentiamo di
proseguire.
Niente di nuovo, questo “moderno” stile di apertura
viene adottato in ambito europeo almeno da vent’anni, con diverse varianti
interpretative.
Molti sostengono non sia più alpinismo. Ecco, sono
entrato nel ginepraio.
Ne esco subito dicendo che non è mio obiettivo dirimere
la questione inerente il come debba essere fatta una via alpinistica. Credo sia importante descrivere lealmente ciò che si
fa.
Mi sembra di poter dire che anche queste vie
moderne sono logiche perché seguono un tracciato funzionale all’idea che intendiamo
realizzare. Il rigore nel rispetto delle regole e l’incertezza (ovviamente la
parete non viene preventivamente ispezionata calandosi), assieme all’impegno
psico-fisico dato dalle protezioni rarefatte, rendono interessante il “gioco” e
implicano la rinuncia se non abbiamo le capacità per passare. I pericoli
purtroppo esistono. La tenacia a volte è necessaria per insistere fino ad avere
capito la giusta soluzione di qualche ostico passaggio. La lettura delle difficoltà
della parete richiede capacità di autovalutazione ed esperienza.
La misura
che separa l’indelebile “punteggiatura” di spit su muri forse altrimenti
improteggibili dà il senso delle capacità ma anche delle nostre debolezze ed
errori ed esprime un po’ della nostra personalità. A volte essa rappresenta un
atto di responsabilità, non dobbiamo dimostrare nulla a nessuno, perciò teniamo
saldamente i “piedi per terra”.
Alcune considerazioni: il completamento
dell’apertura in stile classico esaurisce l’impegno degli apritori, mentre una
via “moderna” prevede una seconda fase che è la ripetizione in arrampicata libera. Non riuscirci significherebbe il fallimento
sportivo della creazione, ma aprire in questo stile è garanzia che ciò sarà possibile. Finora ce l’abbiamo
sempre fatta, ma se così non fosse successo saremmo stati felici che un
arrampicatore più bravo avesse completato l’opera.
Le ripetizioni sulle vie tradizionali di solito fanno lievitare il numero di chiodi che
rimangono in parete, snaturando purtroppo col tempo il carattere della via
originaria. È insensato invece che si vada a ripetere queste altre vie portandosi
il trapano o i chiodi, perciò la probabilità che conservino le loro
caratteristiche è più alta.
L’unità d’azione
di una nuova scalata viene spezzata provocando
polemiche già più di mezzo secolo fa (se non sbaglio Magnone sulla Ovest del
Petit Dru). Sicuramente invece lo stile
alpino - inizio la via e scendo quando è terminata - si trova in cima alla
scala di impegno e di valore, ma ora è il meno utilizzato, mentre pare sia
pratica comune aiutarsi in fase di apertura con le corde fisse che permettono
di risalire successivamente con facilità, ripartendo rapidamente dal punto più
alto. Oppure giungervi la volta successiva percorrendo la prima parte di
un’altra via più facile o magari attraverso una cengia. Mi pare indiscutibile
come queste facilitazioni riducano l’altezza e le difficoltà effettive
dell’intera parete, tanto che in alcune circostanze capita addirittura che
siano i ripetitori i primi a scalare la via in un’unica soluzione. Anche noi
siamo risaliti sulle fisse in un’occasione che ci ha lasciato però in seguito
un po’ di amaro in bocca. Poi abbiamo adottato la via di mezzo: tornare
successivamente scalando però ogni volta i tiri già aperti. Viste la nostra
disponibilità di tempo e capacità, ciò ha spesso dilatato la durata delle
aperture a tempi quasi “geologici”. Non ha importanza. E’ un bene che non si
“consumino” eccessivamente le aree di arrampicata. È giusto che le nuove generazioni
possano avere spazio sulle montagne di casa per esprimersi e mostrarci magari
una nuova visione.
Noi comunque ci divertiamo a stare in parete, discutendo a lungo sul da farsi, vivendo le nostre
piccole avventure senza fretta, impiegando a volte giornate intere per
progredire di pochi metri… o nemmeno quelli. Inseguendo la nostra idea.
PRESOLANA DI
CASTIONE 2474 m – Parete S
Via "EN.YU.DAN.CE. WITH FRIENDS" 150mt 7a (6c obbl.) R3 II;
Via "BARBISOTTI-PASINI-ZANGA"
(1977); 200mt. 7b e 3p.A0 (6a/A0) SR1 II;
PRESOLANA
ORIENTALE 2490 m– ANTIFUPU’– Parete NE
Via: DILETTANTI
ALLO SBARAGLIO
Primi salitori: Giangi
Angeloni, Daniele Calegari – aperta in più riprese tra il 2008 – I libera 10
agosto 2008
Difficoltà: 7a+ (6c+ obb.)
SR3-III
Dislivello: 450 m
PRESOLANA
ORIENTALE 2490 m– ANTIFUPU’– Parete NE
Via: NEL DUBBIO
ALLENARSI
Primi salitori: Giangi
Angeloni, Daniele Calegari – aperta in più riprese tra il 2009/2010 – I libera
22 luglio 2010
Difficoltà: 7c+ (7a obb.)
SR3-III
Dislivello: 220 m
PRESOLANA DI
CASTIONE 2474 m – Parete S
Via: COL SENNO
DI POI
Primi salitori: Giangi
Angeloni, Daniele Calegari – aperta in più riprese tra il 2008 e il 2009– I
libera 19/07/2009
Difficoltà: 7b (6c+ obb.)
S3-II
Dislivello: 200 m
PRESOLANA
OCCIDENTALE 2521 m – Parete N
Via: IL SENSO
DELLA MISURA
Primi salitori: Giangi
Angeloni, Daniele Calegari e Yuri Parimbelli – aperta in più riprese tra il
2008/2009 – I libera 04 luglio 2010
Difficoltà: 7b (7b obb.
expo) SR4-III
Dislivello: 330 m
PRESOLANA –Corna
delle Quattro Matte 2240 m – Parete S
Via: A PIEDE
LIBERO
Primi salitori: Giangi
Angeloni, Daniele Calegari– aperta in più riprese tra il 2009/2012 – I libera 16
settembre 2012
Difficoltà: 7c+ (7a obb.)
Dislivello: 280 m + 50 m di
ripido prato
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