- Sabato 15 marzo 2014 - ore 12:12:52 – Parete Nord -
Dovevamo provarci. L’inverno è stato capriccioso più del
solito, mai freddo, quasi mite. Cio non ha fermato eserciti di nubi che, a
ondate, ora da sud ora da ovest, si sono infranti contro i monti affacciati alla
pianura, scaricando continue bordate di fiocchi luminosi.
Dovevamo provarci. Cornici gigantesche glassano le creste
terminali. Ripidi pendii di neve, scolpiti da rigole profonde, raccordano i
bastioni rocciosi alla grande cengia. Dove la roccia non strapiomba e dove
fessure, diedri e piccole terrazze offrono un appiglio, candide meringhe ornano
con fantasia la muraglia.
Dovevamo provarci. Un inaspettato periodo di alta pressione
ha fatto tornare a galla desideri sopiti, la voglia di andare a vedere, di
farsi abbracciare ancora una volta dall’ombra della Nord. L’abbiamo osservata
a lungo, percorrendo con lo sguardo la lunga linea da salire, sapendo che sarebbe stata impegnativa, perchè troppi sono i punti di domanda a cui non
riusciamo a dare una risposta. Ma dal basso non possiamo sciogliere i dubbi e le incertezze, dobbiamo
salire per avere le risposte.
Dovevamo provarci. Con attenzione abbiamo preparato il
materiale, spuntato le nostre liste, misurato e centellinato il peso dei
sacconi. Ad ogni cosa riposta nello zaino aumenta la nostra consapevolezza: in
qualsiasi momento, in qualsiasi istante, durante il viaggio che ci apprestiamo a fare,
non esiteremo a rinunciare. Questo ci è chiaro, come sempre, come le altre volte, come negli scorsi inverni. Alla minima titubanza, al più trascurabile
contrattempo, al più piccolo segnale presteremo attenzione, per non prenderci più
rischi di quanti questa passione già comporta, per non precluderci la
possibilità di tornare a terra. Pur consapevoli di questo la nostra
determinazione è alta e partiamo.
Il cielo è velato, abbiamo tre giorni a nostra disposizione,
per cercare di salire la montagna. Non appena entriamo nel suo cono d’ombra, il
suo silenzioso abbraccio ci avvolge, la parete incombe. La parte basale, come i
torrioni d’uscita, sono veramente sporchi di neve. Proprio così dico: “La parete
è sporca di neve.”
Sorrido e continuo a guardare affascinato tanta meraviglia. Concordiamo che anche solo per alzarsi da terra sarà decisamente dura. Però una cosa è certa, questo termine: “sporca”
non va affatto bene, la neve non può essere sporca e non può sporcare, anche se
qui, ora, rende il nostro cammino difficile, e forse impossibile. Quindi
sarebbe meglio dire che la parete è impreziosita dai bianchi arabeschi della
neve. Mentre penso a questo, saliamo ai piedi delle rocce e ci prepariamo
meticolosamente, con cura ordiniamo il materiale sugli imbraghi e nei sacconi, che recupereremo
al nostro seguito. Merletti e meringhe, soffiate e inconsistenti, fanno bella
mostra dove la roccia non va oltre la verticale, a volte qualcuna crolla e si
polverizza nell’aria, infilandosi nel collo delle nostre giacche. Daniele procede con lentezza e decisione, pulisce la roccia, libera le fessure, si protegge, sale. I
ramponi e le piccozze grattano la roccia sino a trovare un’asperità su cui fare
presa, è tutto molto precario, ci vuole pazienza, una pazienza infinita, ma il nostro
tempo purtroppo non lo è. Lo seguo alla prima sosta e recuperiamo i sacconi. Riparte,
colate di neve ci investono, nulla di pericoloso, ma decisamente fastidioso,
però quella è casa loro e non la nostra. Lei, la montagna, quest’inverno
preferisce il frusciare della neve al grattare dei nostri attrezzi. Poche
parole, qualche comando di corda, il tempo scorre e scorre. Se arriviamo agli
strapiombi, lì potremmo usare le scarpette e muoverci veloci. Vedo Dan sbucare
oltre una costola di pietra, si protegge e poi fa crollare una meringa di neve,
poi ne rimonta un’altra, sembra sostenere il suo peso.
Ripulisce una fessura per posizionare una protezione. Succede tutto
rapidamente, il terrazzino di neve crolla e Dan resta appeso all’ultima
protezione. Nulla di grave, ma quello è un segnale. Non ci pensiamo due volte,
lo calo in sosta e ci prepariamo alla discesa. Sono quasi sollevato e solo ora
percepisco con chiarezza tutta la tensione che ti avvolge in certi momenti,
quando scali completamente assorbito dal tuo gesto, dal tuo salire e niente d’altro
esiste attorno.
A terra, riponiamo il materiale e prepariamo i sacconi, ce
li buttiamo a spalla e allegramente ciaspoliamo verso il sole e verso valle.
Con “le pive nel saccone” sorridiamo e ci voltiamo ancora per una volta verso
la parete, prima di scapicollarci giù per il bosco.
Dovevamo provarci. Lo abbiamo fatto e ne siamo soddisfatti,
anche se abbiamo dovuto desistere. Lei,
la “nostra” montagna, nemmeno si è accorta di noi, però sappiamo che anche il
prossimo inverno sarà ancora lì ad attenderci e noi speriamo che ci apra le porte per accedere ala suo reame.
1 commento:
Stupendo racconto, rimane il rammarico ma scelta
felice da veri uomini.
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