Oggi, tra le mura di casa, ho scritto e lavorato tutto il
giorno mentre fuori la pioggia incessante non ha lasciato tregua. Di tanto in tanto
volgo lo sguardo alla finestra e scruto le traiettorie delle gocce e la loro
intensità che mutano con il vento. Il fuoco arde nel camino alle mie spalle. La
bolla di luce blu, sospesa al soffitto, proietta un cerchio chiaro sul piano
del tavolo dove lavoro. La vita scorre pacata attorno a me, ma è tumultuosa
dentro. Vorrei correre, mi dico, poi guardo fuori ed il muro di grosse gocce
strapazzate dalle raffiche mi fanno desistere. Così passa il tempo, rotolano le
ore l’una sull’altra, mentre le nubi salgono e scendendo, fagocitando e
restituendo paesaggi di tetti, boschi e cieli dai grigi infiniti. Lentamente
giunge il tardo pomeriggio, tra meno d’un ora sarà buio. Vorrei correre, mi
ripeto una volta ancora. Oltre i vetri striati dall’acqua qualcosa è cambiato,
mi alzo, apro la porta-finestra e esco sul terrazzo. Non piove e il
rumoreggiare del torrente sale dalla valle a saturare l’aria. Pochi minuti dop,
mi chiudo il portone di casa alle spalle e faccio partire il crono. A cosa mi
serve farlo partire non so, non ho tempi da misurare e tabelle da rispettare,
ma è ormai un’abitudine. Mi piace premere con l’indice il tasto in alto a
destra dell’orologio e sentire quel bip mentre allungo i primi passi, per poi
risentirlo alla fine quando al rientro mi fermo sul viottolo davanti a casa.
Fango e pietre viscide accolgono il mio correre, una continua attenzione, un
continuo affinare il sentire dei miei piedi. Appoggio e spingo alla ricerca di
un equilibrio dinamico e costante. Umidità e nebbie avvolgono i monti mentre
scende la sera. Rientro che ormai è quasi buio. Mi siedo sui due gradini fuori
dall’uscio, affacciati sulla viuzza. Le luci delle finestre ammiccano dai muri
di pietra, come pozzanghere di calda luce. Ma qui è freddo e una nuvola di vapore si leva dal mio corpo, che si
perde nel cono di luce del lampione. Il canto degli uccelli arriva dalla vigna
appena discosta e dalla casa di fronte pulsa l’incedere ritmico e potente della batteria di
John Bonham. Una fusione di suoni, una sinfonia speciale e irripetibile
accompagna il quietarsi del respiro e il rallentare del battito. Godo di questi
istanti. Mi sfilo le scarpe fradice e sporche. Resto immobile e ascolto.
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