Marco ci ha lasciati.
Venerdì 14 marzo, nel rincorrere un sogno, sul granito perfetto della Jori Bardill al Pilone Centrale del Freney, ha varcato il limite della realtà, lasciandoci una montagna di emozioni, di tristezze e di lacrime. Ma anche il ricordo indelebile del suo sorriso, del suo entusiasmo che contagiosi si diffondevano attorno a lui. Questo voglio ricordare di Marco e lasciare il magone in sottofondo, voglio colmare il vuoto che ha lasciato inseguendo i sogni con passione e tenacia, essendo sempre pronti a meravigliarsi ogni volta come se fosse la prima volta.
"Ma sai che bello?" Mi ripeteva ad ogni pausa mentre camminavamo e scalavamo in Grignetta. Eppure quei luoghi li vedeva tutti i giorni e su quelle rocce aveva scalato infinite volte, nonostante questo lo stupore continuava a fargli luccicare gli occhi. "Ma sai che bello!"
Lo scorso autunno per OROBIE ho scritto un racconto che narrava di una giornata passata tra le Grigne con lui ... indimenticabile!
Proprio così voglio ricordare il Marco.
Proprio così voglio ricordare il Marco.
Il vento soffia tra le guglie della Grignetta. Le nebbie
salgono dalla Valsassina a sfilacciarsi lungo la cresta Senigalia, sino ad
avvolgere i Torrioni Magnaghi. Saliamo veloci e ci concediamo brevi soste per
due chiacchiere, una battuta. Marco mi guarda, i suoi occhi sembrano ridere, e
dice: “Ascolto le sensazioni e poi vado”. Mi parla del suo andare in montagna,
del suo alpinismo: “Parto, senza un’idea chiara, comincio a girare mi lascio
andare alla libertà di …” s’interrompe, corruga la fronte, cerca le parole,
quelle giuste. Si guarda attorno e sorride, riaggancia il mio sguardo, ha
trovato le parole giuste: “Sento che ho il bisogno di respirare.” Si volta
lentamente e ammira le pareti delle sue Grigne, le scruta come fosse la prima
volta, come fossero terre incognite, terre ricche di promesse e d’avventura.
Poco dopo mi dirà: “Ancora adesso, a quarant’anni, riesco ancora a trovare dei
nuovi angoli, dei nuovi scorci, dei nuovi posticini …”
Marco, nato a Lecco nel 1972, è figlio d’arte. Il padre,
Aldo Anghileri, forte alpinista lecchese, non lo ha mai forzato. Anche se in
casa si respirava “aria di montagna” lui un poco, la montagna, la temeva e si è
dedicato al calcio sino all’adolescenza. Mentre si racconta continuiamo il
nostro cammino tra le guglie della montagna di casa, un microcosmo a cui è
intimamente legato. Nella voce e nello sguardo si coglie ancora l’entusiasmo, il
medesimo di quando era un ragazzino alla scoperta del mondo verticale,
quell’entusiasmo trasmessogli dal fratello Giorgio, che ricorda con orgoglio:
“Lui era innamorato della montagna sin da bambino, lo vedevo rientrare, dalle
giornate d’avventura, felice, contento. – e continua – Quindi mi dicevo: Se la
montagna da questa felicità, fammi provare. Ho provato una volta e da lì non ho
più smesso.”
Marco brucia le tappe e in pochissimi anni sale vie
prestigiose e difficili su tutto l’arco alpino. Tra il 1992 ed il 2000 inanella
una serie di prime salite in solitaria sia d’estate che d’inverno, di assoluto
rilievo. D’inverno mette in gioco tutta la sua tenacia, la sua capacità di
restare tranquillo, di sapere resistere e procedere anche quanto appare
impossibile. D’estate polverizza i tempi delle ripetizioni, in questa stagione velocità
è la sua parola d’ordine.
Il capolavoro di quegli anni, la salita che lo ha portato
definitivamente sulla ribalta alpinistica internazionale è la prima ripetizione
solitaria invernale della Via “Solleder-Lattembauer” sulla parete nord-ovest
della Civetta (3.218 m). Qualcuno, a ragione, affermò “Una delle più grandi
imprese mai realizzate sulle Dolomiti”. Negli inverni precedenti ci aveva già
provato una volta, finalmente, dal 14 al 18 gennaio 2000, in totale solitudine,
scala gli oltre 1000 metri di questa via storica, dove per la prima volta si
parlò di VI° superiore. Ma quando parla delle sue invernali torna sempre sui
monti di casa: “Le invernali sono nate in Grigna, dove ho iniziato a sentire il
piacere di andare a ravanare”. Marco
non scomoda teorie filosofiche, non fa tanti giri di parole, quando parla delle
sue salite è semplice e diretto, essenziale: “Le solitarie ormai fanno parte di
me. Non le cerco, non mi spingo per andarle a fare. Ci sono dei momenti che
arrivano da sole. Sento il bisogno, la voglia di andare e di stare un po’ solo,
che siano poche ore o qualche giorno, a casa o in Dolomiti. Un richiamo della
foresta. Ed è un piacere stare in giro da solo, mi piace”. Durante l’estate del
2000 compie un’altra impresa di indiscusso rilievo. In contrasto con la
lentezza che caratterizza le salite invernali, ora corre velocissimo e in 14
ore e 10 minuti, spostandosi in moto e in bicicletta, tra una parete e l’altra,
concatena le vie: Vinatzer con variante Messner sulla parete Sud
della Marmolada, Solleder sulla Nord Ovest della Civetta e lo spigolo
Nord dell’Agner per la via Gilberti-Soravito.
Questo però è “solo alpinismo”, lo spessore di un
personaggio come Marco Anghileri, il polso della sua determinazione e della sua
forza di volontà non lo si misurano solamente con le sue grandi avventure
alpinistiche, ma soprattutto prendendo atto della tenacia con cui affronta le
sue disavventure umane. Il 18 agosto 2001 mentre percorre con la sua moto la
strada della Valsassina, viene coinvolto in un incidente Si risveglia in
ospedale qualche giorno dopo con fratture multiple agli arti superiori e
inferiori, e contusioni su tutto il corpo. È l’inizio di un calvario tra
interventi e terapie, visite mediche specialistiche e tanta voglia di
ricominciare. Due anni dopo la situazione è ancora grave e i medici che seguono
la riabilitazione di Marco dicono che difficilmente potrà tornare a scalare. Ma
lui non molla, lui vuole tornare a scalare. Con grande energia e determinazione,
mese dopo mese, anno dopo anno migliora. Finalmente torna a scalare sulle sue
amate montagne, sembra impossibile ma è accaduto davvero forse perché non ha
mai smesso di sognare e desiderare intensamente che il sogno si realizzasse. Mi
parla di quel periodo come di un epoca lontana, serenamente senza rimpianti e
piagnistei, sento nella sua voce una punta d’orgoglio. Passo dopo passo,
montagna dopo, montagna, lunghezza di corda dopo lunghezza di corda, torna ad
essere ancora più determinato di prima. Realizza salite di alto livello e
concatenamenti da togliere il fiato. Torna la voglia delle solitarie, torna la
voglia delle invernali. Quindi torna alla ribalta delle cronache alpinistiche con
la prima solitaria invernale della Via
dei Bellunesi, 1350 m verticali sino al VI° e A2 sullo Spitz di Lagunaz.
Dal 12 e il 17 marzo 2012, completamente
isolato in questa terra selvaggia che è la Val San Lucano, compie una salita
grandiosa, più volte tentata e sino ad allora ripetuta in estate solamente dalla forte cordata bergamasca
composta da Ivo Ferrari e Silvestro Stucchi.
Penso a queste sue grandi salite mentre lo guardo scalare
davanti a me e mi chiedo cosa ci faccio legato alla sua corda, io alpinista
della domenica in cordata con un alpinista del suo calibro. Forse proprio in
questa sua semplicità e capacità di sapere godere di ogni azione che decide di
compiere, anche della più semplice, possiamo trovare il segreto che lo rende
unico. Marco prima di essere alpinista è uomo, un uomo che come tutti lavora e
vive la sua quotidianità: portare i bimbi a scuola, fare le spese, dare una
mano nell’azienda di famiglia, gestire il ristorante ai Piani dei Resinelli,
organizzarsi con la moglie per uscire una sera da soli. Insomma Marco è un uomo
come tutti noi è questo che ce lo fa sentire vicino, avvicinabile,
semplicemente “normale”.
Lo raggiungo al colle e mentre sfiliamo la doppia e
prepariamo gli zaini, con gioia mi racconta di quanto si è divertito la scorsa
settimana che ha trascorso al mare con i due figli, senza mamma. Nel tempo in
cui rientriamo si chiacchiera di come sia difficile incastrare montagna,
passioni e famiglia: “Questo è più duro di un passaggio di X°. - afferma
ridendo – Cerco a volte di moltiplicarmi oppure di allungare le giornate. Certo
che è una gran fatica, però è da stimolo per rinnovare e cercare nuove energie,
nuovi equilibri che ti aiutano sia nella vita familiare che in montagna. Cerco
di fare come il giocoliere, con le tre palle.” Osservo Marco mentre parla e
muove le braccia nell’aria, e penso che in ogni caso, giocoliere o
prestigiatore che sia, lui ha il gran dono di essere sempre di buonumore,
sempre pronto a stupirsi e a stupire.
Ciao Marco.
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