venerdì 9 dicembre 2016

19 #PICCOLESTORIE

LA BELLEZZA DEL MONDO, DELLE COSE E DELLE PERSONE
Sono le quattro e mezza del pomeriggio e, dopo oltre dieci ore di non stop, ti ritrovi sul nastro d’asfalto di fondovalle, a Fiumenero. I piedi, costretti negli scarponi, implorano pietà, oggi più che mai hanno fatto il loro dovere, senza tregua. Ti hanno portato sino nella Conca dei Giganti e poi, sulla punta dei ramponi, ti hanno spinto verso l’alto, lungo quel budello di neve e ghiaccio, conducendoti a calcare il Pizzo Redorta, la seconda vetta più alta delle tue montagne. Si sono quindi sorbiti la lunga discesa e ora sarebbe giusto ringraziarli e rendergli merito, liberandoli da quella gabbia.

Ma per rientrare a Valbondione devi percorrere oltre quattro chilometri di strada. Ti incammini lentamente, inizia ad imbrunire. Nessuna auto transita a quell’ora nella tua direzione. Ad un tratto senti sopraggiungere il suono di un motore. Eccola! L’auto sbuca dalla strettoia tra le case e ti viene incontro, i fari sono accesi. Metti fuori il dito. Chissà a cosa pensa l’autista nel vedere quella sagoma a bordo strada, con uno zaino carico in spalla e gli scarponi ai piedi. Purtroppo non ti è dato saperlo, nemmeno rallenta, nemmeno ti guarda e schizza oltre. Sconsolato ti guardi attorno. Mentre ti incammini ti chiedi: ma cosa gli costava darti un passaggio, aveva pure l’auto vuota; è evidente che sei un alpinista, forse un poco bislacco ma non pericoloso; poi siamo a Fiumenero e non sulla Dalmine-Villa d’Almè. Dopo poco altre due auto sbucano dalla strettoia. Stessi pensieri, medesimo gesto. Metti fuori il dito. La prima auto, pare una fotocopia di quella precedente, schizza oltre senza esitazione. Mannaggia a te. Perché la gente non si fida? Osservi fiduciosi la seconda auto. Non accelera, come han fatto le altre, rallenta, mette la freccia, accosta e si ferma esattamente di fianco a te. Sorridi mentre si abbassa il finestrino e i tuoi piedi stanno già esultando all’idea di non dovere percorrere quei quattro chilometri d’asfalto. Mentre ti chini e l’autista ti dice “Vado a Lizzola, dove vai?” i vostri sguardi si incrociano e vieni colto da una piacevole sorpresa. Lui è nerissimo, nella penombra dell’abitacolo risaltano il candore dei suoi denti e il bianco degli occhi. Il suo italiano è perfetto, segnato da quella cadenza tipica di chi proviene dall’Africa centrale. “Va benissimo! – rispondi – Vado a Valbondione, per recuperare l’auto”. Apri la portiera e nel salire ti senti in imbarazzo, sei sudato e sporco, lo zaino ingombra e fuori ci sono appesi ramponi, casco e picche. La sua auto è pulita e profumata, come la tua non è mai stata. Con attenzione sali e ti scusi per gli scarponi che lasceranno qualche segno sul tappetino. Ti tieni lo zaino sulle gambe facendo in modo che non si appoggi da nessuna parte. Incuriosito inizi a parlare e a fargli domande. Intuisci che lavora a Lizzola presso il centro di prima accoglienza per i profughi, quello gestito dalla Caritas, e così scopri un sacco di cose. Lui è affabile e senti che risponde e chiacchiera con piacere.  Il tuo provvidenziale angelo, ventiquattro anni fa, è arrivato dal Senegal e si è stabilito in valle Seriana dove abita e ha messo su famiglia. Ti parla dei suoi quattro figli, nerissimi come lui e italianissimi come te, nati e cresciuti in un paese della valle. Mentre ti descrive il suo lavoro, come operatore e mediatore culturale nei centri d’accoglienza, comprendi che ha le idee ben chiare sull’importanza di ciò che fa e perché lo fa. Vi confrontate sui temi delle migrazioni e delle ricadute sui paesi europei, sull’Italia e su queste piccole comunità della valle. Ormai siete a Valbondione e un poco dispiaciuto lo saluti e lo ringrazi. Mentre gli stringi la mano non sai nemmeno se lo stai ringraziando per il passaggio che ti ha dato o per quello che persone come lui rappresentano in questo mondo. Gli auguri un buon lavoro, mentre scendi e chiudi la portiera, lui ti sorride e ti saluta un’ultima volta con un gesto della mano. Te ne stai lì come un babbeo a guardare l’auto che affronta la salita e scompare dietro il primo tornante. Persone così le vorresti abbracceresti, perché sono il segno di una realtà che è già un passo avanti a tutti i discorsi pro o contro l’accoglienza e l’integrazione. Lui e tanti come lui, sono testimoni silenziosi che, tra le urla becere di gente miope, dimostrano con i fatti che un futuro è possibile, un futuro fatto di lavoro, di umiltà e di perseveranza. Ti incammini verso la tua auto e pensi che anche in questi incontri risiede la bellezza del mondo. I piedi ti conducono in questo breve cammino, fanno questo ultimo sforzo attendendo il momento in cui ti prenderai cura di loro, ma ora la tuo pensiero vola leggero tra le immagini che ti sono restate impresse in questa lunga giornata tra i monti. Alzi lo sguardo e riassapori quegli attimi, godendo ancora di quella bellezza fatta di neve, ghiaccio, roccia e cielo, di cui non potrai mai farne parte ma in cui potrai immergerti ogni volta che ne sentirai il desiderio. E tornato a valle scoprire anche quanta bellezza ci sia in un semplicissimo passaggio in auto da Fiumenero a Valbondione. Infine sei giunto al punto di partenza, togli lo zaino dalle spalle e lo appoggi a terra, prendi le chiavi e apri l’auto. È giunto il momento per assaporare l’intenso piacere che a breve proverai nell’allentare le stringhe, sfilarti gli scarponi, toglierti le calze e infine liberare i tuoi piedi nell’aria fredda della sera.

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