- Venerdì 2 gennaio 2015 - ore 09:56:43 – Campuana – Sorisole -
Da anni non ero così fuori forma. Da mesi non arrampico. Mi
manca un sacco la scalata: la roccia verticale, il vuoto, il suono secco del
moschettone che scatta, la paura di volare, i polpastrelli spellati, l’acido
lattico che ti gonfia gli avambracci, la puzza delle scarpette quando te le
togli e tutte quelle mille cose inutili che segnano i momenti dell’arrampicata.
In questi mesi la sbarra, sospesa la in alto nel corridoio di casa, nemmeno una
trazione mi ha concesso. A dire la verità non ci ho provato mai, anche in
questi giorni mi limito a guardarla ogni volta che ci passo sotto, lei mi
osserva, ne sono certo, anche con una certa aria di sfida. A volte passo e
faccio finta di non guardarla, con la coda dell’occhio colgo il suo sguardo impertinente,
quasi di sufficienza. Allora faccio spalluce e vado oltre, ripromettendomi che
la prossima volta glielo faccio vedere io a quella sfrontata.
Durante queste vacanze mi sono ripromesso di riprendermi il
tempo, quello mio, quello solo per me, quello per me da solo. Solo senza
mediazione alcuna, senza motori ad aiutarmi, riducendo gli spostamenti al
minimo. A volte mi faccio dei trip sulla mia impronta ecologica e la decrescita
felice e la consapevolezza del nostro impatto sul pianeta, quindi per mettermi
il cuore in pace, cerco di fare almeno dell’arrampicata a KM Zero. Oggi per la
terza volta, in queste vacanze, sono partito da casa a piedi, ho imboccato la
mulattiera e mi sono immerso nel gelo della valletta, quella che sale al colle
e che mai prende il sole durante l’inverno. La neve gelata crocchia sotto i
piedi, l’aria ghiacciata morde la pelle del viso, nuvole di vapore sono il mio
respiro. Il colle è al sole e salgo lungo il crinale scaldato dai sui raggi, su
sino ai roccoli di Campuana. Finalmente la vedo. La falesia è una vela bianca
di roccia che emerge tra i boschi spogli della valle, dominata dalla croce
immensa del Canto Alto e sullo sfondo, ad occidente, il Monte Rosa e la candida
catena alpina. Prima di reimmergermi nell’ombra del bosco, che conserva ancora
un tappeto di neve, mi volto verso la pianura. La bellezza è lì da cogliere: le
Luvride, i Colli di Bergamo e San Vigilio, le foschie padane e violacea, ultimo
sipario, la catena appenninica. Con queste immagini a colmare lo sguardo scendo
sino alla sorgente e da lì risalgo ai piedi della vela rocciosa, ornata da
canne d’organo e strapiombi. Sono solo. Adoro essere solo in questo luogo,
protetto dagli sguardi e dal freddo vento del nord. Anche oggi si scala in
maglietta. I movimenti oggi sono più fluidi e gli appigli, che solo un
settimana fa sembravano piccini, ora appaiono più generosi. Riprendersi il
tempo e prendersi cura delle proprie passioni, dei propri desideri e dei mille
sogni segreti custoditi tra i legni profumati dell’animo. Un gran bel regalo
per ricominciare un nuovo anno.
Con calma preparo lo zaino e rientro a casa, oltre il
crinale della Val Braghizza. Una volta a casa appoggio lo zaino sulla panca e
vado in corridoio. La osservo e senza dire nulla allungo le braccia, stringo le
mani attorno all’acciaio, sollevo i piedi e resto così, appeso, dondolando leggermente.
Lei mi saluta e senza dire una parola mi dice: ben tornato. Ed io sorrido.
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