“Pareti e racconti” è una nuovo cammino che Orobie desidera proporvi a partire da questo numero. Cinque saranno gli appuntamenti di questa prima serie. Cinque personaggi, con le loro storie e i loro racconti, ci hanno accompagnato ai piedi di cinque grandi pareti, al cui cospetto ci siamo messi in ascolto.
Ognuno di noi ha un luogo speciale, una
situazione particolare in cui si sente a proprio agio, in cui sa di essere al
posto giusto, in equilibrio. Luoghi dove spesso si torna per riprendere fiato,
dove per un istante è possibile abbandonare il flusso del vivere e
riappropriarsi della propria vita, quella più intima. Quindi fare il punto,
prendere le misure e ritrovare la giusta distanza dal frenetico avvicendarsi
degli eventi. Così lentamente il ritmo si quieta, tutto sedimenta, lasciando
emergere solo la sostanza svestita da ogni orpello. Solo allora si possono
vedere le cose con maggiore chiarezza e ascoltare l’energia fluire, sentendosi
rigenerati e pronti per ripartire. In questi luoghi riaffiorano ricordi del
proprio vissuto, si acuiscono desideri e nascono nuove idee, nuovi progetti.
Per qualcuno è un angolo della propria
casa, magari nell’attimo esatto in cui la luce del sole si allarga come una
pozzanghera sul pavimento. Per altri esattamente quella panca del parco, contro
il tronco del tiglio dove, nelle giornate d’inverno, si è riparati dal vento e
si sente il tepore del timido sole pomeridiano. Oppure quel tavolino del bar in
piazza che, nelle sere d’estate, viene sfiorato dal riflesso del tramonto, che rimbalza
sulle finestre del palazzo di fronte. Insomma luoghi del nostro vivere, solo
all’apparenza uguali a mille altri e senza i quali non saremmo quello che siamo
ora, perché anche lì la nostra storia ha preso la sua forma. In questi spazi
privilegiati si è quindi in grado di mettere a fuoco l’essenza del proprio
agire e perché no, magari, raccontarsi.
Anche tra i monti esistono luoghi particolari:
valli, cime e versanti che, agli occhi attenti di qualcuno, hanno acquistato un
valore specifico. Pareti avvicinate con rispetto e con passione da “piccoli
uomini” che, consci di non essere nulla di fronte a tanta potenza, si sono
adattati a quel mondo essenziale fatto di verticalità e vuoto.
Nei prossimi mesi vi proporremo questi
cinque incontri avvenuti ai piedi di luoghi unici, dove la vertigine domina, e
dove abbiamo cercato di catturare l’intimo legame tra i nostri testimoni e
queste geografie di pietra.
Abbiamo seguito Gianni Tomasoni, schivo
alpinista di Castione della Presolana, in alta Valle Seriana, sino dove la
strada termina e inizia la mulattiera che sale all’incantato borgo di
Maslana. Con lui ci siamo inerpicati
oltre le ultime case e oltre le faggete, per sbucare sui ripidi prati da cui la
pietra si proietta verso il cielo in un missile compatto dalle linee nette,
pulite. Su questa roccia aveva messo gli occhi e le mani Walter Bonatti e,
negli anni del Nuovo Mattino, Andrea Savonitto e Ivan Guerini. Il Pinnacolo
però ha dovuto attendere le creazioni di Gianni per vivere “Il risveglio” e perché avesse inizio una “New age” tutta da vivere.
Da quel lontano 1997, in cui nacquero i primi itinerari, non passa fine settimana
in cui numerose cordate si godano la bellezza di questo monolite orobico,
scalando sulle numerose vie “plasir” aperte ed attrezzate dall’infaticabile
Gianni.
Ci siamo quindi spostati dalle valli bergamasche,
nella vicina Val Camonica. Nostro mentore in questo viaggio, che ci ha condotto
ai piedi dell’immensa parete nord dell’Adamello, è stato il decano
dell’alpinismo bergamasco: Mario Curnis. Con lui abbiamo chiacchierato a lungo
mentre il sentiero, che da malga Caldea sale al rifugio Garibaldi, si srotolava
sotto i nostri passi. Sulla terrazza del rifugio, tra una battuta alle belle
ragazze che prendevano il sole e un piatto di pasta, Mario ci ha raccontato
della prima ripetizione invernale che lo ha visto protagonista, con i suoi
amici, sullo spigolo nord di quella montagna, e di tante altre avventure. Alla
fine nemmeno ci eravamo resi conto che cinquanta anni esatti erano trascorsi da
quei giorni memorabili, mentre le parole di Mario fluivano fresche e vivide
come se fossero ricordi di qualcosa accaduto poco tempo fa.
Dopo la trasferta nel cuore del
massiccio granitico dell’Adamello, siamo rientrati tra i nostri monti
bergamaschi e un testimone speciale ci ha accompagnato alla scoperta della
parete più selvaggia e alta della Presolana. Ennio Spiranelli più di trent’anni
fa ha aperto la sua prima via sul calcare della Regina delle nostre Orobie, da
allora non ha più smesso e continua a scovare e salire nuove linee. Ma la
parete a cui è più legato e che lo ha letteralmente stregato è il complesso
versante nord compreso tra la Presolana Occidentale e quella di Castione,
scendendo sino alle bastionate delle Creste di Valzurio. Su queste pareti, che si impennano verso il
cielo per oltre cinquecento metri, ha
passato molti giorni e tanti sono stati i bivacchi che ha vissuto appeso su
queste rocce. Qui ha scalato sia d’estate, lungo impegnative vie di roccia, che
d’inverno, nella ricerca di nuove linee in cui il ghiaccio e la neve aiutano la
progressione. Ben sei sono le sue creazioni in questo angolo di Presolana e di
certo ha altri progetti che custodisce gelosamente nel suo cassetto dei sogni.
Dopo questa incursione dal sapore
dolomitico, abbiamo rivolto l’attenzione a una grande parete, quella che forse
è la big-wall per antonomasia di tutto l’arco alpino: il Qualido. Simone
Pedeferri, in una splendida giornata autunnale, ci ha accompagnato ai piedi di
questo specchio granitico che domina dall’alto dell’omonima valle, la
meravigliosa Val di Mello. Con lui
abbiamo giocato sulle placche basali, ascoltando i suoi racconti dove arte e arrampicata
si fondono, dove le lunghe giornate vissute in parete sono il necessario complemento
del tempo passato in studio a disegnare, dipingere, plasmare. Perché in entrambe
le situazioni ciò che guida il suo agire è il desiderio di creare, lasciare un
segno compito, colmo di senso e significati.
Con l’arrivo dell’inverno abbiamo puntato
diritti nel cuore delle Grigne. Oltre la vetta del Grignone e il rifugio Brioschi, ci si affaccia sul lago e nulla si
percepisce della parete sud ovest che precipita sotto di noi. Un versante
nascosto e di difficile accesso dove Benigno Ballatti, alpinista di Mandello,
torna ogni inverno per ripercorrere le sue creazioni: linee effimere di
ghiaccio, incastonate tra speroni di calcare. Con Benigno siamo saliti per scrutare questa
parete, quando si illumina nel pomeriggio, per sentirlo raccontare della sua
montagna di casa e delle emozioni che gli ha regalato, e con la certezza che
saremmo tornati con piccozze e ramponi per legarci alla sua corda e seguirlo su
una delle sue linee.
Matteo, compagno d’avventura, ha
meravigliosamente fermato nei suoi scatti, istanti unici e irripetibili,
cogliendo sguardi, atmosfere e legami che ben fan comprendere l’intimo legame
tra l’alpinista e la “sua” montagna.
Quindi vi porteremo in lungo viaggio
fatto d’incontri e proprio lì, dove il tempo e gli elementi hanno scolpito con
sapienza e pazienza la roccia, ci fermeremo assieme ad ascoltare i ricordi di
questi “piccoli uomini” che per alcuni
istanti, con le loro gesta e con il loro vivere, hanno scritto la storia di
queste pareti. Abbiamo risalito valli, con loro abbiamo camminato e scalato. Abbiamo
seguito il ritmo dei loro passi e sul loro respiro abbiamo colto il luccicare dei
loro occhi. Ci siamo fatti trasportare dai loro passi, dal loro sguardo
attento, dalle loro parole. Sull’onda delle sensazioni abbiamo assecondato
questo loro raccontarsi, diverso dal solito, più raccolto, quasi intimo.
Raccontarsi,
durante il cammino, le soste e le scalate, si è rivelato prezioso per chi
ascoltava e per chi narrava. È stato come se si prendessero una pausa, per
fermarsi e ripensare a quanto accaduto, per dare un senso alle fatiche e alle
gioie, attribuendo un significato alle esperienze trascorse e progettando
quindi un futuro.
Raccontare
frammenti del proprio vissuto, condividendoli con altri, ha riportato a galla
emozioni dalle mille sfaccettature e di una ricchezza dimenticata. Come fosse
quasi un atto liberatorio, in cui la storia non era più solo loro, ma diveniva
anche degli altri. Questo abbiamo cercato e questo abbiamo trovato, camminando
tra i monti in compagnia di amici che hanno regalato le loro emozioni e che ora
riproponiamo a voi tutti.
L’intensità dell’esperienza è stata
potente, forse perché eravamo esattamente in quei luoghi dove le storie nascono
e fluiscono: all’ombra di grandi pareti.
Seguiteci in questo cammino tra le
pagine della rivista, dove i neri dell’inchiostro vi prenderanno per mano e,
impreziositi dalle fotografie di Matteo, vi accompagneranno alla scoperta di un
mondo sospeso fatto di “Pareti e Racconti”
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