Qualche
giorno fa. “Sabato Becco?” recita il laconico sms di Marco. “Perché no!”
rispondo. Pochi minuti dopo, altra vibrazione del cellulare, apro l’sms, Fulvio
scrive “Sabato io e Vale andiamo al Becco, vieni?”. Se il Becco chiama è inutile
farsi corteggiare oltre quindi digito sulla tastiera “Ok! Vengo insieme a
Marco.”
Mentre, alla
luce della frontale, salgo il ripido sentiero, che da Carona porta in
Sardegnana, penso alla mia prima salita lungo la semplice ferrata che conduce
in vetta al Becco; penso alle prime scalate sul verrucano del Becco, con amici
che ormai non vedo da molto tempo; penso ai miei primi esperimenti solitari
lungo i diedri delle vie di Calegari. Pensieri che scorrono nella mia testa e
mi portano al secolo scorso, a tanti anni fa. Il tempo passa ma la passione
resta e lo zaino sulle spalle pesa sempre allo stesso modo. Il fondo è
ghiacciato e bisogna prestare attenzione, iniziamo a pestare la neve, non vi è
alcuna traccia di passaggio. Albeggia quando intercettiamo la condotta forzata,
che si risale lungo i gradini sino alla diga. Spegniamo e riponiamo le
frontali, solo allora mi accorgo che Marco è in maglietta a mezze maniche, non
fa freddo ed il movimento scalda, però le temperature restano sotto lo zero. Se
la toglie, si deterge il sudore e si infila un pile leggero. Stende la maglia
su un muro, la riprenderà al rientro. Marco non smetterà mai di stupirmi, non
soffre il freddo, non soffre la sete, ne sente la fame, quando sono in montagna
con lui ho la sensazione che potrebbe andare avanti per sempre, senza mai
fermarsi.
Percorriamo
le gallerie che costeggiano il lago e, al loro termine risaliamo il vallone che
porta alla base delle pareti. Non c’è traccia alcuna, ci alterniamo nel
batterne una nuova e saliamo veloci, mentre la luce scende lungo i versanti sud
che ci osservano oltre la valle. Nella prima conca mi fermo ed osservo quel
luogo meraviglioso, dove roccia e neve, ghiaccio ed ombra, regnano
incontrastati nel vivo silenzio di Sardegnana.
Da 25
anni non salgo in questo angolo elle Orobie, da 25 anni non arrampico sulla
nord del Becco e del suo Spallone, oggi è venuto il momento di essere
nuovamente qui. Insieme a Marco, abbiamo avuto la fortuna di salire con Fulvio e
Vale, lo scorso inverno, su queste pareti hanno tracciato numerose nuove linee
di dry-tooling. Li abbiamo seguiti sino alla base della parete, non sapevamo
che linea salire e ci siamo affidati ai consigli di Fulvio. Mentre loro aprivano
una nuova linea di dry, all’estrema sinistra della parete nord dello spallone,
Marco ed io ci siamo avventurati lungo le fessure di Camino Muschioso.
Con Marco
risalgo le facili rampe di ghiaccio e neve che ci portano ai piedi della
profonda spaccatura che solca l’intera parete. Di ghiaccio, per i prossimi
quattro tiri, nemmeno l’ombra, accumuli di neve polverosa nelle fessure e
croste di neve indurita sui terrazzini e le cengette. Che strana arrampicata,
con le picche si sposta la poca neve dal fondo della larga fessura intasata di
pietre, che si agganciano con le becche, alla ricerca dell’incastro migliore. I
ramponi grattano e stridono sulla roccia. Lentamente salgo e mi abituo a questa
progressione, riesco sempre a proteggermi bene, piazzando i friend nelle
generose fessure che solcano le pareti sui due lati del camino. Marco è fermo
in sosta, sotto di me, mi ritrovo con il corpo incastrato tra le due pareti, la
schiena che striscia contro una ed i piedi che spingono contro l’altra, le mani
che stringono le picche, incastrate chissà dove. Inizia a piacermi questo gioco,
così incastrato riprendo fiato e quardo le verticali pareti che fuggono verso
l’alto e riesco anche a voltarmi quanto basta per vedere i versanti assolati
dei Corni di Sardegnana. Sono tranquillo, anche se tutto quel grattare di lame
contro la roccia mi risulta sempre un poco sinistro. Arrivo su di un bel
terrazzino, attrezzo la sosta, Marco mi raggiunge riordina il materiale e
parte. Cascatelle di neve polverosa mi investono, miste a blocchi di neve dura.
Mi incastro sul fondo del camino per proteggermi, la corda scorre lentamente. Da
sopra la mia testa giunge la solita colonna sonora: il clangore del ferro che
batte e gratta sulla roccia. Che strano gioco, Marco è in sosta, parto, la
scalata è impegnativa, esco dall’ultimo strapiombino. lo raggiungo e continuo
per l’ultima lunghezza che ci porterà sulla vetta. La vetta dello spallone non
esiste, siamo su un pianoro di neve, nella luce del sole. Sorridiamo e ci
stringiamo la mano, come sempre, come ogni volta che finiamo una via, gesti
consueti, abitudinari, ma ricchi di senso e significati. Fa freddo, ci mettiamo
le corde in spalla e saliamo sulla sommità del pianoro, oltre la quale inizia
la discesa. Giunti al culmine, vediamo Fulvio sbucare dalla parete e fare sosta
su un blocco che affiora dalla neve. Dietro lui il passo d’Aviasco incornicia
una superba Presolana che sfoggia tutto il suo versante nord, dei camosci
corrono lungo il crinale, stagliando le loro sagome contro il cielo.
La
selvaggia bellezza di certi attimi a volte mi lascia senza fiato ad osservare assorto,
ma ci pensa Valentino a distogliermi dai miei pensieri. Non è ancora comparso e
già si sente la sua voce e le sue risa. Nemmeno ci fossimo dati un appuntamento
ed eccoci tutti e quattro lì, a chiacchierare. Loro hanno appena terminato la salita
di una nuova via, che dai primi racconti sembra decisamente impegnativa.
Immersi in quell’ambiente selvaggio scendiamo agli zaini e quindi verso valle.
Arriviamo a Carona quando ormai è già buio, soddisfatti della giornata
trascorsa giocando sul Becco e già qualcuno dice: “Quando torniamo?”.
Qui trovate la photogallery della giornata
Qui trovate le info necessarie per giocare sul Becco
Qui trovate le info del raduno dei B.A.L. al Becco
PS - Fulvio e Vale hanno aperto "Chiudi il becco"
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