"Prendersi cura dei luoghi per prendersi cura di se stessi"
I veci (foto S. Codazzi) |
“Mauri! Intàt che te pàrlet, fà 'ndà i mà!” così mi diceva la
mamma mentre da piccino la aiutavo nell’orto. Mi piace chiacchierare con gli
amici e, sarà che l’educazione materna ha sortito i suoi effetti, apprezzo
particolarmente se, mentre si parla, si fanno andare mani e piedi. Non per
forza correndo o scalando ma anche prendendosi cura delle cose e dei luoghi che
ci stanno attorno, magari armeggiando con “Péch e pala”.
L’altro giorno su invito di Stefano e Sandro per un’intera
giornata ci siamo ritrovarti in Valgua per prenderci cura della falesia storica
della valle, dove sono passati tutti, ma proprio tutti, prima di spostarsi
negli altri settori. Alzi la mano chi non ha fatto almeno un giro su “Donald
Duck” o su “Boletus”.
Generalmente ci piace parlare della storia dell’alpinismo e
delle grandi imprese, di quella via difficilissima mai ripetuta o che conta la
salita solo di qualche big. Oppure ci si meraviglia e si commenta la news in
merito al tiro più duro mai scalato al mondo e di come sia forte Tizio o Caio.
E mentre rimastichiamo la storia e le notizie del mondo verticale, forse nemmeno
ci siamo mai chiesti qual è la piccola storia della falesia in cui scaliamo
d’abitudine o dove arriviamo casualmente. Magari ci lamentiamo pure per il sentiero
d’accesso scivoloso o la base scomoda, per non parlare di quello spit o troppo
alto o troppo basso, o di quella catena un poco vecchiotta e via dicendo. Di
solito facciamo ciò senza nemmeno renderci conto del gran lavoro e della
passione messa in gioco per creare, ripulire, attrezzare il luogo in cui
arrampiachiamo. Facciamo fatica a pensare che tutto ciò non nasce dal nulla ma
ci sono mani, volti e nomi che hanno messo e mettono giornate di lavoro per
creare questi meravigliosi “giocattoli” a disposizione di tutti. Chissà quanti
climber giunti a Minolandia si saranno lamentati di questo o di quello.
Appuntare ciò che c’è da sistemare in una falesia e su una via è sacrosanto e
non si discute, ma poi è anche una buona cosa dare il proprio contributo anche
solo con “Péch e pala, e intàt che te pàrlet, fà 'ndà i mà!”
Così ci siamo ritrovati e durante la giornata, tra una
badilata e un colpo di piccone, le parole fluiscono e piccole storie prendono
forma. Sembra incredibile ma a Minolandia ci andiamo a scalare da quasi trent’anni.
MINOLANDIA 1988-2017. All’inizio fu Mino Manenti che tra
l’88 e ’89 incominciò a pulire alla base e in parete, chiodando ciò che diverrà
il meraviglioso scudo della Terra di Mino: Minolandia. Trent’anni fa gli spit
erano artigianali e vennero messi a mano, altro che trapano! Non vi dico le
soste, tanta roba rigorosamente artigianale. A pensarci oggi pare preistoria ma
ai tempi era il non plus ultra. Se poi ci mettiamo l’avvicinamento breve e la
vicinanza a Bergamo fu da subito molto frequentata, soprattutto nelle serate
estive dopo il lavoro. Ai tempi furono chiodate anche tre brevi linee sulla
placchetta posta in basso a sinistra: “Qui”, “Quo” e “Qua” e pure altre tre
viette sul torrioncino staccato posto ancora più a sinistra. Proprio da questa
zona saliva il sentiero d’accesso a Minolandia.
Nel 1999 entra in scena il gruppo ClimBerg capitanato da
Stefano assistito dal prode Sandrino e dal tecnico Fabrizio, circondati da
alcuni amici sempre pronti a lavorare per la causa verticale. In quell’anno in
tutta la valle di Valgua fù un gran fermento, si fa una colletta tra i climber,
il CAI d’Albino da il suo contributo. Nella lista delle cose da fare c’è prima
di tutto la richiodatura di Minolandia. Tutti i tiri vengono richiodati con
resinati e le soste sostituite con soste resinate a norma. Si aggiungono
ulteriori quattro tiri: “Valguamania”,“Vento solare”, “Rovescio d’occasione” e
“Prendi il Fossile”. Si sistema un poco anche la base della parete. Da
quell’anno inizia la grande frequentazione di questa falesia e anche degli
altri settori sparsi tra i boschi di Valgua.
Nell’inverno 2004-2005 un crollo investe la placchetta di
“Qui” “Quo” “Qua” e il sentiero d’ingresso. Prontamente si schiodano le tre
viette e pure quelle sul pilastrino, si abbandona il sentiero e se ne traccia
uno nuovo, quello attuale.
I bocia con il Boss (foto S. Codazzi) |
11 febbraio 2017 - Da tempo se ne parla, di mettere mano alla
cengia basale di Minolandia. Stefano ha lanciato l’appello e alla fine: i più
“veci” si sono presentati al mattino mentre i giovinastri si sono fatti vivi
nel pomeriggio. Tutti insieme abbiamo fatto un bel lavoro e ognuno se nè
tornato a casa soddisfatto perché “Col péch e pala, intàt che ma pàrlat, toc an’ma
fàc 'indà i mà!”
E quando torneremo a scalare nelle Terre di Mino, o in
qualsiasi altra falesia, lo faremo con maggiore consapevolezza, con più
soddisfazione e magari lamentandoci di meno.
Un grazie particolare alla Climbing Technology, al CAI di
Albino, al GAN di Nembro e a tutti coloro che hanno contribuito alla colletta
per l’acquisto del materiale.
E non mancate al prossimo appuntamento, i lavori continuano.
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