La nord del Corno Stella - Orobie |
Domenica 24 dicembre 2006 - Lui era lì!
Lo vedo con la coda dell’occhio, mentre mi chino a posare gli sci sulla neve. Aggancio gli scarponi, blocco il puntale degli attacchi e mi rialzo. Sistemo i guanti, impugno i bastoncini ed inizio a risalire il pendio. Nessun cenno, nessun saluto, non una parola da entrambi, solo una rapida occhiata.
Le pelli scivolano e mordono la neve, alternandosi con ritmo, trasmettendo scorrevolezza e continuità ai movimenti del corpo che avanza. Lui è lì. Lo sento, non c’è bisogno di voltarsi per vederlo, è alcuni metri dietro me. Un’alba livida si fa spazio tra banchi di nubi, bassi sull’orizzonte.
Anche quel giorno, come ad ogni inizio di stagione, potere toccare la prima neve, mi mette di buon umore. Lo sguardo vaga libero come i pensieri, con leggerezza, mentre il corpo riscopre movimenti familiari, dapprima legnoso e duro, poi sempre più fluido e morbido.
Dopo avere superato tre scialpinisti ciarlieri ed un solitario indeciso, il pendio si fa più ripido, lui è sempre lì. Lo sento, ma qualcosa cambia, la sua traiettoria si allarga alla mia sinistra mentre punto con forza i bastoncini per evitare di scivolare all’indietro. Entra nel mio campo visivo, oltre il dosso, sul falsopiano è al mio fianco a pochi metri. Non una parola non un cenno, un silenzio piacevole, entrambi concentrati a ritrovare, dopo tanti mesi, scioltezza ed elasticità. Il rumore dei nostri sci sulla neve ed il nostro respiro parlano per noi.
Poi, non so come, le parole fluiscono. Il sole si fa spazio tra le nubi, alzandosi disegna i profili ed i volumi delle montagne attorno a noi. Non è importante cosa ci diciamo, ma come. Percepisco che posso fidarmi, che è la stessa passione, l’identica voglia di scoprire, la medesima curiosità a spingerci tra i monti.
Vuole portarsi gli sci in vetta per poi scendere, magari, lungo lo spallone nord, da anni penso a quella discesa. Naturalmente mi carico gli sci sullo zaino e, sotto gli sguardi interlocutori di alcuni scialpinisti, risaliamo la cresta finale sino alla croce, ricamata dalla neve e dal vento. Le condizioni sembrano buone, lui parte. Dopo alcune curve, prima di sparire al mio sguardo, si volta e mi fa un cenno d’assenso, lo seguo senza esitare. La neve è perfetta, luminosa e morbida accoglie il ricamo delle nostre tracce. Alla casera di Publino mi dice che vuole essere a casa presto, quindi intende risalire alla bocchetta per poi scivolare in Val Cervia e da li, riguadagnato il passo, scendere sino all’auto. Tentenno un attimo. La Val Livrio si apre sotto di noi, solo le tracce dei camosci decorano i pendii immacolati, ne scaturisce un silenzio magico, un richiamo profondo. Non posso resistere, non voglio resistere. Infine decido di continuare la discesa sino in fondo, al limitare del bosco. Ci salutiamo, augurandoci una buona giornata. Mi rendo conto che nemmeno so il suo nome. Mentre si allontana ci presentiamo, senza sapere se prima o poi le nostre passioni ci avrebbero portato nuovamente lungo la medesima traccia.
Da quel giorno non l’ho più rincontrato, nemmeno ieri, ma ciò che ritrovo identico ad allora è l’elegante spallone nord del Corno Stella che, tra ombra e luce mi regala un’opportunità per scendere con gli sci e poi immergermi nella selvaggia bellezza della Val Livrio. Ieri, non pago, con gli amici abbiamo vagato a lungo sull’altra faccia delle Orobie. Dalla diga del Publino abbiamo risalito il vallone sino alla Cima di Venina e poi al Monte Masoni. Spazi selvaggi, pendii immacolati, luoghi solitari e solo noi ad attraversarli con lo stupore di chi si sente testimone privilegiato di una confidenza che la montagna ti offre. Durante la discesa in Val Sambuzza, oltre il passo del Publino la nord del Corno Stella si staglia contro l’azzurro cielo. Ci fermiamo un attimo ad osservarla e sembra quasi impossibile che si possa scendere da lì. Forse senza quell’incontro fortuito non l’avrei mai discesa ed oggi non saremmo qui, distanti dal nostro punto di partenza e con tanta strada ancora da percorrere.
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