“Ma poi, chissà la gente che ne sa,
chissà la gente che ne sa,
dei suoi pensieri sul cuscino che ne sa,
della sua luna in fondo al pozzo che ne sa,
dei suoi pensieri e del suo mondo.”
chissà la gente che ne sa,
dei suoi pensieri sul cuscino che ne sa,
della sua luna in fondo al pozzo che ne sa,
dei suoi pensieri e del suo mondo.”
Francesco
De Gregori – Il ragazzo
Washington –
Olympic National Park – Rialto Beach – Pacific North-West Trail
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Il viaggio procede spedito e senza intoppi. La mongolfiera,
sospinta dai venti che costanti spirano da nord est, sorvola la distesa
d’acqua. L’oceano si stende a perdita d’occhio, in ogni direzione. La costa, da
cui è partito nelle prime luci del mattino, ben presto è svanita. Quel grumo di
terra e rocce, spazzato dai venti, inesorabilmente è stato fagocitato dalla
linea dell’orizzonte, una perfetta sutura tra gli azzurri delle acque e i blu
dei cieli. Il ragazzo, regolarmente, eroga gas al bruciatore e, con costanza,
controlla l’essenziale strumentazione di bordo: un anemometro, una bussola, un
altimetro ed un termometro. Nonostante la sua giovane età non è alla sua prima
esperienza di volo, ma questa volta il suo progetto è temerario. Dapprima si
era messo alla prova in brevi viaggi, sorvolando i monti e le pianure, seguendo
un fiume o sopra i mari ma tenendo la linea di costa sempre in vista. Il tutto
si risolveva nell’arco di uno o al massimo due giorni. Ora lo spazio senza
limiti che gli offre l’oceano è il palcoscenico della sua prima vera avventura
solitaria. Un luccicare raggiante e profondo, scaturisce dai suoi occhi, mentre
controlla la carta nautica e fa il punto per verificare la rotta. Con gesti
sicuri si sposta nella cesta di vimini. La sua piccola casa volante contiene
quanto basta per il suo viaggio. Contenitori e sacche a tenuta stagna sono ben
ancorati all’intelaiatura, racchiudono poche cose ben ordinate, essenziali e
preziose: il combustibile per cucinare e per il bruciatore, il fornello e le
stoviglie, il cibo e le scorte d’acqua, gli indumenti di ricambio e quelli per
il maltempo, il sacco piuma per la notte. Quella navicella, sospesa al grande
pallone giallo zafferano, sarebbe stata la sua casa sino al giorno in cui
avrebbe raggiunto l’Isola. Se i suoi calcoli erano corretti e il maltempo non
si fosse messo di traverso, entro la prima decade del mese avrebbe portato a
termine la traversata. Il tempo scorre e il sole imperterrito sale, sino allo
zenit ed oltre, lentamente prosegue e si abbassa sull’orizzonte. La mongolfiera
avanza inseguendone la scia di luce che si stende sulle acque. Il ragazzo è
costantemente indaffarato, concentrato nel compiere al meglio ogni cosa,
attento. Non c’è spazio per la noia, c’è sempre qualcosa da fare, innumerevoli minuti
gesti, semplici e vitali. Controllare gli strumenti, verificare la rotta, dare
gas all’erogatore, cucinare, mangiare, bere. Piccole azioni che punteggiano la
costante osservazione dello spazio che lo circonda e lo assorbe. I disegni delle
correnti sul mare, gli arabeschi delle nubi nel cielo, i colori che inesorabili
mutano senza tregua con l’avanzare del giorno e l’incedere della notte. A volte
i voli dei cormorani, diretti chissà dove, lo sfiorano mentre, per alcune
miglia, condivide la rotta con alcune balene. Ne segue i colpi d’ala sino a
quando non si perdono in lontananza, ne ammira l’elegante fluttuare a pelo
dell’acqua per poi vederle scomparire nelle profondità.
Spesso, da un cassetto fissato sotto la plancia degli
strumenti, dove tiene le carte e fa i calcoli per la rotta, sfila un taccuino e
scrive. A volte poche frasi, altre volte si intrattiene più a lungo e riempie
intere pagine con una calligrafia minuta e ordinata, leggermente inclinata
verso destra.
A volte si ferma e si sfiora le labbra con la sommità della
matita. A volte la stringe tra i denti senza lasciare alcun segno nel tenero
legno che ricopre l’anima di grafite. Osserva oltre il suo nido di vimini e acciaio,
nylon e tela. Assorto scruta il mondo o forse si perde nelle profondità del suo
animo, poi, d’improvviso, si rimette a scrivere. La notte si avvicina, notte
buia e di luna nuova, solo le stelle a fargli compagnia. Gode degli ultimi
raggi di sole che scaldano il viso e riverberano sul giallo fuoco della tela
gonfia e tesa. È notte, si scalda qualcosa da bere mentre verifica ancora una
volta la rotta. Nel buio il sibilo dell’erogatore pare più potente, mentre le
fiammelle blu guizzano e danzano. S’addormenta.
Il corpo è percorso da un tremito. Si risveglia ed è
confuso. Fatica a capire dove si trova. È supino a terra, le piastrelle, sotto
di lui, sono gelide. La guancia ed il viso sono sudati e appiccicati alle
pagine di un libro che gli fa da cuscino. Solleva il capo, sbatte le palpebre e
si sfrega gli occhi con il dorso della mano, mette a fuoco le pagine sgualcite
del suo atlante geografico e legge “Oceano Pacifico”. Si era addormentato e
indistintamente ricorda qualcosa, forse un sogno. I brividi lo scuotono, con le
mani solleva il busto dal pavimento, fa per alzarsi ma un conato lo piega in
due e lo fa mettere sulle ginocchia. Vomita.
La mamma, richiamata dal trambusto, esce dalla cucina sotto
il portico. Scuote la testa e guarda la scena. Il risotto giallo che aveva
preparato per pranzo al figlio se ne sta la in una pozza maldigerita sul
pavimento, sino all’ultimo chicco. Il figlio alza lo sguarda e la fissa
incredulo. E lei impietosa: “Ragazzo! Te l’avevo detto di non sdraiarti a
pancia in giù sul pavimento freddo. Adesso, pulisci!”
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