QUALIDO - Simone
Pedeferri racconta
Le mani di Simone si muovono nell’aria con decisione ed eleganza,
gesti rapidi e precisi scanditi da pause e accelerazioni, si alternano in una
danza sinuosa e imprevedibile. A volte sembra plasmino l’aria come fosse
materia, altre volte che accarezzino una tela, oppure che stiano stendendo
strati di colore. Le osservo, si fermano a mezz’aria, mentre le dita si muovono
come stessero sfiorando la pietra, sino a quando, trovata la giusta posizione,
si stringono attorno a piccoli appigli fatti di cielo e da cui iniziare la
scalata. Lo sguardo, calamitato da queste mani, resta affascinato da quella
esatta padronanza dello spazio che le circonda. Mi perdo a tal punto nell’ascoltare
ciò che raccontano le sue mani, che a volte non seguo più la sua voce. “Scalata e arte sono due passioni totali,
- afferma Simone - due mondi paralleli.
Nell’arte il mio elemento ispirante è la natura, con i suoi paesaggi e lo
spazio, elementi in cui mi immergo quando scalo sulle montagne di casa o nei
luoghi selvaggi dell’Africa e del mondo. I colori che uso e che plasmo, arrivano
proprio da qui, dalla natura che mi circondo e dalle esperienze che vivo. Le emozioni,
le immagini e i momenti si stratificano, si accumulano, si coprono l’un l’altra.
Quando lavoro le faccio emergere e con calma loro arrivano, si svelano. Ne
ottengo fasce di emozioni che torno a sovrapporre e stratificare sulla tela.
Dipingo con un segno scultoreo più che pittorico, un segno forte simile ai
gesti della scalata, un segno materico come è materia la roccia su cui scalo. In
parete, come in studio, la parte razionale e quella istintiva emergono e inizialmente
si combattono, si studiano, si scrutano e infine si fondono sino ad entrare in
armonia.” Le parole diventano quindi puro accompagnamento, semplice punteggiatura del racconto fatto
dalle sue mani, sempre pronte a narrare storie di amicizia, d’arrampicata e
d’arte. Mani in grado di lasciare un segno sulla pietra e sulla tela, a sfidare
il tempo.
Il cielo è terso e l’aria decisamente fredda. Oggi in Valle
di Mello siamo soli, a sinistra le grandi placconate di granito paiono groppe
di giganteschi animali che sonnecchiano e si crogiolano nel sole, mentre sulla
destra è il regno dell’ombra che domina incontrastato e già le prime bave di
ghiaccio ornano il bordo delle cascate. La, in fondo, i due mondi convergono
nell’imponente Monte Disgrazia, vigile custode dell’intera Valle. “Vent’anni fa cercavamo un posto simile allo
Yosemite e lo abbiamo trovato qua. –Simone si ferma sotto un grande faggio
e parla tranquillo – Un posto dove alla sera si potesse stare attorno a un
fuoco, bivaccare sotto i massi e partire la mattina con lo zaino in spalla per
scalare tutto il giorno. All’inizio partivo da Cantù per venire qua, poi gli
eventi della vita mi hanno trattenuto in questa valle. Qui ho conosciuto
Monica, mia moglie, e ho invertito la rotta. Questo luogo e le sue pareti mi
hanno fatto crescere e, ancora oggi, continuano a farmi crescere. L’apprendimento
non finisce mai sia sui massi che sui montiri, sulle vie brevi ma soprattutto
sulle big-wall, l’ambiente che amo di più”
In alto, le montagne sono già spruzzate dalla prima neve. Riprendiamo
il cammino immergendoci nei colori dell’autunno che ormai si stanno spegnendo.
Ancora vivido è il giallo dei larici mentre le pennellate oro delle betulle,
tra il verde compatto degli abeti, restituiscono brillanti raggi di sole. Oggi
il Precipizio degli Asteroidi è la nostra pietra d’angolo, ai suoi piedi
svoltiamo a sinistra, abbandonando la placida mulattiera di fondo valle per
risalire l’antico sentiero dei Melat, che si inerpica in Val Qualido.
Saliamo zigzagando tra faggi dalle architetture uniche, le
foglie crepitano sotto i piedi, ci fermiamo spesso per osservare, tra le chiome
spoglie, la grande parete del Qualido che inizia a delinearsi nella sua
imponenza. Ad ogni sosta il racconto di Simone, prende forma, cresce e si rinnova,
le mani con movimenti ampi ed eleganti sostengono e amplificano la narrazione. A
volte ci indica una linea sulla grande parete e frugando tra i ricordi ci
regala frammenti della sua vita, fatta di emozioni e amicizie: “Ci sono legami che vanno oltre le difficoltà
affrontate in parete e che si consolidano per sempre. Gli amici sono stati
fondamentali nella mia vita, ogni salita è indissolubilmente legata al volto di
un amico, in maniera profonda.”
Il bosco si fa sempre più rado e in quota cede spazio ai pascoli,
la parete si mostra in tutta la sua bellezza.
Passiamo come di consueto all’Hotel Qualido, un meraviglioso
posto da bivacco posto sotto un grande masso di granito, ricavato da un antico
ricovero di pastori. Simone apre il cancelletto ed entra, mentre gli occhi si
abituano alla penombra dice: “In venti
anni ho passato i mesi in questo posto. A un buco del genere ci si affeziona
per forza. Quando ho fatto Joy Division ho passato più di tre settimane qua.
Era il mio campo base. Per la gran parte del tempo ci sono stato da solo,
salivo e scendevo lungo le corde fisse per provare i tiri di corda, ero un
bambino super selvaggio. Ogni tanto salivano gli amici a trovarmi e per salire
in parete con me, a scalare.”
Usciamo dall’Hotel e saliamo ai piedi della parete dove
giochiamo scalando le prime lunghezze di alcune vie. Oggi l’obbiettivo non è
quello di salire una linea su questa big-wall, oggi ciò che ci interessa è
scalare tra le parole e fare emergere, come scultori, da questa stratificazione
di emozioni e i ricordi, le forme dell’intimo legame che unisce Simone alla
parete del Qualido. “Vivere il Qualido
non è solo arrampicare sulla parete. Vivere il Qualido è stare in questo
ambiente, accendere il fuoco la sera, mangiare, vedere l’alba, attaccare la
parete, ridiscendere, cercare di fare le vie in arrampicata libera. - e continua Simone - per me è
stato importante potere godere di questa parete in tutte le stagione per
sentire dentro di me di avere vissuto un intero percorso con lei.” Si
interrompe e sorride, poi lo sguardo si perde nuovamente su
quell’impressionante architettura di granito:“Se torni per anni su una parete, alla fine ti accorgi che non devi
dimostrare niente a nessuno. Dopo tutto un percorso vuoi solo vivere dei
momenti piacevoli e quindi vai alla ricerca di quei momenti di quelle
sensazioni. Le sfumature che cogli sono diverse anche se la parete è la stessa,
perché nel profondo sei tu che sei cambiato.”
La giornata volge al termine e ci incamminiamo verso valle,
la parete è ormai in ombra, Simone la guarda ancora per un ultima volta. Chissà
a cosa pensa, chissà quanti altri ricordi tornano a galla ad ogni sguardo,
chissà quanti nuovi progetti frullano in quella testa.
Simone artista,
Simone alpinista
Al rientro ci fermiamo a San Martino di Valmasino e ci
rifugiamo nell’ambiente caldo e accogliente del Bar Monica. Qui lavora e abita
Simone con la moglie Monica. Dopo esserci scaldati ci invita a salire di sopra
dove, nella mansarda, vi è una parte del suo atelier. Lui, diplomato
all’accademia di Brera, in questo spazio lavora e crea. Ci parla delle opere alle
pareti e poste in ogni dove, ci racconta la sua visione dell’arte e del intimo
legame con la natura e la scalata. Prende dei giganteschi rotoli di carta e li distende
sul pavimento, li guarda soddisfatto. Da una certa distanza risalta evidente la
figura di un uomo, ma quando mi avvicino comprendo che quell’uomo non è altro
che la geografia della Valmasino, compresa la Valle dei Bagni e la Val di
Mello. Mi chino ancora di più e non finisco di sorprendermi nel cogliere i
dettagli e di vedere disegnati uno ad uno i massi granitici che realmente si
trovano nella valle, con le loro forme esatte e le linee tracciate sulle loro piccole
pareti. “Questo è il disegno originale
che ho fatto per l’ultimo MelloBlocco – dice soddisfatto Simone – la
manifestazione che organizziamo ormai da 10 anni e che porta nella valle
migliaia di persone, un’esperienza unica nel suo genere.” Poi, mentre mi
indica i dettagli del disegno, le sue parole diventano una musica di sottofondo
e mi perdo nel guardare le mani di Simone che si muovono sul disegno come se
stesse dipingendo, come se stesse arrampicando.
QUALIDO BIG WALL – La
storia secondo Simone
In Qualido alcune vie si possono ripetere anche in giornata,
ma le sue dimensioni, la difficoltà e la lunghezza di molti itinerari, che
oscilla tra i 500 e 800 metri, ne fanno una big wall su cui è possibile e a
volte indispensabile passare più giorni, scalando, vivendo e dormendo in
parete.
I sassisti hanno aperto la strada e se “Via Paolo Fabbri 43”
(1978) è stata la prima via della parete con “Il paradiso può attendere” (1982),
salita in cinque giorni di scalata, Paolo Masa, Jacopo Merizzi e Antonio
Boscacci hanno chiuso alla grande quel Nuovo
Mattino di cui sono stati protagonisti in Valle di Mello, fatto di ricerca
e avventura. Oggi la si ripete anche in libera ma “Il paradiso” resta una
scalata assolutamente avventurosa e selvaggia dove ci si deve adattare alla
parete, alle sue regole e non c’è nulla di preconfezionato.
Poi si deve segnare il passaggio della meteora Tarcisio
Fazzini, un fuoriclasse indiscusso. Con “Pejonasa wall” e “La spada nella
roccia” (1989), vie ancora oggi temute e di riferimento, ha spinto a fondo il
piede sull’acceleratore delle difficoltà. Con Fazzini possiamo parlare di
arrampicata moderna in cui viene introdotto l’uso sistematico dei friends e
dove compaiono i primi spit, usati con parsimonia per proteggersi sulle
placche.
Sempre nel 1989 inizia l’era di Paolo Vitali e Sonja
Brambati, la loro prima via “Transqualidiana”, ancora oggi pochissimo ripetuta,
è una pietra miliare, dove Paolo ha snobbato sistematicamente i sistemi di fessure
e si è avventurato sulle placche aperte, usando pochi spit e spingendo
l’arrampicata libera. Numerose sono le vie aperte dalla coppia, tutte
caratterizzate da sezioni in placca raccordate da logiche linee di fessure.
“Artemisia” (1991), ”Galactica”(1992) e “Melat” (1993) sono forse le più belle
e sicuramente tra le più ripetute.
Sempre nel 1989 Gianni e Paolo Covelli, Silvio Fieschi e
Fabio Spatola con la via “Mellodramma”, una grande linea in artificiale, danno
un contributo alla storia alpinistica della parete. Altro momento significativo
per la parete è quello legato alle vie aperte da Stefano Pizzagalli e Domenico Soldarini.
Nel 1992 i due compiono un grande viaggio in perfetto stile big-wall,
bivaccando in parete, e nasce così “Vertical Holidays”.
Poi c’è stato l’avvento dell’arrampicata libera con
l’attività degli sloveni capitanati da Igor Koller e quindi di Simone. Si
ripetono vecchie vie in artificiale cercando di salirle completamente in
libera, si aprono nuove vie e si concatenano sezioni di vie differenti, sempre
con l’ottica di salire in sola arrampicata libera. Gli sloveni iniziano nel
1995 con la prima libera de “Il paradiso” e nel 1996 aprono e liberano una
breve via “Forse si, forse no” un piccolo cameo di sole tre lunghezze ma che,
con il suo grado 8b, è la via più dura della parete. Nel 1999 Simone e Marco
Vago si aggiudicano la prima libera de “La spada nella roccia” e sempre Simone,
con Alberto Marazzi, salgono una bella e dura combinazione di 15 tiri che
battezzano “Black snake”. Nel 2004 sempre Simone corona un sogno che insegue da
tempo. La nuova linea è la combinazione di “Forse si, forse no” continuando
sopra sino a raccordarsi ai tiri in artificiale di “Mellodramma” e finiere
quindi su “Melat”. Dopo giorni e giorni passati in parete, a provare i singoli
tiri, dopo 15 giorni di tentativi riesce a salire in tre giorni tutta la via
completamente in libera. Nasce così “Joy Divisions” che, con i suoi 20 tiri e
difficoltà sostenute sino al 8a, è la via di stampo moderno più dura di tutta
la parete e probabilmente di tutta Europa e che ben figura anche a fianco delle
vie moderne in libera di El Capitan, la mitica parete dello Yosemite in
California.
Pubblicato su "OROBIE" - settembre 2014
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