Öløppøf è l’altra Foppolo, ma oltre
Foppolo e Öløppøf, nelle brevi giornate d’inverno, c’è un mondo fatto di ombre e polvere.
Il Monte Toro e il Corno Stella si ergono come pilastri angolari di una lunga
muraglia, oltre la quale i raggi del sole non sfiorano per nulla intere distese immacolate o giungono radenti, riverberando sul
bianco dei cristalli. Un regno
candido e silenzioso che scende a sfumare nelle foreste di valli solitarie. La
Val Madre, la Val Cervia e la Valle del Livrio raramente vengono risalite dal
solco valtellinese. D’inverno l’accesso più “comodo” è dal versante bergamasco
e Foppolo, con i suoi 1600 metri di quota, garantisce sempre una partenza con gli sci ai
piedi, ma ad una condizione, che si sia disposti a fare un poco di fatica e che
non si sia allergici ai cambi pelle.
Domenica sapevamo che lì avremmo potuto trovare neve polverosa e, certamente, ancora qualche pendio in attesa della prima traccia. Così è stato. Porta d’ingresso speciale a questo regno è la vetta del Toro.
Insieme a Dan risalgo le vecchie piste, quindi lo spallone e la cresta sud. Dalla cima un pendio ripido e baciato dalla luce del mattino si inabissa a nord est, verso la Val Cervia. Purtroppo ci sono già alcune tracce, ma lo spazio non manca per lasciare il proprio ricamo. Chiudo gli attacchi dello snowboard e mi getto all’inseguimento del compagno goloso, che si è già pappato mezza discesa. Lo raggiungo e proseguiamo veloci sino al fondovalle. Ci voltiamo soddisfatti a guardare verso la cima del Toro. Una manciata di minuti per la discesa e due ore di salita, ne valeva la pena. Inutile aggiungere altro se non il ricordo del suono frusciante della neve sollevata dal nostro passaggio e quella sensazione di leggerezza che ti prende e ti solleva ad ogni curva, annullando ogni fatica. Ad ovest si impenna il versante che culmina nelle creste tra il Corno Stella e la Cima Tonale. Pendii ripidi articolati in costole e stretti canali devono essere decifrati per scegliere la linea di salita più sicura. Sul ripido la neve ha già scaricato, puntiamo al passo del Tonale. Abbandoniamo la nostra isola di sole e vanziamo nell’ombra. Con infinite inversioni guadagnamo quota, cucendo sul tessuto algido uno ziz-zag che sembra non finire mai, sino a sbucare nel sole e al Passo del Tonale. La Valle del Livrio si apre ai nostri piedi e lì nessuna traccia d’uomo ha lasciato alcun segno.
Domenica sapevamo che lì avremmo potuto trovare neve polverosa e, certamente, ancora qualche pendio in attesa della prima traccia. Così è stato. Porta d’ingresso speciale a questo regno è la vetta del Toro.
Insieme a Dan risalgo le vecchie piste, quindi lo spallone e la cresta sud. Dalla cima un pendio ripido e baciato dalla luce del mattino si inabissa a nord est, verso la Val Cervia. Purtroppo ci sono già alcune tracce, ma lo spazio non manca per lasciare il proprio ricamo. Chiudo gli attacchi dello snowboard e mi getto all’inseguimento del compagno goloso, che si è già pappato mezza discesa. Lo raggiungo e proseguiamo veloci sino al fondovalle. Ci voltiamo soddisfatti a guardare verso la cima del Toro. Una manciata di minuti per la discesa e due ore di salita, ne valeva la pena. Inutile aggiungere altro se non il ricordo del suono frusciante della neve sollevata dal nostro passaggio e quella sensazione di leggerezza che ti prende e ti solleva ad ogni curva, annullando ogni fatica. Ad ovest si impenna il versante che culmina nelle creste tra il Corno Stella e la Cima Tonale. Pendii ripidi articolati in costole e stretti canali devono essere decifrati per scegliere la linea di salita più sicura. Sul ripido la neve ha già scaricato, puntiamo al passo del Tonale. Abbandoniamo la nostra isola di sole e vanziamo nell’ombra. Con infinite inversioni guadagnamo quota, cucendo sul tessuto algido uno ziz-zag che sembra non finire mai, sino a sbucare nel sole e al Passo del Tonale. La Valle del Livrio si apre ai nostri piedi e lì nessuna traccia d’uomo ha lasciato alcun segno.
La pala innevata del Monte Toro |
Le baite di Val Cervia |
La Cima Tonale |
Daniele continuerebbe ma io inizio ad essere stanco e ci attende ancora una
risalita sino al Passo e alla Cima di Valcervia, da dove rientreremo a Foppolo.
Decidiamo di scendere. Quando ti affacci su un versante, dove l’unico segno è
la cucitura lasciata dai tuoi sci durante la salita, senti sempre una buona
vibrazione. Perché sai che a neve è bella e sicura, perché hai già scovato i luoghi migliori dove lasciare il tuo ricamo, perché non vedi il
momento in cui ti farai risucchiare dalla gravità. Partiamo. Anche qui nessuna
sosta, ognuno interpreta le forme della montagna con la sua danza, senza perdersi di vista e curandosi l'un dell'altro reciprocamente.
Gli sci di Daniele scodinzolano insaziabili in lunghe serpentine mentre la mia tavola
fluttua in ampie curve voraci. Due tracce che giocano tra loro, sfiorandosi e
srotolandosi in una continua rincorsa verso valle. Sbuchiamo al sole, presso la
cascina di Val Cervia. Cambio attrezzo e si riparte. Salgo lento e regolare,
Daniele è più veloce fa pure in tempo ad arrivare al passo e godersi un’altra
discesa. Mi viene incontro, lo vedo sfrecciare nell’ombra, sollevando sbuffi di neve. Un poco lo
invidio, sarebbe bello seguirlo, ma non ce la farei mai a risalire un’altra
volta. Prima di giungere sulla Cima di Valcervia mi raggiunge di nuovo. Laggiù, oltre
il crinale sinuoso, che scende al Montebello, c’è Foppolo con le sue piste e i
suoi caroselli, gli sciatori ed il chiasso. Alle nostre spalle un giardino
incantato dove ben presto torneremo a giocare, Oltre Öløppøf.
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