mercoledì 20 giugno 2012

L'AVVENTURA DIETRO CASA - Via "Patrizio Merelli"



Nel 1996 acquisto la prima guida di Versante Sud dedicata all’arrampicata nel Bergamasco e nel Bresciano. Subito dopo il capitolo dedicato al Pinnacolo di Maslana, da una paginetta fa capolino Pizzo della Corna, pilastro Nord, Via Patrizio Merelli. In due righe si liquida l’ora e mezza di avvicinamento ed uno schizzo è eloquente sulle difficoltà costantemente tra il VI e il VII grado con un passo di artif. La relazione, basata su informazioni di Mario Merelli – che ha salito la via con Angelo Todisco -  recita che l’itinerario è stato aperto il 17 maggio 1992 e le difficoltà sono di 6c e A1. Tutto ciò mi incuriosisce ed ogni volta che salgo verso il Pinnacolo di Maslana mi guardo il pilastro ed ogni volta che mi trovo a Lizzola provo ad immaginare dove sarà la traccia che conduce in questo luogo.
Ma il tempo passa ed il desiderio di andare a curiosare diminuisce. Qualche anno fa l’amico Luca Ruggeri mi parla di questo luogo e mi racconta di altre vie tracciate sul pilastro, dove lui era il compagno di Angelo. Poco dopo mi consegna un plico di fogli, preparati da Angelo, con tutte le info sul pilastro e sulle vie aperte.
La curiosità si riaccende, sulla parete est sono sei gli itinerari chiodati e la “Patrizio Merelli” dalla relazione non appare così dura, solo un tiro giunge al settimo grado. Passano le estati ed ogni volta mi riprometto di andare a fare una visita al Pizzo della Corna. Quest’anno Mario ci ha lasciati e quest’anno la via compie venti anni: è giunto il momento.
È da tempo che con Paolo ci ripromettiamo di legarci alla medesima corda, accetta il mio invito ed eccoci a Lizzola da dove inizia la nostra piccola avventura dietro casa, lontano dai soliti posti comodi. Partiamo lungo una mulattiera che taglia pianeggiante il prato sopra la partenza della seggiovia. Entriamo in un bosco e due tornanti ci fanno prendere quota. La mulattiera termina ed un sentiero sale in diagonale al cospetto di grossi blocchi e si perde tra la vegetazione rigogliosa. Inizia la navigazione a vista. Saliamo leggermente avvolti da un verde lussureggiante ed attraversiamo verso il bosco d’abeti e larici. Leggeri saliscendi lungo labili tracce si susseguono. Sarà la strada giusta? Alcune tacche incise sulla corteccia dei faggi fan presumere di si. La certezza di seguire il giusto cammino sopraggiunge quando nell’attraversare delle placche inclinate troviamo una corda fissa. Gli alberi a cui è fissata la stanno lentamente inglobando nel legno, vent’anni sono passati da quando Angelo ha fissato quelle corde ed il tempo e l’oblio tutto fagocita e macina. Proseguiamo, un’altra corda fissa ci aiuta a superare un canale, Il bosco a volte apre finestre fantastiche sull’alta valle Seriana e sul massiccio del Coca e Redorta.  La nostra parete fa capolino tra le chiome e giungiamo nel canale di valanga che dobbiamo risalire sino alla base del pilastro, tre risalti bloccano il cammino ma con facili scalate li superiamo. Il canalone si allarga e sulla destra si erge la struttura articolata della parete. Il luogo è decisamente selvaggio, chissà quante sono state le cordate che in vent’anni si sono ritrovate alla base di questa parete che è sotto gli occhi di tutti quelli che alzano lo sguardo dalla piazza di Valbondione. Penso a Mario, lui è lì tra le sue montagne, oggi ci accompagnerà lungo questa sua via.

PIZZO DELLA CORNA - Pilastro Nord - parete est
Sono sei le vie che percorrono la struttura, sulle placche sono stati utilizzati fix e spit, nelle fessure qualche raro chiodo, per il resto bisogna arrangiarsi con dadi e friends medio grandi. Artefice di tutto ciò è stato Angelo Todisco in compagnia di Luca Ruggeri, Nani Dario, Bosio Patrizio e Mario Merelli.
Via Patrizio Merelli
Angelo Todisco e Mario Merelli - 17 maaggio 1992
TD+; 250 m; diff. obbl. 6a; diff. max 6b+
Attacco: sulla verticale di uno strapiombo, su un muretto fessurato che poi diviene diedro aperto che conduce ad una cengia alberata.
L1 - 30 m 6a 1 ch 1 fix - sosta su pianta – corta fessura verticale, diedro fessurato verso sx, placca arrotondata verso sx
L2 - 30 m 6b+ 3 ch 4 fix - sosta su 2 ch e 1 golfaro – spostarsi a dx risalire il bordo sx di una sottile foglia di roccia, muretto verticale, fessure verso sx e poi placca a dx sino a prendere una fessura che solca su muro leggermente strapiombante, sostare sotto un tetto
L3 - 45 m 5b 4 fix 1 ch - sosta 1 ch 1 fix  - aggirare il tetto verso dx e risalire una placconata verso sx, con diedro finale e breve rampa erbosa

L4 - 45 m 6a 2 ch - sosta 1 golfaro – continuare su rampa erbosa e puntare ad una fessura lama da risalire integralmente, proseguire per un diedro e poi per due fessure parallele

L5 - 35 m 5a 1 fix - sosta 2 fix  - muretto verticale, placche e diedri verso sx, sino alla base di una fessura larga

L6 - 10 m 4b 1 fix - sosta 2 fix con catena – corto traverso a dx

L7 - 50 m 6a 1 ch 2 fix - ssosta due spit – spostarsi pochi metri a dx e salire il diedro, poi direttamente delle placche sino alla prima cengia erbosa

Discesa in doppia sulla via, abbiamo cambiato tutti i cordoni alle soste.

La scalata è simile a quella del pinnacolo anche se il pilastro è più articolato.

A me è piaciuta un sacco, ma io son vecchiaccio, ho dei gusti strani e non faccio testo.

Ringrazio Paolo per avermi accompagnato in questa avventura.

 

mercoledì 6 giugno 2012

PREMIO ALPINISTICO MARCO E SERGIO DALLA LONGA - IL VIDEO


Abbiamo atteso un attimo ed ora ecco il video della serata.
Un grazie ad Alberto Orlandi che ne ha curato la realizzazione.

Per avviare la visione clicca qui:IL VIDEO

mercoledì 30 maggio 2012

PICCOLE STORIE #1


“Per me scrivere è stato sempre cogliere,
dal tessuto fitto e complesso della vita qualche immagine,
dal rumore del mondo qualche nota e circondarla di silenzio”.
Lalla Romano

In silenzio
Andare per monti, sciare in neve fresca e scalare a volte può essere un atto creativo. Avere di fronte uno spazio aperto, una distesa innevata, una parete rocciosa stimola non solo una semplice azione fisica ed atletica ma lancia una sfida su come attraversare questi luoghi. Una sfida che implica delle scelte etiche ed estetiche. Posso lasciare una traccia, effimera o meno, del mio passaggio senza prevaricare l’elemento naturale? E se posso, quale traccia voglio lasciare? L’elemento naturale non è solo il palcoscenico del nostro agire, la natura ha i suoi diritti e merita rispetto. Dovremmo sempre muoverci con tutti i sensi aperti ed essere in grado di cogliere la complessità, attraversando gli spazi in punta di piedi pronti a cogliere un’immagine o un suono, da conservare, tenere per se o condividere.
Ho sempre pensato che solo raccontando le nostre storie, i nostri progetti, magari solo alcuni, si riesca a rendere vivo il nostro fare. Raccogliere e restituire questo materiale ci permette di fare migrare i ricordi e le intuizioni personali in una memoria condivisa e collettiva. Luoghi ed esperienze distanti tra loro, nello spazio e nel tempo, lentamente sedimentano per essere poi raccolti, vicini tra loro, in una narrazione corale. Mi piace immaginare che anche noi, numero dopo numero, nella nostra piccola realtà e con i nostri semplici mezzi si tenda, anche solo timidamente, verso il senso profondo della scrittura. È bello pensare che tra queste pagine ognuno di noi possa trovare immagini e note circondate di silenzio.
Buona Lettura


giovedì 19 aprile 2012

LA MEMORIA DEI LUOGHI - MONTE DI NESE 13 APRILE 1945

Da oltre 15 anni regolarmente, quasi tutte le settimane, passo da Monte di Nese. Di solito parto da casa, poco sotto, nella valle di Olera dietro il Monte Colletto. Nelle sere d’estate salgo lungo il nastro d’asfalto con la mia bici da strada, sotto la grande parrocchiale mi fermo alla fontanella, a prendere acqua, prima di iniziare la discesa. Nei pomeriggi d’inverno arrivo con la mountain bike, proseguo oltre la parrocchiale, con un occhio all’orologio del campanile vecchio, abbandono la strada e, nella luce della sera, per mulattiere e sentieri rientro a casa. Decine e decine di volte ci sono arrivato di corsa, con Daniele, nel vano tentativo di migliorare il tempo. A volte ci arrivo a piedi con la famiglia e gli amici, per andare a vedere la capre di Gianluca ed assaporare il suo buon formaggio. 
Per anni Monte Nese era solo questo: nuclei di antica formazione e cascine sparse sui prati, nuove case sparse, disordinate, frutto di un’edilizia a volte poco rispettosa dei luoghi e delle tradizioni. Il luogo resta comunque bello, mi piace attraversare i sui prati ed i suoi boschi sino sui crinali che collegano la Filaressa, al Cavallo, al Canto Basso e al Canto Alto. Il borgo e il nucleo del Castello sono un panoramico balcone affacciato sulla valle della Nesa e sulla pianura, a volte si scorgono gli Appennini. Questa era la mia memoria di quei luoghi e nulla sapevo delle memorie altrui. Finché un giorno un amico, Marco, mi parla di una strage e di una lapide posta nel cimitero di Monte di Nese. Devo sapere, la volta successiva sono solo e di corsa salgo sino alla parrocchiale, bevo alla solita fontana, e mi reco al cimitero, ecco la lapide: “A RICORDO DI 120 MONGOLI CADUTI PER MANO FASCISTA – 1945” 
Com’è possibile! Tante sono le storie che ho sentito raccontare percorrendo queste montagne eppure nessun cenno ai 120 morti del 13 aprile 1945. Una ricerca in rete mi da qualche informazione in più. Sul sito dell’ANPI di Alzano Lombardo, vi è un breve scritto in merito. Da allora ogni volta che passo da Monte di Nese, non posso non pensare a quanto successo e come la mia percezione di quei luoghi sia cambiata profondamente. Non sono più solo le mie memorie a determinarne il fascino e la bellezza, ma anche la memoria della storia, conservata su quei prati e tra i muri delle chiese e delle cascine. Memoria ora tramandata e che diventa parte integrante del mio pensare e lo sguardo muta.
120 persone sono state trucidate 12 giorni prima della liberazione. Perché, mi chiedo ogni volta. Primo Levi disse "Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario". 
Queste sono le “mie” montagne, quelle che abbracciano il mio paese, la mia casa. Devo sapere. Le memorie altrui, la memoria collettiva può aiutare per ricostruire la memoria dei luoghi e fare si che alcuni di questi diventino luoghi della memoria.
Nel 2010 Giulio mi regala un libro fresco di stampa “La diserzione – I “mongoli” nella Resistenza bergamasca e la strage di Monte di Nese” di Andrea Pioselli. Giulio non sa nulla delle mie corsa a Monte di Nese e di come sia cambiato il mio sguardo verso questi luoghi sospesi ai piedi del Monte Filaressa e Cavallo. Divoro il libro, il lavoro di Pioselli è notevole ed accurato, resto senza fiato nel leggere la testimonianza scritta di Severino Vitali, Parroco di Monte di Nese. Quel giorno lui era lì nella parrocchiale ed i suoi occhi hanno visto gli stessi luoghi i medesimi paesaggi che anche i miei vedono oggi , non sono praticamente mutati da allora. La sua memoria è ora una memoria collettiva consegnata a tutti, e sarà anche la mia memoria. 
Mi permetto di citare un breve tratto della testimonianza pubblicata. Don Severino così ricorda quanto accadde il 13 aprile 1945: 
“Ecco che si vede una colonna di Russi fatti prigionieri scendere al di sotto del Monte Cavallo. Li contiamo: sono 54; sono accompagnati da alcuni repubblicani e li conducono poco di sotto della chiesa e li fanno sedere in un prato. Un repubblicano grida: signor tenente abbiamo fatto buona caccia, via la … e come sono affamati questi repubblicani: si mettono a spogliarli dei portafogli, pastrani ecc. ma quando vediamo levare a una ventina le scarpe un dubbio atroce ci assale: li ammazzeranno? Mentre gli uni sono intenti a frugare in ogni tasca di quei disgraziati, gli altri appostano al di sotto una mitragliatrice. Li fanno alzare, alcuni obbediscono, con altri devono usare violenza. Con le mani nei capelli, con grida e pianti strazianti vengono spostati una cinquantina di metri e ridotti in poco spazio. Uno si inginocchia e con le mani giunte prega. Viene fatto alzare brutalmente. Quattro sgherri con il fucile spianato si portano ai lati della valletta presso il cimitero. Ad un segnale di un tenente che ha diretto da lontano tutto, parte una scarica di mitraglia e cadono gli uni sopra gli altri (benevolo lettore non augurarti di assistere a una scena di tanto terrore). Non tutti sono morti, anzi la maggior parte sono feriti (che grida!) ed allora vediamo la belva umana accanirsi sopra questi esseri con una volontà sì barbara e selvaggia che è impossibile descrivere. Vengono letteralmente maciullati con colpi di pallottole esplosive sparate a bruciapelo. E così per un’ora. Questo fu l’ultimo e più triste episodio di quel 13 fatale. Finalmente a gruppi isolati quei banditi se ne vanno.”  
Così continua la ricostruzione dello storico Andrea Pioselli: “Ci sono morti nelle case, isolati o a gruppi, ma purtroppo la maggior parte fucilati. Oltre ai 54 presso il cimitero ce ne sono 11 sparsi dal campanile alla chiesa fin verso il Ducchello, tutti fucilati: altrei 3 a Cà Ghirardi, caduti in combattimento, 18 sul Brugal divisi in tre gruppi, 10 sul Monte Cavallo, 2 uccisi in Cà Paterna, 1 in casa di Licini Egidio. Totale 99 a Monte di Nese. Ma poi ce ne sono ancora 5 sul versante di Poscante, 2 ad Olera, 8 condotti prigionieri alla Busa e poi fucilati.” - e continua – “l’incarico di dare sepoltura ai cadaveri (dopo ben otto giorni) fu affidato allo stradino Giovanni Gherardi.”
Dopo quella lettura, ogni volta che passo di corsa o in bicicletta sulle strade e sui sentieri, tra i prati ed i boschi del Monte di Nese, un pensiero va a loro, ai 120 mongoli uccisi per mano fascista.
Spero tanto che il sindaco rispetti al parola data nel Consiglio Comunale di Gennaio e dia una giusta collocazione alla lapide presente nel cimitero, sarebbe un piccolo gesto con un grande significato.

Per chiunque volesse approfondire la conoscenza di quanto accaduto consigliamo il prezioso lavoro di Andrea Pioselli “La diserzione – I “mongoli” nella Resistenza bergamasca e la strage di Monte di Nese” Istituto bergamasco per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea. ASSOCIAZIONE EDITORIALE: IL FILO D’ARIANNA

mercoledì 18 aprile 2012

REGINA DI CUORI

L’inverno è ormai alle nostre spalle e, domenica primo aprile, volgiamo le nostre attenzioni a sud, pregustando una scalata su pareti solari e calde, ma la Regina ci attende per uno scherzetto, insomma un bel “pesce d’aprile”. L’aria è frizzante e il sole risplende. Su un tappeto di crocus risaliamo i prati sino al Colle della Presolana, da dove entriamo in alta Val dei Mulini, ai piedi della Presolana di Castione. Oggi accompagno Fulvio a ripetere la via che ha chiodato lo scorso anno: Regia di Cuori. Ho già intuito, dalla relazione e dalle sue descrizioni, che per me sarà un bel viaggio da secondo di cordata. Giunti ai piedi della parete attendiamo che il sole la illumini ed inizi a riscaldarne le rocce. Parto sul primo tiro, il più facile, e già ho la conferma che i miei presentimenti erano esatti, chiodatura essenziale a chiodi e spit, con la possibilità di integrare con protezioni veloci. Quindi, giunto in sosta, cedo il passo a Fulvio e mi godo, da secondo di cordata, il secondo ed il terzo tiro. La scalata è superba, estetica e sostenuta, più si sale e più la roccia è compatta e solida, l’esposizione è spettacolare. Un buon utilizzo dei piedi è indispensabile e gli avambracci si gonfiano velocemente d’acido lattico, però il sole scalda la roccia ed un piacevole tepore pervade il corpo. È mezzogiorno e compaiono i primi cumuli, ben presto siamo avvolti nella nebbia. Siamo vestiti leggeri – che fessi! – la Regina si sta divertendo con noi. Dopo averci cullato sulle sue pareti nord durante l’inverno, ci vuole dimostrare che è lei che decide sempre e comunque. Con il freddo che ci entra nelle ossa continuiamo a salire. La nebbia a volte è così fitta che vedo solo pochi metri delle corde che spariscono sopra o sotto di me. L’itinerario resta comunque decisamente bello ed impegnativo, il quinto tiro è veramente spettacolare. Mi complimento con Fulvio per il piccolo gioiello che ha creato, e mi ripropongo di tornare al termine della stagione, con un buon allenamento, per provare a salire da primo di cordata almeno le lunghezze più facili. 
Per chi volesse provare la salita consiglio di avere un livello ben solido di arrampicata a vista attorno al 6c+ e sapersi muovere tranquillamente tra protezioni lontane e destreggiare con il posizionamento di nut e frend. Ora, in questa primavera capricciosa, la Presolana si è nuovamente ammantata di neve ma ben presto arriverà il sole e il caldo. Regina di Cuori vi attende, non fatevi sfuggire questa bella creazione di Fulvio.

La Relazione: Lo schema - La fotografia: in rosso Regina di Cuori, in blu En.Yu.Dan.Ce, in giallo Col senno di poi

lunedì 19 marzo 2012

DIVERTIRSI D'INVERNO - atto III - Presolana, parete nord, via Bosio


La parete Nord della Presolana Occidentale presenta uno scudo compatto che incombe sulla conca del Polzone. A destra è delimitato dall’elegante spigolo nord-ovest salito da Ettore Castiglioni il 19 ottobre del 1930, perché lo scudo venga affrontato nel suo cuore si devono attendere gli anni ’60 in cui due fortissimi alpinisti bergamaschi si unirono in cordata: lo scalvino Placido Piantoni ed il nembrese Carlo Nembrini. Nascono due arditissimi itinerari che esplorano i punti deboli della parete. Nel 1962, il 20 e 21 luglio, aprono la via BOSIO e nel 1967, il 29 e 30 settembre, la via MOCH. Per la precisione il primo itinerario aperto nel centro della parete è opera di Placido Piantoni in cordata con Pezzini, Conti e Giudici che nel 1959, dal 13 al 15 settembre, aprono la via LILION.
Sfumata la possibilità di accompagnare Daniele sulla Paco, la voglia di nord e di continuare a divertirsi in questo fine inverno, non mi abbandona. Domenica sopraggiungerà la perturbazione, già da sabato prevedono l’arrivo del fronte umido da sud-ovest. Il tempo per fare una salita si contrae e resta la sola giornata di sabato. Fulvio, con cui non ho mai scalato, accetta l’invito per una non stop dall’alba al tramonto, che da Colere ci porterà a salire la Bosio sino in vetta, per rendere omaggio alla Regina che in questo inverno ci ha regalato momenti unici.

Tu mi dicevi che la verità e la bellezza non fanno rumore.
Basta solo lasciarle salire, basta solo lasciarle entrare.
E' tempo di imparare a guardare.
E' tempo di ripulire il pensiero.
E' tempo di dominare il fuoco.
E' tempo di ascoltare davvero.
CRISTINA DONA’ “Settembre”

Che meravigliose sensazioni.
Salire avvolti nel buio e nel silenzio alla base della parete.
Sentirsi a casa e godere della nascita di un nuovo giorno.
Ritrovarsi soli nella verticalità della nord, con tutto quel vuoto a sostenerci.
Avere la mani fredde e di colpo percepire il sangue che arriva con potenza ed il piacevole dolore che ne segue, segnale che dopo riuscirai a sentire gli appigli e a scalare fluido.
Ascoltare l’intesa con Fulvio crescere e prendere forma, mentre ci alterniamo in testa alla cordata sino al cengione ed oltre.
Fermarsi felici sotto la croce di vetta e stringersi la mano come se da sempre avessimo scalato uniti dalla stessa corda.
Sentire la stanchezza e gustarsi la gioia, lungo la discesa verso sud sino alla Grotta dei Pagani e giù sino al Passo.
Voltarsi un’ultima volta verso il Regno di Presolana, drappeggiato di nubi che si colorano nella luce del tramonto e sentirsi in pace.

Tra due giorni, sul calendario, l’inverno passerà il testimone alla primavera. Nei boschi fuori casa i primi ciliegi iniziano a fiorire, come nuvole bianche spiccano tra gli alberi spogli. Oggi piove, fuori ormai è buio, e la Regina si starà vestendo d’un candido manto. Le porte del suo fatato regno si chiudono, mettendo fine a questa fantastica stagione in cui, per ben cinque volte, ha accolto i verticali vindanti.
LE IMMAGINI : PRESOLANA OCCIDENTALE, PARETE NORD, VIA BOSIO- 17 MARZO 2012

DIVERTIRSI D'INVERNO - atto II - Presolana, parete nord, via Paco

Venerdì 16 marzo alle ore 16 sono in ufficio e sto per chiudere la settimana lavorativa. Un trillo del cellulare mi segnala che è arrivato un sms, sblocco e aprò il messaggio: è di Daniele. Durante la giornata più volte ho pensato a lui. Il messaggio recita: “Paco c’è! Allenarsi!”. Sono troppo felice e immediatamente lo chiamo per complimentarmi. Facciamo però un passo indietro.
Ai primi del mese, con Daniele ed Ale, mi ero divertito parecchio. Quei due giorni passati sulla Direttissima hanno risvegliato prepotentemente la voglia di continuare il gioco sulla Nord. Daniele è in gran forma e nei giorni a seguire la meteo regge. I desideri diventano parole e  le parole si traducono in azione. Daniele si organizza per salire al rifugio Albani e tentare all’indomani di scalare la PACO, in giornata. Giovedì 15 e venerdì 16 sono i giorni fissati. Mi spiace ma non riesco ad accompagnarlo, in quello che per me sarebbe stato un bel viaggio sulle jumar. Chi si legherà con Daniele? In questo inverno un giovane alpinista bergamasco ha siglato, il 27 dicembre,  la prima invernale della via dei fratelli Dalla Longa sulla nord della Presolana Orientale e poi, il 25 e 26 febbraio, la seconda invernale della via GAN sulla nord della Presolana di Castione, il suo nome è Tito Arosio. Per la prima volta si legano alla stessa corda e venerdì 16 marzo portano a termine la prima invernale alla via PACO, festeggiando i 20 anni di questa linea chiodata da Simone, con un utilizzo ridottissimo di spit. Daniele percorre le lunghezze più dure completamente in libera. Per chi non conoscesse questa via, basti ricordare che il tiro chiave di 7b ha uno sviluppo di 35 metri ed è protetto da tre spit e due clessidre, il tiro successivo che è solo di 7a è ancora meno chiodato e andare a prendere il primo spit è un lungo viaggio. Dopo il quinto tiro cede a Tito il piacere di condurre la cordata. Le difficoltà diminuiscono e il numero delle protezioni non aumenta, si deve arrampicare sino al 6b+ con dei run-out da brivido. Giunti al cengione Bendotti, rientrano in doppia lungo la medesima linea.
Inutile aspettare un loro racconto ma al volo arrivano le foto.
GUSTATEVI LA PHOTOGALLERY: PRESOLANA OCCIDENTALE, PARETE NORD, VIA PACO - DANIELE NATALI E TITO AROSIO - 16 MARZO 2012