martedì 28 marzo 2017

37 #UNIMMAGINEDICEPIUDIMILLEPAROLE – Primavera

Sabato 25 ‎marzo ‎2017, ‏‎11:41:48 – Monte Tartano (Val Budria)


Oltre l’equinozio ci siamo avventurati. 
Una nuova primavera ci attende. 
Stagione di giornate calde e candide. 
Bianche di neve e di nubi, 
a contendersi i blu dei cieli. 
Ma ormai chi pensa più alla neve?
Mentre lei, ostinata neve di primavera, 

ancora copre i monti. 
Una neve preziosa, 
tessuto morbido a fasciare le forme della terra, 
come un abito aderente 
sul flessuoso corpo di una donna.

27 #PICCOLESTORIE - IO SONO CON TE

 “Io sono con te è un libro raro e necessario per molte ragioni: è la storia di un incontro e di un riconoscimento, di un calvario e una rinascita, la descrizione di un'Italia insieme inospitale e accoglientissima, politicamente inadeguata e piena di realtà e persone miracolose.”


Hai appena terminato di leggere un libro, un gran bel libro, una di quelle storie che si dovrebbero leggere per tanti e differenti motivi: “Io sono con te”. E pensare che ci sei arrivato per caso, come per caso le cose belle e brutte della vita ti vengono incontro e ti travolgono, per lasciarti in ogni caso trasformato, sentendo di avere qualcuno vicino o di essere vicino a qualcuno.
“Io sono con te”. Chiaro, lapidario, senza alcuna ombra di fraintendimento: “Io sono con te” Tieni il libro tra le mani e ne rileggi bene il titolo. Ne scandisci le parole a mezza voce, una per una: IO – SONO – CON – TE. Poi leggi il sottotitolo “Storia di Brigitte” e in una sera d’inverno, nella sala di un auditorium, ti abbandoni alle voci di Melania e di Giorgio. La porta si schiude e varchi la soglia, ti addentri nei meandri della storia. Ti lasci condurre per mano, dalle letture di Giorgio e dalle parole di Melania, nella complessità della relazione, nella bellezza della narrazione, senza preoccuparti di chi è con chi. Te ne stai seduto per terra sotto il palco, la sala è gremita, silenziosa nell’incanto dell’ascolto. E pensare che ci sei venuto per caso, a questa serata in cui Melania Mazzucco presenta il suo ultimo libro.
“Mauri! Cosa fai questa sera? – ti chiede Cris e continua – Io lavoro, abbiamo l’incontro con l’autore e la biblioteca è aperta. Dai vieni!” “Chi è l’autrice? – chiedi tu – Di che parla?” e lei ti da giusto due coordinate e chiude: “Non puoi non venire, mi manca qualcuno che faccia le foto!”
Eccoti lì seduto a terra, concentrato ad osservare i piedi di Giorgio e Melania e, mentre ascolti i loro dialoghi, ti chiedi: “Ma chi sta con chi?” e ti riprometti che questo libro lo leggerai.
Ecco, ora lo hai letto e sai che la storia di Brigitte come quella di mille altri migranti e richiedenti asilo ti resterà attaccata addosso e te la terrai ben stretta perché è anche un pezzo della nostra storia e un poco anche della tua. Sul risvolto di copertina è scritto “Io sono con te è un libro raro e necessario per molte ragioni: è la storia di un incontro e di un riconoscimento, di un calvario e una rinascita, la descrizione di un'Italia insieme inospitale e accoglientissima, politicamente inadeguata e piena di realtà e persone miracolose.”

Incontro con Melania Mazzucco - Festival Presente Prossimo - Un racconto per immagini:https://goo.gl/YCRjH8

martedì 14 marzo 2017

36 #UNIMMAGINEDICEPIUDIMILLEPAROLE - Euphoria


Sabato 11 ‎marzo ‎2017, ‏‎14:25:06 – Cima di Lemma (Valle Brembana)

“La solitudine dava un senso di libertà, di euforia.
Il cielo era così vicino e il resto così distante,
che ne furono inebriati e si misero a saltellare nel tramonto.”
Richard Adams – La collina dei conigli


Solo. Mi siedo sull’ultima cima raggiunta. Lo zaino è aperto, appoggiato nella neve. Ne sbucano le pelli di foca appena riposte. Gli sci e i bastoncini sono lì, a fianco, pronti per la discesa. Osservo i monti che si dispiegano tutt’attorno in ogni direzione. Un mondo in bianco e nero soverchiato dai blu scintillanti dei cieli. Centellino le ultime gocce di the spillate dalla thermos, la borraccia d’acqua è ormai vuota da tempo. Percorro con lo sguardo ed il pensiero le valli, i colli e le cime che ho sfiorato in queste ore luminose, lievitate tra l’alba e questo preciso istante. Ora, mentre mi abbandono nel candore dei monti e il soffio freddo del vento mi fa chiudere la zip della giacca, so di avere trovato l’esatta parola. La parola che, già dai primi passi mossi al sorgere del giorno, cercavo.
Mentre il tempo scorre e il sole rotola nel cielo una sensazione di benessere ed equilibrio si è fatta inesorabilmente spazio tra corpo e mente. Uno strano stato d’animo tutto da decifrare, che cresce e prende forma. Tutto contribuisce e ogni accadimento acquisisce un senso. La bellezza dei luoghi. Il piacere di percepire il corpo in movimento. Il suono della neve sotto gli sci. L’incontro con l’elegante corsa di un branco di camosci. Le soste presso baite sepolte nella neve. I rari incontri con altri sciatori. Lo sfavillio dei giochi di luce tra i rami della fitta abetaia. La solitudine. La fatica che cresce mentre i panorami si fanno sempre più ampi. La gioia tra i larici che diviene traccia in neve profonda.
Emozioni e immagini che si avvicendano e si rincorrono, amplificandosi. Nutrimenti preziosi e inebrianti di cui gelosamente mi prendo cura. Le voci di due ragazzi mi riscuotono dai pensieri, ci salutiamo e li osservo mentre si allontano lungo la cresta. Li osservo a lungo, mentre mi preparo, sino a quando non spariscono sul versante opposto. Eccomi pronto. La discesa mi attende, il pendio è intonso, la neve è perfetta, ammorbidita quanto basta dai raggi del sole. Salto la cornice e le curve si disegnano con naturalezza. Non c’è fatica, c’è solo il piacere di assecondare la gravità. Alla base del pendio mi fermo e mi volto ad osservare la traccia, e ciò che vedo è una parola: Euphoria.

sabato 4 marzo 2017

26 #PICCOLESTORIE - Péch e pala. Intàt che te pàrlet, fà 'ndà i mà!

"Prendersi cura dei luoghi per prendersi cura di se stessi"
I veci (foto S. Codazzi)
“Mauri! Intàt che te pàrlet, fà 'ndà i mà!” così mi diceva la mamma mentre da piccino la aiutavo nell’orto. Mi piace chiacchierare con gli amici e, sarà che l’educazione materna ha sortito i suoi effetti, apprezzo particolarmente se, mentre si parla, si fanno andare mani e piedi. Non per forza correndo o scalando ma anche prendendosi cura delle cose e dei luoghi che ci stanno attorno, magari armeggiando con “Péch e pala”.
L’altro giorno su invito di Stefano e Sandro per un’intera giornata ci siamo ritrovarti in Valgua per prenderci cura della falesia storica della valle, dove sono passati tutti, ma proprio tutti, prima di spostarsi negli altri settori. Alzi la mano chi non ha fatto almeno un giro su “Donald Duck” o su “Boletus”.
Generalmente ci piace parlare della storia dell’alpinismo e delle grandi imprese, di quella via difficilissima mai ripetuta o che conta la salita solo di qualche big. Oppure ci si meraviglia e si commenta la news in merito al tiro più duro mai scalato al mondo e di come sia forte Tizio o Caio. E mentre rimastichiamo la storia e le notizie del mondo verticale, forse nemmeno ci siamo mai chiesti qual è la piccola storia della falesia in cui scaliamo d’abitudine o dove arriviamo casualmente. Magari ci lamentiamo pure per il sentiero d’accesso scivoloso o la base scomoda, per non parlare di quello spit o troppo alto o troppo basso, o di quella catena un poco vecchiotta e via dicendo. Di solito facciamo ciò senza nemmeno renderci conto del gran lavoro e della passione messa in gioco per creare, ripulire, attrezzare il luogo in cui arrampiachiamo. Facciamo fatica a pensare che tutto ciò non nasce dal nulla ma ci sono mani, volti e nomi che hanno messo e mettono giornate di lavoro per creare questi meravigliosi “giocattoli” a disposizione di tutti. Chissà quanti climber giunti a Minolandia si saranno lamentati di questo o di quello. Appuntare ciò che c’è da sistemare in una falesia e su una via è sacrosanto e non si discute, ma poi è anche una buona cosa dare il proprio contributo anche solo con “Péch e pala, e intàt che te pàrlet, fà 'ndà i mà!”
Così ci siamo ritrovati e durante la giornata, tra una badilata e un colpo di piccone, le parole fluiscono e piccole storie prendono forma. Sembra incredibile ma a Minolandia ci andiamo a scalare da quasi trent’anni.
MINOLANDIA 1988-2017. All’inizio fu Mino Manenti che tra l’88 e ’89 incominciò a pulire alla base e in parete, chiodando ciò che diverrà il meraviglioso scudo della Terra di Mino: Minolandia. Trent’anni fa gli spit erano artigianali e vennero messi a mano, altro che trapano! Non vi dico le soste, tanta roba rigorosamente artigianale. A pensarci oggi pare preistoria ma ai tempi era il non plus ultra. Se poi ci mettiamo l’avvicinamento breve e la vicinanza a Bergamo fu da subito molto frequentata, soprattutto nelle serate estive dopo il lavoro. Ai tempi furono chiodate anche tre brevi linee sulla placchetta posta in basso a sinistra: “Qui”, “Quo” e “Qua” e pure altre tre viette sul torrioncino staccato posto ancora più a sinistra. Proprio da questa zona saliva il sentiero d’accesso a Minolandia.
Nel 1999 entra in scena il gruppo ClimBerg capitanato da Stefano assistito dal prode Sandrino e dal tecnico Fabrizio, circondati da alcuni amici sempre pronti a lavorare per la causa verticale. In quell’anno in tutta la valle di Valgua fù un gran fermento, si fa una colletta tra i climber, il CAI d’Albino da il suo contributo. Nella lista delle cose da fare c’è prima di tutto la richiodatura di Minolandia. Tutti i tiri vengono richiodati con resinati e le soste sostituite con soste resinate a norma. Si aggiungono ulteriori quattro tiri: “Valguamania”,“Vento solare”, “Rovescio d’occasione” e “Prendi il Fossile”. Si sistema un poco anche la base della parete. Da quell’anno inizia la grande frequentazione di questa falesia e anche degli altri settori sparsi tra i boschi di Valgua.
Nell’inverno 2004-2005 un crollo investe la placchetta di “Qui” “Quo” “Qua” e il sentiero d’ingresso. Prontamente si schiodano le tre viette e pure quelle sul pilastrino, si abbandona il sentiero e se ne traccia uno nuovo, quello attuale.
I bocia con il Boss (foto S. Codazzi)
11 febbraio 2017 - Da tempo se ne parla, di mettere mano alla cengia basale di Minolandia. Stefano ha lanciato l’appello e alla fine: i più “veci” si sono presentati al mattino mentre i giovinastri si sono fatti vivi nel pomeriggio. Tutti insieme abbiamo fatto un bel lavoro e ognuno se nè tornato a casa soddisfatto perché “Col péch e pala, intàt che ma pàrlat, toc an’ma fàc 'indà i mà!”
E quando torneremo a scalare nelle Terre di Mino, o in qualsiasi altra falesia, lo faremo con maggiore consapevolezza, con più soddisfazione e magari lamentandoci di meno.
Un grazie particolare alla Climbing Technology, al CAI di Albino, al GAN di Nembro e a tutti coloro che hanno contribuito alla colletta per l’acquisto del materiale.

E non mancate al prossimo appuntamento, i lavori continuano.

giovedì 2 marzo 2017

5 #APPUNTI - D'incanto

D’INCANTO
D’incanto, aprire uno scrigno.
Stupore nel coglierne i tesori.
Gioielli tra luce ed ombra
Tra i monti si celano.
Le nevi, misteriosi doni.
Perfezioni di forme
Cesellate da mani sapienti.
È possibile, tanta bellezza?
- giovedì 2 marzo 2017 – #appunti