giovedì 20 febbraio 2014

PICCOLE STORIE #9

Monte Vaccaro – sabato 8 febbraio 2014 – 08:36:42



scrutare quelle emozioni che le parole dicono, ma non raggiungono …
…l’aria, quell’incerta natura dissolta tra respiro e orizzonte,
che abbraccia e accompagna qualsiasi cammino 
(Angelo Andreotti “La faretra di Zenone”)


Ormai ne sono convinto “Un’immagine dice più di mille parole”, ma se le parole fossero usate come immagini cosa succederebbe? Come in un gioco di specchi si moltiplicherebbero in riflessi infiniti. Parole usate non per descrivere immagini ma per ampliarne la percezione in un caleidoscopio di emozioni travolgenti, in un rimando di continue evocazioni. Ci sono luoghi e attimi in cui una linea netta non taglia, ma unisce in un margine mondi e realtà solo all’apparenza differenti, che inaspettatamente si confrontano dialogando tra loro. Spazi lontani che, se osservati da prospettive privilegiate, d’improvviso si uniscono. L’uno prende forza e vigore dall’altro, senza l’uno, l’altro non avrebbe ragione di esistere.
D’inverno salgo spesso questa montagna e sino dalla prima volta mi ha colpito la visuale insolita che da qui si coglie. Guardando a est, nell’aria tersa del mattino, lo sguardo precipita immediatamente oltre il profilo del pendio sino a fermarsi, mille metri più in basso, nelle forme dell’altopiano. Di solito si è circondati da crinali digradanti, che si alternano e si susseguono come quinte di un palcoscenico, sfumando nei toni del grigio e del violetto, come a volere mettere una maggiore distanza tra la frenesia del vivere e le pause di quiete vissute tra i monti.
Anche oggi sono fuggito dagli impegni e mi sono preso il mio tempo per tornare proprio qui e cercare questo orizzonte, in cui la quotidianità del vivere si fonde con eleganza alla pulsione verso la ricerca di spazi di solitudine e libertà. Sono partito all’alba e i miei scarponi hanno calpestato pietre di una strada antica. Alla chiesetta, su croste di neve, calzo gli sci e salgo tra baite e roccoli, sino a incontrare la neve caduta nella notte. Nel bosco ammantato di bianco incrocio i primi raggi del sole e proseguo nel freddo degli ampi pascoli, dove sprofondo nella neve fresca sino alle ginocchia. Nel candido silenzio salgo e ascolto il suono della neve, sul ritmo del respiro e il battere del cuore. Mi volto ad oriente, mi fermo. La linea è lì, davanti ai miei occhi, ecco l’immagine che cercavo. Oltre un bordo immacolato, punteggiato da abeti dormienti, appaiono prati verdi segnati dalle traiettorie di strade e filari, dai volumi di case e capannoni. Immobile ascolto sino a percepire i rumori che salgono dall’altopiano, dei luoghi dove si vive, si studia e si lavora, dove ci si riposa, ci si incontra e si crea. In apparenza quel mondo sostiene questo mondo, ma da quassù le prospettive si rovesciano e per un attimo ne sono certo. È questo mondo, fatto di silenzi e montagne, che sostiene il mondo del nostro agire quotidiano e che da qui trae forza e senso.
Entrambi mi appaiono volti diversi del medesimo vivere. Con lo sguardo incollato a questa linea, riprendo il cammino e mentre i pensieri si acquietano, la musica della neve torna prepotente.

Scarica il PDF - Le alpi orobiche n 87 - marzo 2014

domenica 16 febbraio 2014

#2 UN'IMMAGINE DICE PIU' DI MILLE PAROLE



#2 UN'IMMAGINE DICE PIU' DI MILLE PAROLE

Venerdì 14 febbraio - ore 07:57:26 - Malga Cassinelli

Ha nevicato, ieri nel pomeriggio e quasi tutta la notte, c'è energia nell'aria, con chiarezza la percepisco. Al risveglio la luna, quasi colma, non è ancora scesa oltre il crinale della Forcella. Dalla finestrella del bagno, la sua luce si sparge in una pozza sul pavimento, increspandosi tra le venature del legno. Devo andare. Ascolto il richiamo, lo seguo nel buio e mi ritrovo al Passo. Inizio a salire con quell'emozione che vibra sommessa da qualche parte del mio corpo, forse nelle gambe, forse. Un vento teso fa correre migliaia di cristalli sul manto candido, intonso. Sopra di me il cielo è terso ma una fascia di nubi, a levante, copre l’orizzonte. È l’alba, per un istante tutto si accende per spegnersi in un lucore senza profondità. Salgo nei prati e nel bosco. La traccia nasce dietro i miei sci. Alla Malga ne ho la conferma, nessuno è davanti. Una parte di me esulta sommessa, forse i muscoli. La Valle dell’Ombra è una tela tutta per me, dove mettere in gioco il mio senso estetico, le mie gambe e il mio fiato. Immagino già il segno nella neve profonda che, se ben eseguito, diverrà il binario entro cui oggi in molti saliranno alle Corzene. Ho un’ora di tempo, prima che debba scendere, un’ora in cui cercare di fare le cose al meglio, per poi cavalcare quelle bianche onde con la mia tavola. per reimmergermi negli impegni quotidiani. Mentre riparto, da uno squarcio tra le nubi, un fascio di luce si proietta con prepotenza attraverso lo spazio, sino a quando non trova un ostacolo sulla sua strada. Impreziosite da candidi arabeschi, si accendono nella luce del mattino, le bastionate della Regina.

lunedì 10 febbraio 2014

FARE LA TRACCIA



Fare la traccia, la prima traccia dopo una nevicata, è una di quelle cose che non hanno prezzo, che non hanno valore, che non possono essere vendute o comperate e proprio per questo preziosissime. Non scambierei per nulla al mondo l’opportunità di fare la prima traccia dopo una nevicata. È come avere davanti un foglio bianco prima di iniziare a scrivere, una tela vergine primi di iniziare a dipingere, un blocco di marmo prima di iniziare a scolpire, ma fare la traccia non è un arte in senso stretto. Per spiegarmi meglio direi che è si un atto creativo ma che si consuma dopo il tuo passaggio e in pochissimo tempo il segno bianco nel bianco svanirà, nel groviglio di altre tracce o cancellato dalla neve, dal sole o dal vento. Non si se mi spiego con queste metafore che scomodano scrittori, pittori e scultori, scomodando concetti dove arte. eternità ed effimero si incrociano. Quindi provo a ripartire in modo più semplice, spero.
Fare la traccia, la prima traccia dopo una nevicata, mi rende felice come quando da bambino, tornato da scuola, andavo a slittare nel prato sotto casa e rientravo solo quando era già buio e i lampioni della piazza erano già accesi da tempo. Così mi sento, felice come allora.

Ora immaginatevi che la pioggia, che vedete scendere oltre i vetri di casa, poco più in alto si tramuta in neve. Immaginatevi la vostra montagna, quella vicino a casa, quella che è sempre sicura anche con metri di neve, proprio lei si sta preparando per voi. Immaginatevi di svegliarvi ancora nel buio della notte e fuori scorgere solo stelle e stelle in un cielo terso. Lo avete immaginato? Bene!
Lo zaino e la tavola sono già pronti, perché avevate avuto un presentimento. Quindi fate colazione ed è impossibile non sentire che qualcosa vi attira fuori nel freddo della notte, vi fa salire nell’auto che si avvia e risale la valle, tra le vostre montagne.
Ora basta immaginare. Apro l’auto e affondo i piedi nello strato di neve fresca, che sento crocchiare sotto le suole. Non fa particolarmente freddo e non c’è neppure vento. L’aurora è una manciata di secondi di pura magia e mi ritrovo al colle.  Un tuffo al cuore, trattengo il fiato,  c’è già un auto nel parcheggio e una traccia calcata da tre persone che risale il pendio e sparisce nel bosco.  Per un attimo penso che la prima traccia non sarà mia e mi avvio un poco mogio nel solco, ma nel bosco mi accorgo che quella traccia prosegue sulla stradina, verso le piste. Senza esitazione al primo tornante tiro dritto e sorrido nel sentire la neve fresca cedere con un gemito delicato sotto i miei sci, Mi incanto nell’osservare le spatole che affondano ritmicamente nella soffice coltre. Inizia così il gioco e già vedo il ricamo sinuoso che lascerò tra gli abeti carichi di neve, adattandomi alle pendenze e alle forme, accarezzandole con  delicatezza, evitando gli ostacoli con armonia, senza strappi e con scorrevolezza. Ad ogni inversione con la coda dell’occhio osservo il segno del mio passaggio e lo percepisco come un dialogo tra il mio incedere e la terra, un gioco di rimandi, un sommesso sussurrare. Allora me ne sto ancora più zitto e apro ancora di più i sensi, perché nessun sussurro, profumo, gusto, immagine, anche solo accennato, mi possa sfuggire. Il bosco si dirada e i panorami si spalancano davanti a me. Le forme si fanno più morbide e le traiettorie intraprese ancor più sinuose. A volte mi soffermo e osservo, e non posso fare a meno di cogliere una delicata sensualità in quelle forme e quei ricami, dove solo le tonalità infinite del bianco danno colore e profondità, in un inafferrabile gioco d’ombre. Il sole, che ha già inondato le montagne oltre il colle, inizia a lambire la tela su cui mi muovo, tutto brilla, tutto cambia, tutto si accende e tutti si spegne. Osservo in lontananza la traccia che ho lasciato laggiù, fluttuando tra gli ultimi abeti. Attendo che la luce la raggiunga e soddisfatto scorgo qualcuno sopraggiungere lungo il mio ricamo, che ora intuisco essere punto d’unione di un discreto agire e la madre terra. Riparto, davanti a me è tutto un luccichio, la neve fruscia all’avanzare degli sci e so già esattamente dove lascerò la mia traccia, quale disegno e forme avrà, per giungere sul crinale e da li alla cima. Poi mi aspetterà la discesa, ma questa è un’altra storia, un’altra traccia.


 

domenica 9 febbraio 2014

#1 - UN’IMMAGINE DICE PIÙ DI MILLE PAROLE



“Un’immagine dice più di mille parole” Mi ricorda spesso un amico. Lui ha ragione, lui ha dannatamente ragione, ma io non resisto, a volte ci provo, ma alla fine non resisto e scrivo. Ora, se lascio parlare l’immagine, chi la guarda è assolutamente libero di sognare, di emozionarsi, di lasciarsi trasportare in un suo mondo di visoni, significati e sensi. Però quell’immagine l’ho colta con i miei occhi, prima ancora di fissarla con un clik, cercando di catturare in qualche milione di pixel l’emozione di un istante. Già con questa scelta ho raccontato qualcosa, cogliendo un dettaglio dell’immenso panorama che mi circonda. Ciò potrebbe bastare, proprio perché non sarebbero sufficienti mille parole per esprimere i contenuti dell’immagine, visibili o solo evocati. Ma ciò non mi basta e per ogni clik, che di per se è una storia, si potrebbe raccontare  un’altra storia: di quello che c’è attorno, di quello che c’era prima e che ci sarà dopo. Una narrazione articolata in cui, alle mille parole dette dall’immagine, aggiungere qualche centinaio di parole scritte, come se si desiderasse creare una cornice degna della tela contenuta.

Ora, qui, sono sufficienti una manciata di parole. Per l’esattezza bastano solo delle coordinate temporali e geografiche, accompagnate da poche e semplici frasi.



“06/02/2014 - 08:07  - Presolana Centrale dal Vareno -

Ha nevicato tutta notte, ma il risveglio è accolto da un cielo stellato. Tutto è pronto e parto verso il colle. Spengo il motore, esco nel silenzio, mi incammino mentre la notte si scioglie nelle luci dell’alba. Tutto è bianco, tutto è intonso, come ogni volta mi emoziono per l’onore concessomi di fare una nuova traccia. Il sole sorge, la luce avvolge la Regina sontuosamente ornata. Salgo nell’ombra del versante, mi insinuo nel ricco silenzio del bosco, godendo della fatica e di ogni meraviglia che mi circonda. Sinuosa la traccia si srotola alle mie spalle, mentre davanti una distesa di cristalli lambiti dai primi raggi di sole, si accende di mille riflessi. Alzo lo sguardo, oltre il crinale e le abetaie, lasciandomi cogliere dallo stupore, come se fosse ogni volta la prima volta. Abeti incappucciati di bianco si fondono e lasciano spazio a guglie di candida glassa. Poi mi riprendo e penso che è proprio per questo che torno tra i monti, per essere ogni volta  sopraffatto dalla meraviglia.”