domenica 27 gennaio 2013

OLTRE IL VISOLO ... LE CORZENE



La sveglia suona. Quatto quatto mi sfilo da sotto il piumone, esco dalla camera e chiudo la porta. Una pozzanghera di luce si spande sul pavimento del bagno, mi affaccio, la luna fra poco calerà oltre la Forcella di Sorisole, non c’è una nuvola in cielo. Zitto zitto, me ne vado in cucina, non vorrei disturbare il sonno della famiglia, chiudo la porta ed accendo la luce. Tutto è pronto, lo zaino, gli sci e gli scarponi sono vicino alla porta, il bollitore del the e la moka del caffè sono già sul gas, accedo i fornelli e mi vesto. Il profumo del caffè si spande nell’aria ed il bollitore inizia a fischiare, colazione. Riempio il thermos e lo ripongo nello zaino. Infilo la giacca, zaino in spalla, spengo la luce e chiudo la porta dietro di me. Sci e scarponi in mano. Esco nel freddo del mattino, tra dieci minuti ho appuntamento con Marco. Ci siamo accordati per un giro con sci e pelli in Presolana. Finalmente la neve è arrivata e la voglia, nei giorno scorsi, è salita lentamente, ora il desiderio di sciare è impellente. Oggi voglio sciare sino a quando le batterie non saranno scariche, sino a quando non sarò in riserva sparata. C’è anche Michele con noi. Siamo al Passo della Presolana.

Nelle luci dell’alba partiamo e puntiamo alla cima del Visolo, il pendio è completamente arato, il sole ha già trasformato la neve, inizio a pensare che non sarà una grande sciata. Oltre il bosco si sale con continue inversioni il ripido pendio, sino alla spalla e da lì alla vetta. Nell’ultimo tratto continuo a guardare il vallone di valanga che si inabissa verso la Via Mala. Immacolato, nessuna traccia, neve polverosa, fredda, non sembra ci siano accumuli da vento, il manto sembra assestato. Non sono mai sceso da lì, non ho mai visto tracce scendere da lì, effettivamente tutte le altre volte che sono salito al Visolo, nel guardare quel Vallone, non mi è mai venuta esattamente la voglia di scendere. Oggi un’idea inizia ad insinuarsi nella testa, perché no, si può provare sino in fondo sino in mezzo ai pinnacoli di roccia, tenendo il bordo destro, dove la neve è più leggera e da dove, velocemente, si può tagliare sul crinale e mettersi in sicurezza. Perché no, continuo a ripetermi. Con attenzione, continuo a ripetermi. Arrivo in vetta al Visolo, poco dopo arriva Marco e mi dice: “Hai visto il vallone?”. Sorrido, annuisco, ha fatto i miei stessi pensieri. Insieme valutiamo la linea di discesa e i punti sicuri. Valutiamo anche dove fare la traccia per ritornare allo spallone. Arriva anche Michele, lo mettiamo al corrente delle nostre intenzioni e lui ci dice che non ci seguirà ma, come programmato, scenderà ai Cassinelli e poi ripellerà sino alle Corzene, noi lo raggiungeremo. Lo salutiamo e iniziamo al discesa, abbastanza buona sino nei pressi dello spallone e poi apriamo le danze nel vallone. La neve è meravigliosa, leggera, profonda quanto basta, sicura. Curve veloci e strette, frusciare di cristalli che si sollevano nell’aria, è tutto perfetto e, preso il ritmo, non ci fermiamo, continuando ad inanellare una curva dopo l’altra. La gravità ci chiama, la Via Mala ed il Dezzo, sono la in fondo. Facciamo una sosta e decidiamo di continuare a scendere sino a ridosso delle balze rocciose, sino dove la neve ce lo permetterà. Scendiamo tra dossi e rocce, ci fermiamo su una selletta. Quattrocento metri di dislivello di puro piacere, di quelli che ripagano ogni fatica, ogni disagio. Ripelliamo e iniziamo a risalire, come in discesa il pendio è tutto per noi, non c’è che l’imbarazzo della scelta per creare la nostra traccia, per interpretare le forme della montagna e lasciare un segno, una cucitura, che alla prossima nevicata sparirà.


Tornati allo spallone, scendiamo su pendii ripidi con neve dura e liscia come il tappeto di un biliardo, dove le lamine devono fare il loro dovere. Devo ricredermi, il Visolo, anche questa volta, mi ha regalato una sciata da urlo. Ai Casinelli si ripella ed iniziamo a salire, sto andando in riserva, rallento. La Cima delle Corzene mi aspetta, non scappa, la Regina è lì, baciata dal sole, salgo lento e mi osservo attorno, come se fosse la prima volta. Attraverso luoghi che conosco benissimo eppure colgo immagini nuove, forme mai viste. Marco tiene il passo, io rallento, le batterie si stanno scaricando. Con calma arrivo in vetta, dove Michele ci aspetta e dove incrociamo un vecchio signore, che sembra uscito da un libro di Bonatti. Ha voglia di chiacchierare e noi pure. Gli faccio i complimenti per il suo abbigliamento e l’attrezzatura e soprattutto per la sua passione e la sua voglia di salire ancora sulle montagne. Lui ride e mi dice che anche lui invecchia e non solo il materiale, aggiunge che i vestiti e gli sci devono essere sfruttati per bene, mica si possono buttare le cose solo perché son vecchie. Non posso fare altro che dargli ragione.


Ora ci attende l’ultima discesa, optiamo per il pendio a sud, che scende verso il Colle della Presolana e la Malga Cornetto. Il sole sta scaldando parecchio e non ci aspettiamo nulla di eccezionale. Dobbiamo ricrederci, perché cercando le esposizioni più favorevoli e le pendenze migliori, nella parte alta, sciamo ancora nella polvere e poi su neve trasformata e pacioccosa. Cosa è la neve pacioccosa? Andate a farvi un giretto alle Corzene e lo scoprirete.

domenica 20 gennaio 2013

GUARDARE OLTRE - OVERLOOK HOTEL



Si sa che l'Overlook Hotel d'inverno è di difficle accesso e c'è il rischio di trovare Jack Nicholson con un’ascia in mano e strane “luccicanze” che riportano ad antichi fasti e truculenti fatti di sangue. Però non è l'atmosfera horror di Shining quella che percepisco ogni volta che risalgo in Val d'Ancogno, ma come sempre è un atmosfera da favola e l’unico “luccichio” che vedo è quello di infiniti cristalli di neve che tutto coprono. Anche l'altro giorno "l'accesso" è stato difficoltoso, Folletti e Ninfe si sono divertiti assai a prendersi gioco di noi tra luccichii di neve e luccicanze di ghiaccio. La neve appena caduta copre tutto, leggera e polverosa, Tito ed io saliamo lungo il sentiero e negli attraversamenti del torrente i Folletti ci hanno teso tranelli e se la ridono assai nel vederci scivolare e rischiare di andare a mollo, ma con un sapiente uso del sedere ci siamo riusciti a fermarci per tempo. Solo tracce di volpi e stambecchi segnano il manto bianco, occhietti furbi ci osservano da dietro i faggi. Sbuchiamo dal bosco e guardiamo verso Overlook, sapevamo che ... il primo tiro mancava, ce lo avevano detto, ma noi zucconi siamo voluti salire ugualmente. Speravamo che le Ninfe avessero intessuto gli spalti di Overlook con i loro mille giochi di ghiaccio, ma sono state monelle. Sul primo risalto hanno ricreato solo un'esile colonna di trine, stalattiti e candelette, ed ora se ne stanno tutte sugli spalti più alti, sorridenti e ammalianti, giocando a nascondino tra le magiche luccicanze delle loro gocce di gelo.
Noi siamo zucconi e se non ci han fermato i Folletti, non ci fermeranno di certo le Ninfe. Tra quei flussi dalle sfumature traslucide e cangianti, immobili nel gelo, desideriamo salire. Ai piedi dell’Hotel, non vedo alcuna possibilità di salire la fragile colonna, ma Tito ha strane visioni e mi mostra da dove vuole passare e mi dice: "Lì si che ci divertiamo, su ghiaccio sarebbe troppo semplice". Sorrido e mi dico: "Nessun problema, se non c'è ghiaccio c'è Tito." Lui si avventura tra neve e roccia, ciuffi d’erba e mughi, salendo, senza fare una piega, sino al primo spalto. Lo raggiungo facendo mille pieghe e ringraziando i ciuffi d’erba gelata ed i mughi che accolgono le mie picche. Ora, mentre le ninfe si nascondono tra i ghiacci, ci divertiamo salendo lungo le mura di questo algido Hotel, dalle cui finestre gli occhi possono guardare oltre e godere della vista di panorami fantastici, a volte solo e semplicemente interiori.

LA PHOTOGALLERY - Luccicanze e luccichii di Overlook Hotel


 

domenica 13 gennaio 2013

GIOCANDO AL BECCO



Qualche giorno fa. “Sabato Becco?” recita il laconico sms di Marco. “Perché no!” rispondo. Pochi minuti dopo, altra vibrazione del cellulare, apro l’sms, Fulvio scrive “Sabato io e Vale andiamo al Becco, vieni?”. Se il Becco chiama è inutile farsi corteggiare oltre quindi digito sulla tastiera “Ok! Vengo insieme a Marco.”

Mentre, alla luce della frontale, salgo il ripido sentiero, che da Carona porta in Sardegnana, penso alla mia prima salita lungo la semplice ferrata che conduce in vetta al Becco; penso alle prime scalate sul verrucano del Becco, con amici che ormai non vedo da molto tempo; penso ai miei primi esperimenti solitari lungo i diedri delle vie di Calegari. Pensieri che scorrono nella mia testa e mi portano al secolo scorso, a tanti anni fa. Il tempo passa ma la passione resta e lo zaino sulle spalle pesa sempre allo stesso modo. Il fondo è ghiacciato e bisogna prestare attenzione, iniziamo a pestare la neve, non vi è alcuna traccia di passaggio. Albeggia quando intercettiamo la condotta forzata, che si risale lungo i gradini sino alla diga. Spegniamo e riponiamo le frontali, solo allora mi accorgo che Marco è in maglietta a mezze maniche, non fa freddo ed il movimento scalda, però le temperature restano sotto lo zero. Se la toglie, si deterge il sudore e si infila un pile leggero. Stende la maglia su un muro, la riprenderà al rientro. Marco non smetterà mai di stupirmi, non soffre il freddo, non soffre la sete, ne sente la fame, quando sono in montagna con lui ho la sensazione che potrebbe andare avanti per sempre, senza mai fermarsi.

Percorriamo le gallerie che costeggiano il lago e, al loro termine risaliamo il vallone che porta alla base delle pareti. Non c’è traccia alcuna, ci alterniamo nel batterne una nuova e saliamo veloci, mentre la luce scende lungo i versanti sud che ci osservano oltre la valle. Nella prima conca mi fermo ed osservo quel luogo meraviglioso, dove roccia e neve, ghiaccio ed ombra, regnano incontrastati nel vivo silenzio di Sardegnana.

Da 25 anni non salgo in questo angolo elle Orobie, da 25 anni non arrampico sulla nord del Becco e del suo Spallone, oggi è venuto il momento di essere nuovamente qui. Insieme a Marco, abbiamo avuto la fortuna di salire con Fulvio e Vale, lo scorso inverno, su queste pareti hanno tracciato numerose nuove linee di dry-tooling. Li abbiamo seguiti sino alla base della parete, non sapevamo che linea salire e ci siamo affidati ai consigli di Fulvio. Mentre loro aprivano una nuova linea di dry, all’estrema sinistra della parete nord dello spallone, Marco ed io ci siamo avventurati lungo le fessure di Camino Muschioso.


Con Marco risalgo le facili rampe di ghiaccio e neve che ci portano ai piedi della profonda spaccatura che solca l’intera parete. Di ghiaccio, per i prossimi quattro tiri, nemmeno l’ombra, accumuli di neve polverosa nelle fessure e croste di neve indurita sui terrazzini e le cengette. Che strana arrampicata, con le picche si sposta la poca neve dal fondo della larga fessura intasata di pietre, che si agganciano con le becche, alla ricerca dell’incastro migliore. I ramponi grattano e stridono sulla roccia. Lentamente salgo e mi abituo a questa progressione, riesco sempre a proteggermi bene, piazzando i friend nelle generose fessure che solcano le pareti sui due lati del camino. Marco è fermo in sosta, sotto di me, mi ritrovo con il corpo incastrato tra le due pareti, la schiena che striscia contro una ed i piedi che spingono contro l’altra, le mani che stringono le picche, incastrate chissà dove. Inizia a piacermi questo gioco, così incastrato riprendo fiato e quardo le verticali pareti che fuggono verso l’alto e riesco anche a voltarmi quanto basta per vedere i versanti assolati dei Corni di Sardegnana. Sono tranquillo, anche se tutto quel grattare di lame contro la roccia mi risulta sempre un poco sinistro. Arrivo su di un bel terrazzino, attrezzo la sosta, Marco mi raggiunge riordina il materiale e parte. Cascatelle di neve polverosa mi investono, miste a blocchi di neve dura. Mi incastro sul fondo del camino per proteggermi, la corda scorre lentamente. Da sopra la mia testa giunge la solita colonna sonora: il clangore del ferro che batte e gratta sulla roccia. Che strano gioco, Marco è in sosta, parto, la scalata è impegnativa, esco dall’ultimo strapiombino. lo raggiungo e continuo per l’ultima lunghezza che ci porterà sulla vetta. La vetta dello spallone non esiste, siamo su un pianoro di neve, nella luce del sole. Sorridiamo e ci stringiamo la mano, come sempre, come ogni volta che finiamo una via, gesti consueti, abitudinari, ma ricchi di senso e significati. Fa freddo, ci mettiamo le corde in spalla e saliamo sulla sommità del pianoro, oltre la quale inizia la discesa. Giunti al culmine, vediamo Fulvio sbucare dalla parete e fare sosta su un blocco che affiora dalla neve. Dietro lui il passo d’Aviasco incornicia una superba Presolana che sfoggia tutto il suo versante nord, dei camosci corrono lungo il crinale, stagliando le loro sagome contro il cielo.

La selvaggia bellezza di certi attimi a volte mi lascia senza fiato ad osservare assorto, ma ci pensa Valentino a distogliermi dai miei pensieri. Non è ancora comparso e già si sente la sua voce e le sue risa. Nemmeno ci fossimo dati un appuntamento ed eccoci tutti e quattro lì, a chiacchierare. Loro hanno appena terminato la salita di una nuova via, che dai primi racconti sembra decisamente impegnativa. Immersi in quell’ambiente selvaggio scendiamo agli zaini e quindi verso valle. Arriviamo a Carona quando ormai è già buio, soddisfatti della giornata trascorsa giocando sul Becco e già qualcuno dice: “Quando torniamo?”.

Qui trovate la photogallery della giornata

Qui trovate le info necessarie per giocare sul Becco

Qui trovate le info del raduno dei B.A.L. al Becco

PS - Fulvio e Vale hanno aperto "Chiudi il becco"